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Il Ministro generale al P.A.A.
Roma, 7.11.2003


Duns Scoto,
segno profetico per l’Ordine e per la Chiesa

Ci siamo riuniti nella vigilia della memoria liturgica di Giovanni Duns Scoto per celebrarne il suo ricordo, nella consapevolezza che, come ci ha detto il Capitolo generale: «Non possiamo accontentarci di magnificare le opere dei nostri antenati; piuttosto dobbiamo ispirarci ad esse per adempiere il compito che ci è stato affidato nel nostro frammento di storia (cfr. Am 6; 2Cel 214)» (Il Signore ti dia pace, =Sdp 3).

In fondo è stata proprio questa la grandezza dei nostri maggiori pensatori, e in particolare di Giovanni Duns Scoto, che non si è limitato a ripercorrere sentieri già tracciati, ma, attento alle istanze culturali del suo tempo, pur rimanendo legato alla tradizione francescana, non ha avuto paura di intraprendere nuovi sentieri speculativi, che gli hanno permesso di dare risposte concrete agli interrogativi degli uomini del suo tempo.

L’intelligenza di un Dottore del XIII secolo che ha avuto il coraggio di uscire dal proprio ambiente, dalla scuola di pensiero in cui si era formato, per recepire e integrare quanto c’era di positivo nell’ambiente culturale in cui visse, resta ancora oggi per noi come un insegnamento e una grande sfida. Duns Scoto è stato in questo senso un autentico seguace di san Francesco. Anche il Poverello d’Assisi non ebbe infatti timore di lasciare la sicurezza del proprio ambiente per andare ad incontrare il Sultano. Così anche noi dobbiamo imparare ad uscire dai nostri comodi chiostri, dove il pensiero riposa sicuro, per lasciarci incontrare dall’uomo di oggi e desiderare di entrare in dialogo con lui, senza rinunciare a nulla della verità da proclamare, ma accogliendo con sapienza tutto il bene che l’altro porta con sé. Se il nostro essere Frati Minori esige, infatti, una conversione continua e integrale, che ci faccia passare da una mentalità fondamentalista, in cui la propria identità è garantita dalla negazione dell’altro, a quella opposta del dialogo, questo vale a maggior ragione per la vita intellettuale, dove l’impegno deve volgersi alla ricerca dei possibili cammini comuni più che ai sistemi di pensiero da combattere (cfr. Sdp 14). Come ci ha ricordato il Capitolo generale, citando proprio il nostro Dottore: «Con il dialogo, la persona abbandona l’individualismo e scopre la sua vera individualità, la sua identità (haecceitas) davanti a Dio (Duns Scoto, Ord. II.d.3, p.1, q,5) » (Sdp 31).

In un’epoca in cui sempre più a parlare sono le armi, invece degli uomini, e i muri tra le culture sembrano drammaticamente rialzarsi, seguendo Duns Scoto, vogliamo confessare con Paolo che Cristo: «è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo» (Ef 2,14), Non a caso già Paolo VI, nella sua Lettera Apostolica Alma parens, vedeva nella dottrina del Beato una delle piste da seguire per intessere il dialogo ecumenico tra anglicani e cattolici e, allo stesso modo, i Ministri generali delle quattro Famiglie Francescane, nella lettera con cui dieci anni fa annunciavano la beatificazione di Duns Scoto, così si esprimevano: «Pertanto, la ricchezza e la fecondità del pensiero di Scoto dipendono dal fatto che egli si mostrò rispettoso della libertà degli interlocutori. Il pensare era per lui come un dialogare, dove non si mira tanto all'affermazione del proprio punto di vista, quanto a far emergere e a far accogliere la verità dovunque essa si trovi». Questo atteggiamento di rispetto dell’interlocutore è oggi più che mai necessario, perché rinasca il dialogo. È infatti nel coraggio del dialogo aperto che nasce, si fonda e si testimonia la fiducia nella Parola che ci è stata rivelata. Una Parola divina che, per prima, in Cristo ha incontrato l’uomo ed è entrata in comunione con lui, realizzando e salvando la sua identità ferita. Il dialogo dunque come via alla pace, intesa come possibilità di una pienezza di vita per tutti, come luogo dove non si porta, ma si trova la verità.

Dobbiamo perciò metterci alla scuola del dialogo e imparare a intessere nuovi rapporti. Oggi infatti la tendenza è quella di sottomettere anche questi alla logica del consumo, ogni cosa deve essere vissuta per il tempo e nella misura in cui è utile per poi venir sostituita, con il risultato di ridurre l’uomo in uno stato di totale solitudine. La proposta scotista a questo riguardo, invece, partendo dalla realtà dell’homo viator, con i suoi drammi e le sue aspirazioni, con i suoi limiti e il suo peccato, non impedisce di riconoscere in ciascuno quell’ultima solitudo, che, lontana dall’idea romantica di una solitudine esistenziale, costituisce la persona nella sua individualità e non la rinchiude in se stessa, ma la apre alla trascendenza, conferendogli una dignità senza pari, disponendola a relazioni autentiche, ad uscire da sé, ad essere solidale. Riconoscere sempre la dignità dell’altro significa infatti restituirgli la sua libertà, come fece san Francesco con il lebbroso, significa riconoscere nell’altro il volto di Cristo, significa, infine, riconoscere che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio. Per questo vogliamo anche noi ripetere con le parole di san Francesco ad ogni uomo e ad ogni donna: «Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto Dio che ti creò e ti fece a immagine del suo diletto Figlio secondo il corpo, e a sua similitudine secondo lo spirito» (Am 5,1). Una condizione talmente elevata che per riacquistarcela lo stesso Salvatore ha voluto versare il suo sangue. Troppe volte ancora questa dignità non viene riconosciuta. Troppe volte i diritti dei deboli vengono calpestati. Troppe sono le situazioni di sfruttamento di fronte alle quali si tace. È proprio in forza di questa assoluta libertà di Dio nel creare e nel salvare l’uomo, di questo essere stati creati e salvati da un atto di puro amore, della consapevolezza che ciascuno è «poco meno degli angeli, coronato di onore e di gloria» (cfr. Sal 8, 6), che crediamo che si possa e si debba «essere lieti» anche quando si vive «tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada» (Rnb 9,3).

Veramente Giovanni Duns Scoto ci apre le prospettive per una rinnovata teologia: una teologia che, come “scienza pratica”, per se stessa è regola dell’agire umano nella storia. Una teologia che non resta relegata nell’ambito speculativo, ma si fa norma della propria vita di fede. Compito ai nostri tempi sempre più profetico, se si considerano le odierne tendenze, alle quali non siamo estranei, di far convivere, separandoli, un esasperato razionalismo con una cieca ricerca del sacro, ma allo stesso tempo compito difficile a causa del processo di globalizzazione in atto, anche dal punto di vista culturale, che rischia di far scomparire le singole voci a favore di un pensiero egemone. Un pensiero che, purtroppo, spesso ci spinge alla superficialità, alla fretta e talvolta ad accettare acriticamente come buono tutto quello che viene presentato. Il beato Giovanni Duns Scoto ci insegna invece la fatica di una fede intelligente, che scruta e cerca di penetrare nei misteri di Dio, disposta ad incamminarsi per sentieri impervi, certamente non ricchi di consolazioni facili ed immediate. Una fede che sgorga dall’amore di Dio per l’uomo, che in Gesù Cristo irrompe nella storia. Una fede che, nutrendosi di questo amore, non può non farsi essa stessa storia, concretezza, “prassi” (cfr. Johannes Duns Scotus, Ord. Prol., n. 303). In questo senso Giovanni Duns Scoto ha ben meritato l’appellativo di “Dottor sottile”, perché per percorrere una strada simile è necessaria molta cautela, o meglio, una sapiente opera di discernimento unita ad un’ardente passione, perché solo «dov’è amore e sapienza, ivi non è timore né ignoranza» (Am 27,1).

Vorrei a questo proposito rivolgere un ringraziamento personale e da parte di tutto l’Ordine ai Frati della Commissione Internazionale Scotista, passati e presenti, che in tutti questi anni hanno lavorato con fedeltà e dedizione, ma soprattutto con amore e sapienza, per permetterci di gustare le profonde ricchezze della dottrina di Giovanni Duns Scoto. È grazie a loro se, anche in ambienti non francescani, sono potuti rifiorire gli studi su Scoto ed essere nuovamente apprezzata la forza della sua speculazione.

Come ci invitava il Santo Padre all’inizio della Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte (cfr. n 1) la memoria del nostro passato si fa oggi davvero gratitudine per la ricchezza che nel beato Giovanni Duns Scoto il Signore ha riversato abbondante sul nostro Ordine. Questa memoria non può però chiudersi in questa bella celebrazione, ma deve diventare per noi stimolo per vivere con passione il nostro tempo. Solo a coloro che vivono con passione il presente, infatti, è dato di trovare anche motivi di speranza per guardare al futuro.


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