Camminavo verso l’ufficio con il mio bicchiere di cappuccino
in mano, sono entrata in cortile, non ho evitato le pozzanghere - mi piace
infilarci i piedi dentro.
Ho guardato il cielo (cercosemprete),
il grigio spezzato da qualche brandello di celeste, c’era luce finalmente
stamattina, ho respirato un po’ più a fondo, ho pensato “forza, partiamo, sei
in grado di farlo”.
Questi momenti di coraggio durano davvero pochi secondi.
Ho tra le mani un piano terapeutico, nuovo, stravolto in
tutto, da 51 ore non penso ad altro, da 51 ore lo giro, lo rigiro, lo analizzo,
cerco su internet, lo rifiuto, poi lo accetto, poi tremo, ci credo, non ci
credo affatto, mi arrovello su ogni parola.
Mi consumerò.
Molto spesso mi chiedo se ha ancora senso insistere se la
vita me l’ha già detto in tutti i modi che non posso essere mamma.
E poi, altrettanto spesso, mi dico che ce l’ho nel sangue
questo..”ruolo”, mi scorre nelle vene da sempre, e che se un piccolo cuore ha
palpitato in me per nove settimane significa che ce la farò ancora, ce la farò
davvero.
La realtà è che non so dove prendere la forza per affrontare
di nuovo tutto, in particolare per prepararmi a una sconfitta, ma non ho tempo
per tornare tutta intera, sicura di me, pronta alla lotta. Non ce l’ho perché
sono vecchia.
Mi accorgo di stupirmi quando ho un slancio verso qualcosa,
quando in testa mi arriva un pensiero tipo “ho voglia di fare questo o
quell’altro”.. perchè non sono più abituata a vivere.
Un anno fa vedevo il mio bambino, o meglio, il suo piccolo
cuore battere ed ero la persona più felice del mondo, poi è franato tutto, io in
un attimo soffocata, distrutta, incapace di stare in piedi.
Il cammino fino ad oggi è stato sfiancante, c’è davvero poco
fiato per prendere questa rincorsa.
So che c’è una mano da afferrare per proseguire, anche se
barcollando.
E allora, forse, è quello che farò.
“…ma esistiamo io e
te, con la nostra ribellione alla statistica...”