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Sessantatreisima assemblea dell'Unione Superiori Generali
Roma 28 novembre 2003


DIALOGO INTERRELIGIOSO E FORMAZIONE: QUALI SFIDE?
Fr. José Rodríguez Carballo, ofm
Ministro generale

Alcune premesse per incominciare

Il dialogo, più che una parola di moda, è l’attitudine profonda che caratterizza l’essere umano e che, in particolare, dovrebbe caratterizzare il credente e il consacrato. Il dialogo è parte del nostro DNA come persone, come credenti e come consacrati. L’io è di fatto chiamato ad entrare in una relazione profonda / dialogo con il tu e il frutto di questa relazione / dialogo sarà il noi.

Ma per noi è il continuo dialogo salvifico di Dio con l’uomo che deve ispirare lo stile del nostro dialogo: un dialogo che parta sempre dall’io, senza aspettare che sia l’altro a dare il primo paso; un dialogo paziente e gratuito, che non cerchi di travolgere, ma di incontrare l’altro; un dialogo umile e libero, che consenta all’altro di accoglierlo o rifiutarlo.

Un dialogo in cui gli interlocutori, pur avendo posizioni o credenze diverse, si sforzano di avvicinarsi l’uno all’altro, così come sono nella realtà, con la propria mentalità e le proprie convinzioni. Interlocutori che insieme cercano la verità: “La tua verità? No, la Verità, e vieni con me a cercarla. La tua, tienitela” (Antonio Machado). Interlocutori che sanno vivere l’insicurezza e che si rispettano, accostandosi senza pregiudizi e con spirito di profonda ammirazione. Questo il ritratto di persone con l’attitudine al dialogo.

Fatta questa premessa, bisogna precisare che il dialogo interreligioso non si presenta per noi come un’opzione, perché “fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa” (Redemprotis missio 55). Per questo, in quanto consacrati, non possiamo non comprometterci in questo campo, collaborando “con uomini e donne di diversa tradizione religiosa” in vista della “comune sollecitudine per la vita umana, che va dalla compassione per la sofferenza fisica e spirituale, all'impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato” (Vita consecrata 102).


1. I quattro pilastri del dialogo interreligioso

Il dialogo interreligioso si costruisce su quattro grandi pilastri.

1. La testimonianza della vita, anche chiamata “dialogo di vita”, attraverso “una vita povera, umile e casta, permeata di amore fraterno per tutti” (VC 102). San Francesco d’Assisi quando parla di “coloro che vanno tra i saraceni e gli altri infedeli”, riferendosi proprio a questa forma di dialogo, dice: “e confessino che sono cristiani” (Regola non bollata 16,6). La vita religiosa nel dialogo interreligioso deve concentrarsi sull’essenziale, più sull’essere che sul fare. Solo così potrà presentarsi come segno, più che come modello. Solo così potrà annunciare, con la sua stessa esistenza, il mistero di Dio rivelato in Cristo.

2. L’ascolto e il rispetto. “Esperti di comunicazione” i religiosi nel dialogo interreligioso si devono aprire agli altri, spogliandosi del loro complesso di superiorità e disposti a costruire la propria identità non chiudendosi in se stessi, ma partendo dall’altro, dal diverso, dall’alterità. Ascolto e rispetto, in atteggiamento di “servi della verità” e non di “padroni” di essa. Per questo motivo “non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio” (Rnb 16,7). Non si può parlare di dialogo interreligioso se non c’è rispetto reciproco, se non si crea un clima di amichevole cordialità e di grande sincerità (VC 102), se non permettiamo che ci venga insegnato qualcosa di nuovo che completi il nostro modo di pensare, che ci permetta di ampliarlo e di approfondirlo. La Chiesa, anche quando afferma chiaramente che l’unica vera religione è quella cristiana, non tralascia comunque di riconoscere i valori spirituali e morali delle diverse confessioni non cristiane (cfr. Eccelsiam Suam, 112), così come “gli elementi di verità e di grazia” presenti nelle altre tradizioni religiose.

3. L’annuncio di Gesù Cristo come “via verità e vita” (Gv 14,6). Il dialogo non comporta rinunciare a ciò che “il Signore mi rivelò”, per usare un’espressione usata da san Francesco nel suo Testamento. Giunto il momento e “quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio, perché credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo” (Rnb 16,8s). La Chiesa non può rinunciare ad essere parola, ad essere messaggio.

4. Preparazione adeguata. Il dialogo interreligioso, come tutto il dialogo, non è affatto facile. Proprio per questo motivo e per rispetto dell’altro, si richiede “una adeguata preparazione nella formazione iniziale e nella formazione permanente, come pure nello studio e nella ricerca” (VC 102). Il dialogo interreligioso, per essere realmente tale e rispondere alla sua natura, richiede una profonda conoscenza del cristianesimo e delle altre religioni, accompagnata da una fede solida e da un grande maturità umana e spirituale.

2. Principali ambiti del dialogo interreligioso e sfide per la formazione

2.1. Dialogo interreligioso e pace

Un’affermazione di Hans Küng può avviare il nostro discorso: «Non può esserci pace fra le nazioni senza pace fra le religioni. Non può esserci pace fra le religioni senza dialogo fra le religioni. Non può esserci dialogo fra le religioni senza ricerca del fondamento teologico». Questo significa che nell’attuale contesto di pluralismo religioso e di incontro e scontro tra culture e popoli, il dialogo interreligioso è divenuto un fattore di primaria importanza per la vita del mondo. Il discorso della pace acquista qui una particolare rilevanza. Il mondo sembra oggi incapace di garantire e mantenere la pace fra i popoli e le religioni spesso sono state strumentalizzate come ragione e giustificazione di conflitti e di guerre. Ecco perché appare urgente un dialogo interreligioso sincero, fondato teologicamente su una valutazione positiva delle altre tradizioni religiose, proprio per assicurare la pace al mondo.

Giovanni Paolo II ha richiamato questo nesso nella Novo Millennio Ineunte n. 55: «è nell’ottica del dialogo e della missione che si pone anche la grande sfida del dialogo interreligioso, nel quale il nuovo secolo ci vedrà ancora impegnati, nella linea indicata dal Vaticano II. Nella condizione di più spiccato pluralismo culturale e religioso, quale si va prospettando nella società del nuovo millennio, tale dialogo è importante anche per mettere un sicuro presupposto di pace e allontanare lo spettro funesto delle guerre di religione… Il nome dell’unico Dio deve diventare sempre di più, qual è, un nome di pace e un imperativo di pace». Con lo stesso spirito, qualche anno prima, nella Tertio Millennio Adveniente, il papa proponeva a tutta la Chiesa un atteggiamento di pentimento per i peccati commessi dai cristiani durante i secoli nei confronti di membri di altre religioni: «Un capitolo doloroso, sul quale i figli della Chiesa non possono non tornare con animo aperto al pentimento, è costituito dall’acquiescenza manifesta, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio della verità» (n. 36).

Sono gli stessi segni dei tempi, dettati dal contesto di guerra diffusa e di comune e urgente responsabilità per la pace, che danno nuovo respiro al dialogo interreligioso, inteso non come strategia per l’ora presente, quanto come appello alla conversione da parte di tutti. Conversione alla capacità di reciproca “sim-patia”, se non di “em-patia”, intesa come capacità di “capire” gli altri come essi stessi si comprendono, e non come noi pensiamo che essi siano. Qui si è spinti ad un’apertura verso gli altri senza restrizioni: nella loro differenza e nella loro irriducibile identità. La sfida, ma anche la “grazia” del dialogo interreligioso consiste proprio nell’accoglienza degli “altri” nella loro differenza.

* sfide per la formazione:

1. Formarsi come uomini e donne che vivono dentro una storia, che sappiano interpretare l’uomo, il mondo e le relative riflessioni filosofico-teologiche. La ricerca e la lettura dei segni dei tempi, infatti, se questi sono destinati a diventare paradigma di pensiero e di spiritualità, non può correre il rischio di essere frutto di improvvisazione, a meno di scadere al livello di pr?t-à-porter di maniera. I temi della pace e del futuro del mondo devono essere ormai considerati come veri e propri capitoli di una teologia dell’uomo e della creazione, come luoghi di rivelazione, in cui cogliere l’unicità della relazione che Cristo ha con ciascuno e, quindi, dei rapporti che in Cristo gli uomini vivono tra loro.

2. Formarsi ad una mentalità di dialogo è la sola via che può condurre ad un serio approfondimento del concetto di etica globale, in cui cercare di coniugare le risorse morali di tutte le religioni con le esigenze etiche secolari, espresse per esempio nella Carta dei Diritti dell’uomo. In questo senso il dialogo interreligioso potrebbe contribuire a umanizzare il fenomeno della globalizzazione, a fronte della legge spietata del mercato e del profitto a tutti i costi. Si tratta di una sfida forte per la formazione della nostra stessa identità di credenti e di religiosi, che affermano di voler vivere la loro fede, e la sequela, nell’oggi della storia.

3. Formarsi come persone che vivono stando “in relazione”, capaci cioè di apertura e di incontro. Diventa qui imprescindibile anzitutto la capacità di assumere, e non invece di negare, i conflitti in atto come primo passo per una loro risoluzione. Ciò porterà a sviluppare una sana relazionalità, in cui l’altro potrà essere accolto nella sua “alterità”, senza cadere nella tentazione di ridurla all’interno dei nostri schemi o, addirittura, di eliminarla. Si tratta dunque di un vero e proprio cammino di crescita nella libertà, intesa come autopossesso che conduce all’autodonazione.

4. Adottare come strumento privilegiato per attuare il dialogo la non violenza. Questo, se da una lato significa educarsi alla gestione dei conflitti, per non cedere alla facile, e al tempo stesso illusoria, soluzione offerta dalla violenza, dall’altro significa formarsi ogni giorno a vivere la pace come via quotidiana del Vangelo. Solo uomini e donne “pacificati” potranno infatti guardare l’altro con uno sguardo positivo e di vera benevolenza.


2.2. Dialogo interreligioso e rivelazione

Secondo il documento conciliare Nostra aetate il fondamento del dialogo interreligioso è duplice: la comunità umana che ha origine in Dio attraverso la creazione e il suo fine in Lui mediante la salvezza in Gesù Cristo (NE, n. 1), mentre non si trova menzione della presenza e dell’opera universale dello Spirito Santo nelle diverse tradizioni religiose dell’umanità.

Il contributo più grande offerto da Giovanni Paolo II al fondamento teologico del dialogo interreligioso è proprio l’aver rimarcato la presenza e l’azione universale dello Spirito Santo fra gli “altri”. Tra le tante citazioni possibili ne scegliamo solo qualcuna. Il papa afferma che la «ferma credenza» degli appartenenti alle altre religioni è «effetto anch’essa dello Spirito di verità operante oltre i confini visibili del corpo mistico» (Redemptor hominis, n. 6). Contemplando la creazione e la redenzione egli vede che un «mistero di unità» lega tutti gli esseri umani, al di là delle loro differenze. In questo stesso «mistero di unità», fondamento del dialogo, per il papa si riconosce un terzo elemento: quello della presenza attiva dello Spirito di Dio nella vita religiosa degli «altri», in particolare nella loro preghiera: «Possiamo ritenere che ogni autentica preghiera è suscitata dallo Spirito Santo, il quale è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo» (Discorso di Giovanni Paolo II alla Curia Romana per gli auguri di Natale, 22 dic. 1986, n. 11). Nella Redemptoris missio questo respiro si amplia ancor più, quando si afferma: «La presenza e l’attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni» (n. 28).

Le medesime riflessioni sono riprese nel documento Dialogo e annuncio (1991), per il quale la ragione fondamentale dell’impegno della Chiesa nel dialogo «non è meramente di natura antropologica, ma principalmente teologica» (n. 38). La Chiesa deve entrare in un dialogo di salvezza con tutti gli uomini, in continuità con quel dialogo di salvezza con il quale il Dio Trinità si è rivelato e continua a manifestarsi agli uomini. Questo è possibile grazie alla certezza teologica che il regno di Dio, universalmente presente nel mondo, rappresenta la presenza universale del mistero della salvezza in Gesù Cristo. Il dialogo interreligioso avviene perciò tra persone che sono già legate le une con le altre nel regno di Dio inaugurato nella storia in Gesù Cristo; tutti sono già in cammino verso la pienezza del regno stesso, verso la nuova umanità voluta da Dio alla fine dei tempi. Secondo l’intuizione di Karl Rahner, le religioni si possono considerare delle oggettivazioni della ricerca dell’uomo da parte di Dio secondo la sua volontà salvifica universale. Ciò significa che, malgrado i loro limiti nell’ordine conoscitivo e le loro imperfezioni in quello morale, le religioni possono essere considerate come dei tentativi di ricerca del vero Dio da parte degli uomini di buona volontà, anche se spesso gli esiti di questi tentativi sono maldestri.

* sfide per la formazione:
1. Il dialogo interreligioso sfida gli itinerari formativi a dare il necessario risalto allo studio, che offre gli strumenti necessari perché la fede possa vivere in costante apertura verso la storia e la cultura; si richiedono perciò programmi che prevedano la conoscenza delle regole essenziali di questo dialogo e la conoscenza delle altre tradizioni religiose, ma tutto ciò non sarebbe sufficiente se non si accompagnasse ad un’attitudine permanente all’apertura e alla ricerca teologica, animata da una sana “curiositas” e dalla disponibilità a lasciarsi interrogare dalle sfide odierne.
2. La formazione permanente in ambito teologico, che aiuta a prendere coscienza della necessità stessa del dialogo interreligioso, deve portare ed accompagnarsi ad un altrettanto seria formazione della nostra prassi di evangelizzazione, soprattutto nella prospettiva missionaria “ad gentes”. Anche questa deve essere infatti vissuta in uno spirito di continuo rinnovamento e apertura, così da poter crescere nella prospettiva di un dialogo fatto di ascolto oltre che di annuncio.

2. La stessa pratica del dialogo deve trasformarsi in elemento costitutivo del processo formativo, per crescere come uomini e donne capaci di cogliere i semi del Verbo e i segnali di luce della presenza dello Spirito che opera ovunque. Abituarsi a coltivare un’attitudine all’ascolto e al rispetto, alla riverenza e all’accoglienza del bene che vive in ogni creatura, è la strada per diventare artefici di riconciliazione e di pace.

2.3. Dialogo interreligioso e incontro con l’altro

L’adesione alla propria fede e l’apertura all’«altro» vanno di pari passo: un buon approfondimento del dialogo interreligioso non scade negli estremi opposti del relativismo o del fondamentalismo, ma si educa progressivamente a non dissimulare nella pratica del dialogo la propria fede in Gesù Cristo Salvatore, accettando che gli interlocutori restino nelle loro convinzioni personali non negoziabili. È in questa fedeltà che il dialogo può avvenire «fra uguali», nelle loro differenze.

La serietà del dialogo impedisce di ammorbidire il tono delle convinzioni profonde che caratterizzano le due parti, così la sua apertura richiede che ciò che è relativo non venga assolutizzato. Dio solo è l’assoluto e deve essere chiamato tale. L’adesione alla propria fede e l’apertura all’«altro» devono pertanto essere messi in relazione tra loro. L’identità cristiana è legata alla fede nella mediazione «costitutiva» e nella «pienezza» della rivelazione divina in Gesù Cristo: questi elementi vanno accolti senza riduzionismi e senza assolutismo esclusivo. Si tratta di quello che possiamo chiamare il carattere dialogico e non «imperialista» del cristianesimo.

Il confronto della assolutezza della rivelazione attraverso Gesù Cristo con le altre religioni conduce ad un ripensamento radicale del senso della fede in Cristo come tale. La sfida che così si pone al cristianesimo, che sta o cade con la convinzione che Gesù Cristo sia il salvatore di ogni uomo e di ogni donna, è infatti la possibilità che esso sia capace di intendere coerentemente il Cristo nel contesto della nuova consapevolezza religiosa e culturale. La strada sembra quella di una cristologia che ponga nel Cristo la capacità di una relazione universale, che non distrugge e non assorbe l’alterità religiosa, ma la colloca positivamente. La grande sfida della teologia cristiana ritorna ad essere una nuova comprensione del Cristo. Gesù Cristo è la verità di ogni strada umana a Dio, giacché una posizione diversa toglierebbe semplicemente identità al cristianesimo; questa verità non va letta nei termini dell’assolutezza, ma della “relazione”: Cristo si presenta come la verità della relazione con l’«altro», anche nella diversità religiosa.

* sfide per la formazione:
1. È necessario che la formazione si realizzi come una effettiva iniziazione e mistagogia alla confessione in Gesù Cristo Salvatore, così che questi diventi il cuore dell’opzione vocazionale. Solo una volta che questo obiettivo sarà raggiunto, l’instaurarsi di un profondo e serio dialogo interreligioso, invece di presentarsi come un pericolo da cui difendersi o come una tentazione a cui cedere, costituirà la possibilità di un reale approfondimento della stessa nota «cristiana» della fede.

2. Se il dialogo interreligioso può contribuire a dare un contenuto più profondo alla sequela di Cristo, intesa come capacità di vivere la relazione che Cristo ha stabilito con l’uomo mediante la sua croce e risurrezione, allora la formazione è chiamata a offrire gli strumenti necessari per poter interpretare la propria esistenza come espressione di questa relazione e la sequela diventa, in questo senso, il luogo in cui leggere l’azione sempre nuova del Cristo vivente per lo Spirito nell’ «oggi» della storia.

2.4. Dialogo interreligioso e maturazione dell’identità

Il dialogo interreligioso può favorire l’educazione integrale, la ricerca e l’approfondimento della propria identità nella relazione con l’altro.

Attraverso la pratica del dialogo la persona si scopre libera, in un cammino continuo di crescita e di ri-appropriazione della propria identità. Così se una volta si poteva pensare alla persona come a una realtà statica e immutabile nel corso del tempo, un tutt’uno con il concetto di “natura”, oggi ne comprendiamo la caratteristica di realtà in permanente trasformazione e rielaborazione, soprattutto a contatto con la storia e i suoi processi, con la cultura e con il mondo biologico. La concentrazione sull’individuo tipica della post-modernità rende ancor più fluida questa concezione dell’identità e della libertà, negando qualsiasi riferimento dato una volta per tutte, e, in ultima analisi, negando l’“oggettivo”. Diventa invece sempre più evidente che la persona cresce e si trasforma nella relazione continua con l’altro da sé, nella ri-assunzione della propria storia, per lasciarsi aprire verso orizzonti sempre nuovi.

* sfide per la formazione:
La pratica del dialogo interreligioso può essere un capitolo di quello sviluppo integrale che è l’obiettivo della formazione nel suo accompagnare la persona verso la scoperta, la ri-appropriazione e la crescita della propria identità nel flusso della storia. Una ricerca e crescita che avviene proprio nell’incontro con l’altro in quanto diverso da sé.

2.5 Dialogo interreligioso e kenosi del Dio cristiano

La singolarità del cristianesimo diventa sorgente di ispirazione e non ostacolo al dialogo interreligioso, se letta alla luce del mistero della croce. La dimensione kenotica del Dio che si rivela in Gesù Cristo permette di intendere la croce come la rinuncia alla uguaglianza con Dio e la risurrezione nel suo senso più ampio. In questa stessa linea possiamo affermare che la condizione per il rapporto con l’altro, con lo straniero, con il diverso è la consapevolezza di una mancanza, che rimanda oltre, verso un’alterità irriducibile, quella stessa di Dio.

Allora la pratica dell’accoglienza e dell’ospitalità per lo straniero non sono facoltative, così come non lo è il dialogo con l’altro da noi, ma sono inscritte nel cuore stesso della rivelazione cristiana. Lungi dall’esercitare una violenza nei confronti delle altre religioni, l’essere-se-stesso cristiano non ha consistenza che nel suo essere-per-gli-altri. Riconoscere l’altro nella sua differenza e riconoscere il limite che esso ci impone è la logica stessa di un’esistenza pasquale. Si potrà allora parlare non di un’unicità d’eccellenza e di integrazione, ma dell’unicità di un divenire che è fatto di consenso e di servizio.

* sfide per la formazione:
1. Nella formazione si dovrà aver cura di creare una cultura di accoglienza e di ospitalità, che trova le sue radici nella tradizione ebraico-cristiana e favorisce l’acquisizione di una comprensione dell’altro come ineludibile per poter “dire” se stessi. È dunque necessario operare il superamento di modelli formativi basati sul concetto di perfezione individuale e di oggettività sacrale, a favore di modelli fondati sui concetti di incontro e dialogo;

2. La formazione avrà come compito quello di stimolare e invogliare ad uscire dal proprio ambito sociale, a lasciare le sicurezze della propria tradizione culturale, per poter incontrare con fede e nella fede l’altro da sé e al tempo stesso mostrare come proprio in questo lasciare se stessi, in questo continuo cammino di kenosi verso lo straniero, la persona realizza il proprio essere e la propria vocazione.



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