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WebWineFood
12/07/2010

Mai fidarsi delle insegne

Scritto da: Francesco Arrigoni alle 23:03

vinocattivo.JPG
Nonostante l'insegna, alla Locanda del Tempo Perduto di Bagolino (paese in provincia di Brescia, patria del formaggio bagoss) qualche bottiglia di vino buono c'è.
Pubblicato il 12.07.10 23:03 | | Commenti(0) | Invia il post
06/07/2010

Le peripezie del wi-fi in albergo

Scritto da: Francesco Arrigoni alle 23:15

Albergo, zona di montagna, devi connetterti a internet per scrivere e leggere la posta. Hai la chiavetta, ma naturalmente in quel paese non c’è campo. In albergo c’è il segnale wi-fi in tutte le camere, ma naturalmente è a pagamento. Chiami la reception e ti dicono che devi scendere, firmare, il modulo, pagare tre euro per un’ ora (non frazionabile naturalmente) e dopo di che potrai connetterti. Fai notare che hai appena fatto la doccia e stavi per andare a letto. Niente da fare devi scendere, aspettare il tuo turno: l’addetto alla reception stampa il modulo con le tue generalità e ti fa firmare. Dopo di che l’addetto stampa un altro foglio con la user ID e la password per la tua  connessione al wi-fi. Tutto questo oltre che tre euro è costato un quarto d’ora di tempo. Mi chiedo: ma è possibile che in un albergo dove spendi 200 euro a notte per una camera ti debbano fare pagare la connessione wi-fi? Che guadagno ha l’albergo considerando che per tre euro deve stampare due fogli, contabilizzarli e tutto il resto? Si pensa di dare un servizio al cliente? Mi sono informato da un operatore del settore: per dare una connessione wi-fi in un albergo con una trentina di camere come quello dove ero ci vuole una linea dedicata, che costa meno di 50 euro al mese, un costo che si può facilmente ammortizzare e comprendere nel costo della camera. C’è sempre il problema della registrazione per le questioni di sicurezza e l’anti terrorismo (comunicazioni alla polizia postale, ecc.) però ci sono dei software che consentono di dare la possibilità al cliente della tal camera di auto registrarsi al sistema wi-fi dell’albergo, senza firmare alcun modulo. E infine mi chiedo perché non si fa come negli Stati Uniti dove è possibile registrare una volta per sempre l'IP del proprio PC portatile e grazie a ciò connettersi liberamente a tutti i wi-fi disponibili del Paese senza compilare alcun modulo?
Albergo, zona di montagna, devi connetterti a internet per scrivere e leggere la posta. Hai la chiavetta, ma naturalmente in quel paese non c’è campo. In albergo c’è il segnale wi-fi in tutte le camere, ma naturalmente è a pagamento. Chiami la reception e ti dicono che devi scendere, firmare, il modulo, pagare tre euro per un’ ora (non frazionabile naturalmente) e dopo di che potrai connetterti. Fai notare che hai appena fatto la doccia e stavi per andare a letto. Niente da fare devi scendere, aspettare il tuo turno: l’addetto alla reception stampa il modulo con le tue generalità e ti fa firmare. Dopo di che l’addetto stampa un altro foglio con la user ID e la password per la tua  connessione al wi-fi. Tutto questo oltre che tre euro è costato un quarto d’ora di tempo. Mi chiedo: ma è possibile che in un albergo dove spendi 200 euro a notte per una camera ti debbano fare pagare la connessione wi-fi? Che guadagno ha l’albergo considerando che per tre euro deve stampare due fogli, contabilizzarli e tutto il resto? Si pensa di dare un servizio al cliente? Mi sono informato da un operatore del settore: per dare una connessione wi-fi in un albergo con una trentina di camere come quello dove ero ci vuole una linea dedicata, che costa meno di 50 euro al mese, un costo che si può facilmente ammortizzare e comprendere nel costo della camera. C’è sempre il problema della registrazione per le questioni di sicurezza e l’anti terrorismo (comunicazioni alla polizia postale, ecc.) però ci sono dei software che consentono di dare la possibilità al cliente della tal camera di auto registrarsi al sistema wi-fi dell’albergo, senza firmare alcun modulo. E infine mi chiedo perché non si fa come negli Stati Uniti dove è possibile registrare una volta per sempre l'IP del proprio PC portatile e grazie a ciò connettersi liberamente a tutti i wi-fi disponibili del Paese senza compilare alcun modulo?
Pubblicato il 06.07.10 23:15 | | Commenti(0) | Invia il post
01/07/2010

Addio a Bortolotti, grande conoscitore di prodotti

Scritto da: Francesco Arrigoni alle 23:00

Il giornalista enogastronomico dovrebbe essere bravo nel ricercare i prodotti gastronomici artigianali, i ristoranti emergenti, i migliori vini. Un lavoro che fai macinando chilometri e consumando le scarpe sui marciapiedi. Ma certi artigiani, certi prodotti, certi locali che stanno nascendo non li conosceresti mai ( e quindi non potresti mai raccontarli ai tuoi lettori) se non fosse per la segnalazione di alcuni amici. Amici che fanno tutt'altro lavoro, che non hanno alcun interesse economico nel settore, ma  che copndividono con te l'amore per le cose buone e genuine, per i prodotti veri e che sanno distinguere quando una cosa non solo è fatta bene ma anche con il cuore. Uno di questi amici che mi ha permesso di conoscere molte cose, specialmente in Val d'Aosta, è, o meglio era Gianni Bortolotti di cui hanno fatto i funerali ieri ad Aosta. Bortolotti per una vita ha fatto il funzionario delle Acli ad Aosta: tutti i giorni risolveva i problemi di tanti piccoli agricoltori, che talvolta si sdebitavano con un pezzo di Fontina o con un angolo di toma stagionta, Graze a Bortolotti ho potuto assaggiare prodotti introvabili, certe fontine dalla trasperenza verdolina ottenute da vacche di razza bruno alpina che salgono negli tza (gli alpeggi più alti oltre i 2.500 metri di quota) e che mangiano erbe speciali tra cui pure le stelle apline, o ancora certe tome così stagionate, dalla crosta percorsa di buchi, con sapori fortissimi, ammoniacali, incredibili. Grazie a Bortolotti ho consociuto tanti locali che poi hanno acquistato fama e successo, anche perché io e altri ne abbiamo scritto.. Bortolotti era originario del Lago di Lovere, e per i casi della virta era finito nella Vallée aveva un palato straordinario ( e non ha caso era uno dei pochi capace di confrontarsi alla pari con un personaggio come Giorgio Grai),  di un carattere un po' burbero ma di straordinaria generosità, sapeve criticare e dispensare consigli, che sono stati utili a molti artigiani e a tanti produttori. Negli ultimi anni si era ritirato su per la Valle d'Aosta a coltivare i pomi, infine una malattia progressiva ce lo ha portato via. Nella nostra vita, tutti noi che facciamo questo lavoro, incontriamo più di un Bortolotti, che arrichisce la nostra cultura, ma quasi mai siamo capaci di ringraziare per i preziosi contributi. Questo è solo un piccolo modo per dire grazie a Bortolotti, certe cose non si possono dimenticare. Ti sia lieve la terra, GIanni.
Pubblicato il 01.07.10 23:00 | | Commenti(0) | Invia il post
30/06/2010

Siti internet dei ristoranti senza giorno di chiusura

Scritto da: Francesco Arrigoni alle 22:30

Ultimo minuto, sei per strada, vuoi prenotare nel tal ristorante dove vorresti andare a pranzo o cena. Ecchediavolo nei ristoranti importanti mica si va senza prenotare, magari fai chilometri su per le colline per trovarti di fronte al tutto esaurito e un bel “mi dispiace” o “desolé”. Sul PC o sullo smarthphone, digiti al volo il nome del locale su Google, ti compare il nome del sito. Clicchi e riclicchi. Spesso devi farti largo tra menù a tendina, animazioni Flash, multimedialità. Trovi tutto il surperfluo, l’atmosfera, le recensioni, la filosofia. Con fatica trovi le informazioni essenziali, sempre accuratamente nascoste, come per esempio quella fondamentale, cioè il numero di telefono. Però prima di fare una telefonata inutile verifichi quale sia il giorno di riposo del ristorante. Ebbene questa informazione importante che ti consente di non perdere inutilmente del tempo, nei siti di molti ristoranti manca. Capisco si tratti di locali che il turno di riposo non lo fanno, ma l’informazione manca soprattutto in quei locali che il turno lo osservano. Sicché ti trovi a telefonare per prenotare in quel locale, e naturalmente la fortuna è in agguato, e nella migliore delle ipotesi trovi una segretaria che ti informa anche del giorno di chiusura, ma a quel punto non ti serve a niente. Altre volte il telefono suona a vuoto, e intuisci perché. Ma è così difficile mettere il numero di telefono e il giorno di chiusura nella home page del sito del ristorante?
Pubblicato il 30.06.10 22:30 | | Commenti(0) | Invia il post
28/06/2010

Cipressi in Toscana

Scritto da: Francesco Arrigoni alle 23:31

cipresso.JPG
Cipresso, l'enologo (Roberto) e cipresso, la pianta (Cupressus sempervirens)

Pubblicato il 28.06.10 23:31 | | Commenti(0) | Invia il post
27/06/2010

Le origini della viticoltura al Podere Forte

Scritto da: Francesco Arrigoni alle 23:00

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La vitis silvestris, la vite selvatica, è la madre di tutte le viti, dalla quale -  con un processo di domesticazione durato millenni - discendono tutte le varietà di vite coltivate oggi nel mondo. In origine la vitis silvestris cresceva nei boschi, come una sorta di liana che si abbarbicava sugli alberi, finché l’uomo non l’ha tolta dei boschi, l’ha moltiplicata, prima per seme e poi per talea, e nel corso dei secoli l’ha selezionata e incrociata creando le migliaia di vitigni che si coltivano oggi. I primi tentativi di domesticazione della vite risalgono al quinto millennio prima di Cristo in Anatolia, in Italia invece l’addomesticamento della vite ha avuto inizio “solo “ tremila anni prima di Cristo. Alla vite selvatica è stato dedicato il convegno internazionale “Origini della viticoltura”. Un convegno di alto profilo scientifico ospitato nelle cantine del Podere Forte di Castiglione d’Orcia, la magnifica azienda vitivinicola creata dall’imprenditore Pasquale Forte, il mecenate che ha reso possibile questo straordinario evento. Esperti provenienti da paesi in cui sono stati ritrovati, studiati e selezionati esemplari di vitis silvestris  - Georgia, Spagna, Francia, Italia – coordinati dal professor Attilio Scienza dell’Università di Milano (una delle massime autorità mondiali in fatto di viticoltura) hanno ragionato e condiviso i risultati delle più recenti e sofisticate indagini basate sull’analisi e la comparazione dei marcatori del DNA della vite selvatica. La dottoressa Barbara Biagini (Università di Milano) ha illustrato i luoghi di ritrovamento della vitis silvestris in Itala evidenziando come la Toscana sia la regione italiana dove è presente il maggior numero di esemplari di vitis silvestris, concentrati prevalentemente nei boschi della Maremma che si affacciano sul litorale tirrenico. Non a caso furono proprio gli etruschi i primi viticoltori dell’età antica che tolsero la vite dei boschi, e la coltivarono, con il sistema della vite maritata all’albero; o testuccio, sistema che ancora oggi, si ritrova in alcuni angoli remoti della campagna toscana. Andrea Ziffero e Andrea Ciacci (Dipartimento di Archeologia dell’Università di Sena) ha illustrato la ricerca che ha studiato in parallelo la domesticazione della vite in epoca etrusca e lo sviluppo dei siti archeologici, con l’interessante caso a del sito di Ghiaccioforte a Scansano, territorio dove si vorrebbe realizzare un Parco della Vitivinicoltura antica. Così come è stato esposto il progetto Senarum Vinea che si ripropone di recuperare le vecchie forme di viticoltura nel contesto urbano della città di Siena. Obiettivo finale del convegno è stato quello di gettare le basi per costituire un gruppo di lavoro internazionale e multidisciplinare sull’origine della vite selvatica, proprio in occasione del 2010 “Anno internazionale della biodiversità”. Gruppo di lavoro che potrebbe avere la sede operativa proprio in Toscana, una proposta che è stata ascoltata da Anna Rita Bramerini Assessore all’ Ambiente della Regione Toscana intervenuta ai lavori (nella foto con il professor Scienza).
Pubblicato il 27.06.10 23:00 | | Commenti(0) | Invia il post
07/06/2010

Moby Dick presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino

Scritto da: Francesco Arrigoni alle 23:30

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Alla fine Moby Dick, dopo una lunga e onorata carriera ha aggiunto un’altra carica istituzionale alla sua collezione. Moby Dick, è il soprannome che ho affibbiato a Ezio Rivella in una querelle ai tempi del metanolo (“Noi siamo come un balena bianca coperta di ferite”, disse allora il Rivella). Settantasette anni, Cavaliere del Lavoro, originario di Castagnole Lanze, Rivella ha presieduto pressoché tutte le più alte cariche delle istituzioni del vino. È stato: presidente de l’OIV (Office International de la vigne et du Vin), presidente di Assoenologi, Presidente dell’Unione Italiana Vini. presidente del Comitato Nazionale Vini (il comitato che sovrintende a DOC e Denominazioni), presidente dell’Accademia della Vite e del vino. Insomma ha presieduto tutto il possibile gli mancava appunto la ciliegina sulla torta: la presidenza del Consorzio di Tutela del Brunello di Montalcino. La sua elezione ha suscitato molte polemiche. A rischio di farmi crocifiggere, dirò invece che Rivella è l’uomo giusto al momento giusto.
Ma prima, per i non addetti, voglio ricordare alcune cose. Rivella a metà degli anni ’80 fu scelto dagli americani fratelli Mariani per impiantare la nuova azienda vitivinicola a Montalcino. Lo scopo era di produrre costaggiù un vino bevanda - il moscadello -  da confezionare anche in lattina ed esportare negli Stati Uniti per fare concorrenza al lambrusco Giacobazzi che allora furoreggiava. Un’idea di business alquanto originale, nevvero. Voglio fare notare una cosa: se si pensa di fare un vino in lattina, non si vanno ad acquistare le vigne in un luogo dove i prezzi sono alti. E allora a Montalcino, i prezzi non solo erano bassi, ma stracciati. Infatti Villa Banfi (poi divenuta semplicemente Banfi) acquistò centinaia di ettari di colline tormentate sul versante meridionale di Montalcino, sull’arroventato costone di Sant’Angelo in Scalo, colline irregolari che vennero “rivellate” (termine coniato all’epoca, pe definire le colline rimodellate dai caterpillar sotto gli ordini di Rivella) e piantate con decine di ettari di vigneto di moscato, moscato d’Asti, capito? Il fato però era in agguato e l’affare moscadello per gli USA, andò malissimo e non se ne fece più niente. E fu una fortuna, fu l’inizio della era d’oro di Montalcino. Rivella “obtorto collo” si decise a tagliare le viti di moscato e sovrainnestarle a sangiovese. La scelta di Banfi di convertirsi al Brunello accese la miccia che portò all’esplosione del Brunello. In altre parole Rivella (e la Banfi) misero il pepe al culo agli ilcinesi (intesi come abitanti di Montalcino) e agli altri forestieri che presero ad  investire nelle vigne e nel vino di Montalcino. Sono seguiti anni di crescita tumultuosa di cui tutti a Montalcino hanno beneficiato. Al cavalier Rivella solo per il fatto di avere fatto da stimolo, cioè di avere fatto da catalizzatore, dovrebbero fargli la statua equestre in piazza. Poi c’è stata la crisi economica (che ha toccato anche il Brunello), e poi Brunellopoli, lo scandalo con l’inchiesta che ha coinvolti grandi nomi del vino di Montalcino sospettati (non solo sospettati) di avere contraffatto il Brunello di Montalcino aggiungendo altre uve che non erano sangiovese. Rivella in più occasioni ha detto che il sangiovese in queste zone ha dei limiti e la soluzione sarebbe quella di tagliarlo con altri vitigni alloctoni (leggasi cabernet e merlot) così come è già stato fatto nel Chianti. Apriti cielo, i tradizionalisti hanno fatto una levata di scudi. Ora però Rivella è presidente del Consorzio e se vuole mettere le mani ad una modifica del disciplinare ha tutti i poteri per farlo e l’esperienza e le conoscenze per farlo in breve tempo. E’ questo che farà Rivella? O ci sarà una conversione sul sangiovese e in purezza (cosa che da esperto di cetacei, dubito)? Una cosa è certa Rivella anche se autoritario non è un dittatore che può imporre il suo volere, ma come ogni presidente è li ad interpretare i desideri di coloro che lo hanno eletto. E quindi per vedere per quali motivi lo hanno eletto non bisognerà aspettare molto. Se poi Rivella sarà in grado di ridare autorevolezza al Brunello di Montalcino e riportarlo all’altezza del nome e della fama di cui questo vino gode (e spesso usurpata), questo sarà molto più difficile. Certo è che se Rivella avrà successo, sarà segno, una volta di più, che gli ilcinesi per risolvere i loro problemi hanno sempre bisogno del cavaliere straniero. Del lavoro e piemontese, in questo caso.
Pubblicato il 07.06.10 23:30 | | Commenti(0) | Invia il post
03/06/2010

Per chi sono gli scampi?

Scritto da: Francesco Arrigoni alle 22:00

Una necessaria premessa: ho grande stima per i camerieri che lavorano nei ristoranti, perché il loro è un lavoro duro, faticoso, molto spesso mal pagato e poco apprezzato. Spesso i camerieri sono bistrattati anche dai clienti (il maledetto vizio di apostrofarli dandogli del “tu” anche se non li si conosce personalmente”) e molti altri comportamenti verso questi lavoratori della ristorazione che vi risparmio, perché li conoscete meglio di me. Ma certo ci sono anche camerieri che non sanno fare il loro mestiere, e che lo fanno solo perché non hanno alternative. A volte il servizio che assicurano certi camerieri lascia molto a desiderare, ma finché questo si verifica in una pizzeria, in un’osteria, in una trattoria si potrebbe anche sorvolare. Gli è che invece ci sono episodi di mal servizio anche in ristoranti molto costosi e pretenziosi, i cosiddetti ristoranti stellati. Camerieri sussiegosi che ti squadrano dall’alto in basso, che sono rigidi, che un sorriso non te lo dispensano nemmeno per idea. Tutti belli e inamidati della loro divisa perfetta. Ma poi ti cadono sui fondamentali. Una cosa che mi dà particolarmente fastidio, che mi è giusto capitata ieri in un ristorante pretenzioso, stellato e costoso, è quello che riguarda la comanda.
Sei al tavolo e dopo aver letto il menù arriva il cameriere (che a volte è anche maître) che prende la comanda (ovvero l’ordinazione). Siamo in due al tavolo. Ordiniamo due antipasti e due secondi (quattro piatti in tutto, non è molto difficile mandarli a mente, ma se non si riesce si usa un taccuino). Aggiungo pure che nel ristorante in questione i tavoli occupati sono in tutto quattro. Passano un po’ di minuti e arriva il cameriere portando i primi due piatti, gli antipasti, e domanda: “Per chi sono gli scampi?”. Ecco questa è un cosa che a me da fastidio, e che non dovrebbe capitare in nessun ristorante, tanto meno in un locale di lusso, o ristorante stellato che dir si voglia. Una cosa che insegnavano alla scuola alberghiera era quella di segnare sulla comanda i piatti e la posizione dei commensali che li hanno ordinati, onde non dover interrogare il cliente per sapere cosa ha ordinato. Ma evidentemente questa cosa non si fa più. Sarò categorico: per me un ristorante dove ti chiedono cosa hai ordinato per servirti il piatto non merita nessun stella Michelin, nessun alto voto sulle guide. Sapere fare le comande non è l’ABC del servire al tavolo, sono le astine e i puntini della professione.
Pubblicato il 03.06.10 22:00 | | Commenti(2) | Invia il post
28/05/2010

Francesco Iacono, il primo Franciacorta dedicato all’enologo

Scritto da: Francesco Arrigoni alle 23:00

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Dare il proprio nome ad un Franciacorta è una moda che ha inaugurato nel 1979 Maurizio Zanella dando il nome della riserva di Ca’ del Bosco alla madre, creando la Cuvée Annamaria Clementi Zanella, divenuta una delle pietre miliari del Franciacorta DOCG. Poi è toccata alla riserva Vittorio Moretti, che l’azienda Bellavista ha dedicato al proprio fondatore, quindi è stata la volta della riserva Giovanni Cavalleri che la figlia Giulia Cavalleri ha voluto dedicare al padre (di cui avevo scritto qui su questo blog lo scorso anno). Tutti e tre i Franciacorta sono stati dedicati a personaggi titolari di azienda. E’ stata appena presentata la riserva Francesco Iacono di Villa Crespia del gruppo Muratori. Una cuvée dedicata ad un  altro personaggio della Franciacorta. La differenza questa volta è che Iacono è per certi versi un personaggio, ma non è uno dei titolari dell’azienda (che sono i fratelli Muratori), bensì l’enologo e direttore dell’azienda. In realtà non è proprio così. Iacono è molto più di un ‘enologo. È lo stratega del gruppo Muratori, quello che ha progettato la realtà di arcipelago Muratori, quattro aziende collocate in vari angoli d’Italia ognuna specializzata nella produzione di una ben precisa tipologia di vino: Villa Crespia in Franciacorta dove si fanno solo Franciacorta, Rubbia al Colle a Suvereto in Toscana dove si fanno solo vini rossi, in Campania Oppida Aminea per i vini bianchi del Sannio e i Giardini Arimei ad Ischia per i vini dolci. Iacono è stato per molti anni il capo dipartimento della ricerca all’ Istituto Agrario di San Michele all'Adige un ricercatore puro, che poi ha lasciato la grammatica per passare alla pratica. Bisogna dire che nell’ambiente degli enologi molti guardavano con curiosità questo professore senza alcuna esperienza pratica. I Muratori gli hanno dato carta bianca per realizzare i suoi  progetti che hanno comportato enormi investimenti (si parla di oltre cento milioni di euro). E ora lo gratificano con la dedica di una etichetta. E’ il primo caso in Italia, e credo al mondo, che un ‘etichetta sia intitolata all’enolo di una azienda vitivinicola. La cuvée Francesco Iacono è una riserva Extra Brut del 2002. In pratica si tratta di una parte delle bottiglia di Numero Zero, il primo Franciacorta “pubblicato” da Villa Crespia, uno chardonnay in purezza, non dosato, cioè senza aggiunta di liqueur. La riserva Francesco Iacono si avvantaggia di ben 90 mesi di permanenza sui lieviti, la qual cosa ha dato un certo spessore al vino, una pienezza e soprattutto, ha domato il carattere nel senso che il vino risulta anche meno tagliente di quanto non fosse all’inizio (parlo con riferimento al Numero Zero) piuttosto arrotondato, pieno e di grande persistenza. Con questa bottiglia Iacono ha definitivamente abbandonato il vestito da professore ricercatore, per quello di chef de cave, nel senso champenoise del termine.
Pubblicato il 28.05.10 23:00 | | Commenti(0) | Invia il post
26/05/2010

Figli di un riesling minore

Scritto da: Francesco Arrigoni alle 23:00

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Mario Pojer
e Fiorentino Sandri, storica coppia del vino trentino, una ne fanno cento ne pensano. Alcuni anni fa hanno inventato il Merlino, una sorta di “Porto all’italiana”, cioè un vino a base di lagrein la cui fermentazione viene bloccata (per mantenere il dolce e la fragranza fruttata) con l’aggiunta di brandy (il brandy Divino di produzione propria). Si tratta di un vino dolce con una gradazione di oltre 15 gradi. Adesso Pojer & Sandri escono in commercio con un vino che, in fatto di gradazione, va in direzione opposta. Si chiama Filii (figli cioè) ed è un vino a bassa gradazione, vale a dire soltanto 9 gradi. E’ prodotto con uve riesling e  quella di altri vitigni in qualche modo geneticamente discendenti dal riesling cioé il kerner e l’incrocio Manzoni. I pratica è il tentativo di fare in Trentino un vino della Mosella, come fosse una vendemmia di tipo kabinett. Le uve provengono parte da Faedo dove c’è la storica sede dell’azienda e dalla tenuta Valbona in Val di Cembra. La vinificazione avviene a bassa temperatura in modo da bloccare la fermentazione quando si raggiungono i 9 – 9,5 gradi. E’ un vino piacevole, immediato, spensierato, molto godibile, con una certa cadenza sul dolce. Vista la pressione che si sta esercitando sul consumo di bevande alcoliche certamente è un vino che avrà un suo spazio proprio per il suo basso tenore di alcol, e vista la tipologia soprattutto per il pubblico femminile. L’etichetta riproduce la scritta “filii” tratta da un incisione di Albrecht Dürer. Si n dagli inizi della loro attività Pojer & Sandri hanno utilizzato per le loro etichette le riproduzioni di particolari di incisioni del Dürer che transitò in questi luoghi (e documentò) nel suo viaggio verso Venezia nel 1495.
Pubblicato il 26.05.10 23:00 | | Commenti(1) | Invia il post
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