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Poesia
29/08/2010

NOTIZIA: A Pier Luigi Cappello il Premio Viareggio 2010 per la Poesia e a Fernando Bandini il Premio del Presidente

Scritto da: Ottavio Rossani alle 08:02

Pier Luigi Cappello è il vincitore del Premio Viareggio 2010 per la Poesia con la raccolta Mandate a dire all'imperatore (Crocetti, 2010). Ecco la motivaziobne della Giuria: "Più giovane vocazione poetica ma già con le stimmate della propria genesi dolorosa e necessaria, Pier Luigi Cappello misura, in un doppio registro emotivo-linguistico, italiano e friulano, il suo sentimento del tempo e del recupero memoriale. Un tempo, il suo, frazionato  in «minuti raddensati in secoli / nei gesti di uno stare fermi nel mondo». Un ricordare di «chi non ha più niente dietro di sé» o ha «la memoria lunga / di chi ha poco da raccontare», nella coscienza che «il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate / nello scorrere dei volti chiamati». Così dicono i suoi versi, dove tuttavia di prepotenza scatta una forza intima ed estrema, capace, da sparsi e minuti indizi, di ricostruire l’universo e di guardare, di noi, ciò che non resta «dopo che tutto è stato fatto per trattenere la vita». Perché di noi qui si parla, e con noi di un mondo che va comunque cantato, nella sua prepotente e sensitiva natura, nell’eco delle voci e nell’ombra dei volti e nella traversia delle cose che contano, con trasporto amoroso e con tenace patire".

Pierluigi Cappello (Gemona, 1967) ha compiuto gli studi a Udine e a Trieste. Vive a Tricesimo dove svolge un’intensa attività culturale. Le sue principali raccolte di poesie in italiano e in friulano sono: La misura dell’erba (Editore I.M. Gallino, Milano 1998), Amôrs (Campanotto, Udine 1999. Premio Lanciano - M. Sansone 1999), Dentro Gerico (Circolo Culturale di Meduno, Pordenone. 2002), Dittico (Liboà, Dogliani 2004, Premio Montale 2004). Ha raccolto gran parte dei suoi versi in Assetto di volo (Crocetti 2006, Aryballos 40), vincitore del Premio Montale, del Premio San Pellegrino, del Premio Bagutta Opera Prima 2007e del Premio Lagoverde. lla 2008). Nel maggio 2010 pubblica Mandate a dire all'imperatore (Crocetti, Milano 2010). Ecco una poesia dal libro premiato:

 

Piove 



 

Piove, e se piovesse per sempre

sarebbe questa tua carezza lunga

che si ferma sul petto, le tempie;


eccoci, luccicante sorella,


nel cerchio del tempo buono, nell’ora indovinata

stiamo noi, due sguardi versati in un corpo,


uno stare senza dimora

che ci fa intangibili, sottili come un sentiero di matita


da me a te né dopo né dove, amore, nello scorrere


quando mi dici guardami bene, guarda:

l’albero è capovolto, la radice è nell’aria.


                    Pier Luigi Cappello

Da Mandate a dire l'imperatore (Crocetti)

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Il Premio del Presidente è stato attribuito a Fernando Bandini, Quattordici poesie (L’Obliquo, 2010). Bandini (Vicenza, 1931) è poeta, critico e docente di stilistica e metrica. Ha pubblicato, in versi, In modo lampante (Neri Pozza, 1962), Memoria del futuro (1969) e La Màntide e la città (1979), per Mondadori. Nel 1994 Santi di dicembre, nel 1998 Meridiano di Greenwich, nel 2007 Dietro i cancelli e altrove, per Garzanti.

 

Oscuramento

 

Buie ore di guerra, vie deserte


del coprifuoco: chiuse


le nostre case al mondo, sigillate le imposte.


Talvolta rochi allarmi


di sirene annunciavano formazioni di Airfortress


dirette verso il Nord. Di quelle sere

della mia infanzia

io ne ricordo soprattutto una.


Ero già sotto le coperte

e fissavo il soffitto;

mia madre in piedi accanto


al letto recitava: "Ave Maria,

piena di Grazia, il Signore è teco"

perché pensassi al cielo prima di addormentarmi.

Fu allora che gridai: «Mamma, lassù c’è un geco

aggrappato a una trave che ci spia!».

Di certo ci vedeva come presenze aliene

in fondo a una laguna.

Non lo sguardo di Dio sopra di noi


ma gli occhietti sporgenti del domestico rettile

dalle zampine prensili


che insidiava una mosca nell’alone


pallido della lampada

e il rombo lontanante dei B17

in volo sui paesi illuminati

soltanto dalla luna.

                 Fernando Bandini

Da Quattordici poesie (L'Obliquo)

 

Pubblicato il 29.08.10 08:02 | | Commenti(0) | Invia il post
27/08/2010

NOTIZIA : Antologia con inediti in onore di Luciano Erba nel trigesimo della morte (5 settembre)

Scritto da: Ottavio Rossani alle 20:04

Un'antologia con sue poesie inedite e con autografi sarà pubblicara da Interlinea per ricordare il poeta Luciano Erba, scomparso a 88 anni lo scorso 5 agosto. Il libro uscirà in libreria per il trigesimo della morte, 5 settembre, che sarà celebrato con una Messa alle ore 18 nella Chiesa di San Pietro in Sala, a Milano (piazza Wagner). Luciano Erba aveva collaborato con le edizioni Interlinea, collaborando a lanciare la collana di poesia "Lyra". Inioltre aveva sostenuto la pubbloicazione degli scritti di Clemente Rebora, mediando il passaggio dalle edizioni Scheiwiller appunto ad Interlinea. Infine aveva anche pubblicato con queste edizioni l'antologia Natale in poesia, da lui curata.
Pubblicato il 27.08.10 20:04 | | Commenti(0) | Invia il post
27/08/2010

NOTIZIA: Fabio Scotto al Festival di Lubiana con il suo libro "L'intoccabile" appena tradotto in sloveno

Scritto da: Ottavio Rossani alle 17:37

Fabio Scotto è ospite al festival di poesia di Lubiana con il libro L'intoccabile appena tradotto in sloveno. Al poeta, che rappresenta l’Italia nel prestigioso Festival europeo di Poesia, il “Days of Poetry and Wine”, che si chiude domani in Slovenia, è stato dedicato un incontro per la presentazione dell’edizione slovena del suo volume L’intoccabile (Passigli, Firenze, 2004). L’appuntamento è stato mercoledì scorso alle 17 nel Castello di Ptuj. Presenti l’autore, la sua traduttrice e l’editore Ivan Dobnik. Per le edizioni Poetikonove Lire di Lubiana, con la traduzione di Nadja Dobnik, è appena uscito in libreria l’edizione slovena dal titolo Nedotakljivo, in una collana di poesia dove già figurano, tra l’altro, opere integrali di Yves Bonnefoy, Philippe Jaccottet, Jean-Michel Maulpoix, Francis Ponge ed Henri Michaux.

 

Pubblicato il 27.08.10 17:37 | | Commenti(0) | Invia il post
27/08/2010

NOTIZIA: Da domani venerdì a Vetto una due giorni su Luciano Anceschi, "il verri" e l'esperienza poetica ed editoriale di Adriano Spatola a Bazzano

Scritto da: Ottavio Rossani alle 16:13

Domani venerdì 28 e sabato 29 agosto a Vetto sull'Enza (RE) si svolgerà una due giorni letteraria in omaggio a Luciano Anceschi, a cura di Daniela Rossi. L'evento rientra nell'ambito delle celebrazioni per la Biennale del Paesaggio organizzata dalla Provincia di Reggio Emilia, con la collaborazione del Comune di Vetto. Due giorni dedicati alla storica rivista di letteratura e poesia Il verri fondata e diretta dal 1956 da Luciano Anceschi, Docente di Estetica all'Università di Bologna.

A Vetto, dove Anceschi trascorreva le vacanze, si tenevano le riunioni di redazione, con critici, intellettuali, scrittori e poeti. Ora nella casa, in estate abitata dal figlio Giovanni Anceschi e dalla poetessa Milli Graffi, si conserva l’ archivio della rivista, tuttora pubblicata da Giovanni Anceschi e Milli Graffi.

L'iniziativa ha lo scopo di celebrare un ponte metaforico ma anche reale fra Vetto e Bazzano, per ricordare il legame tra Luciano Anceschi e i poeti del Mulino di Bazzano, di proprietà del poeta Corrado Costa e abitato dai poeti Giulia Niccolai e Adriano Spatola, che qui fondarono la mitica rivista di poesia “Tam Tam”, pubblicata dalle Edizioni Geiger. Il ponte sull’Enza, che unisce il versante parmigiano a quello reggiano, veniva attraversato da poeti, scrittori, collaboratori, che andavano a Bazzano da Vetto e viceversa.

A Vetto e  alla Locanda degli Asini di Spigone, locale tra i castagneti dove si coniugano buona tavola e cultura, si gusteranno due giorni di letture, musica, presentazioni di libri e video esi terrà un seminario sul rapporto tra Anceschi e i poeti del Mulino di Bazzano, con la partecipazione di artisti,  scrittori, poeti e intellettuali che hanno vissuto quella straordinaria avventura.

Alle due giornate parteciperanno Nanni Balestrini (uno dei primi redattori de il verri), i critici Andrea Cortellessa e Niva Lorenzini, che vi collaborano attualmente, il musicista e performer Luigi Cinque, le poetesse Milli Graffi e Giulia Niccolai, la critica Cecilia Bello Minciacchi, Maurizio Spatola, fratello di Adriano e co-fondatore delle Edizioni Geiger, lo scrittore reggiano Giuseppe Caliceti, il poeta visivo Enzo Minarelli, il critico Eugenio Gazzola, il musicista Giuliano Zosi, lo scrittore Beppe Sebaste, discepolo e amico di Anceschi, e altri amici poeti e critici.

Domani pomeriggio a Spigone verranno presentati il libro di Niva Lorenzini Edoardo Sanguineti - Lettere dagli anni ’50, lettere di Edoardo Sanguineti a Luciano Anceschi e La repubblica dei poeti. Gli anni del Mulino di Bazzano",libro con  DVD di Daniela Rossi.

Sempre a Spigone la serata di reading di poeti, musica e performances e una lettura musicale di Massimo Zamboni.

Il 29 nella Sala Polivalente di Vetto Giovanni Anceschi e Milli Graffi coordineranno il convegno I sentieri della poesia tra Vetto e Bazzano, con la partecipazione di critici, poeti e artisti. Info: info@locandadegliasini.it - Tel. 0522/815221

Pubblicato il 27.08.10 16:13 | | Commenti(0) | Invia il post
26/08/2010

NOTIZIA: Da oggi il festival di poesia di Catania. Ospiti: Milo De Angelis, Antonio Riccardi e Alessandro Quasimodo che presenta il recital "La terra impareggiabile" per il 50esimo della morte del padre premio Nobel Salvatore

Scritto da: Ottavio Rossani alle 16:00

Stasera giovedì 26 agosto alle ore 21, nell'Orto Botanico dell'Università degli Studi di Catania, prenderà il via il festival "isolaPoesia", a cura di Giuseppe Condorelli e Paolo Lisi. Ospiti saranno: Milo De Angelis e Antonio Riccardi. Ecco il programma dettagliato: 


Giovedì 26 agosto ore 21

Letture:  Milo De Angelis / Antonio Riccardi

Premio IsolaPoesia 2010 ad Alessandro Quasimodo
La terra impareggiabile: Alessandro Quasimodo, voce recitante / Mario Cei, voce recitante / Flavio Minardi, chitarra /mandolino /ocarina /marranzano

 

Venerdì 27 agosto ore 21.00 / Lido dei Ciclopi, Aci Trezza 

 

Letture: Maria Attanasio / Tiziano Broggiato / Anna Buoninsegni / Antonio Riccardi / Angelo Scandurra

Suoni: Alfredo Longo / chitarra

 

 

Sabato 28 agosto ore 21.00 / Villa delle Favare / Biancavilla 

 

Letture: Anna Buoninsegni / Milo De Angelis / Loretto Rafanelli

Suoni: Edoardo Priscimone / clarinetto / Giuseppe Ventura / pianoforte

 

 

Domenica 29 agosto ore 21.00 / ex Stabilimento Monaco, Misterbianco

 

Letture:  Sebastiano Burgaretta/ Antonio Di Mauro / Loretto Rafanelli

Suoni: Sçiatu Project, Josè Marano / sassofoni / Marco Pianges / elettronica / Stefano Rigano / video performer.

La Terra di Eva: Francesca Merloni. Presenta Anna Pavone

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LA TERRA IMPAREGGIABILE è un titolo quasimodiano. Alessandro Quasimodo ha curato lo spettacolo omonimo, costituito da poesie, e altri testi del poeta. Egli stesso lo interpreta insieme con Mario Cei. Chitarra, mandolino, ocarina e marranzano: Flavio Minardo

 

La Sicilia tra mito e letteratura, questo l’assunto di un recital che ripercorre la storia di un legame inscindibile fra “la terra impareggiabile” quasimodiana e i suoi più importanti narratori del novecento, da Verga a Pirandello, da Vittorini a Bufalino, a Sciascia.
Quasi con un’unica voce, gli autori siciliani parlano della loro isola, di volta in volta, con accorato rimpianto, struggente amarezza, radicato fatalismo e non rassegnata accettazione, ma sempre con appassionato amore.
La poesia di Salvatore Quasimodo è il filo conduttore e costituisce l’ossatura di questo percorso che vuole restituirci un’immagine della Sicilia lontana da abusati stereotipi o, ancor peggio, da ormai improponibili motivi folclorici.
I temi sono molteplici, dal sentimento di appartenenza ad un mondo in cui “la (…) razza ha coltelli che ardono e lune e ferite che bruciano” (Le morte chitarre), all’orgoglio mai piegato di chi grida ovunque si trovi la sorte della propria terra (Lamento per il Sud).
L’isola è il luogo dell’incanto, della luce e dei colori intensi, ma è anche il luogo dell’alienazione, di chi “è e si fa isola a sé” (L’isola nell’isola) e il luogo da cui si fugge per cercare chissà dove chissà quali certezze, per poi struggersi nell’angosciante impossibilità del ritorno.
La Sicilia è il luogo degli affetti, dei legami familiari e del recupero dell’infanzia, che anche nella distanza del tempo e dello spazio, mai si affievoliscono e si perdono (Al padre, Intervista a mia madre, Lettera alla madre).
Non manca l’aspetto ironico, il divertissement, come ne La rallegrata di Pirandello o nel brano tratto da Cere perse di Gesualdo Bufalino in cui si scoprono vizi e virtù del “siciliano eccellente”.
Il viaggio si conclude con la novella di Pirandello Di sera, un geranio, in cui alla fine della propria esistenza, nel momento del distacco, arde in noi il desiderio di ritornare nella corporeità nuda e immortale di una cosa, di una pietra “O anche un fiore che duri poco: ecco questo geranio… Di sera, qualche volta, nei giardini s’accende così, improvvisamente, qualche fiore, e nessuno sa spiegarsi la ragione”.

 

 

 

 

 

Pubblicato il 26.08.10 16:00 | | Commenti(0) | Invia il post
20/08/2010

NOTIZIA: Le poesie di Sergio Zavoli aprono stasera a Tuscania la rassegna "Ci manda Petrarca e anche Bob Dylan"

Scritto da: Ottavio Rossani alle 09:40

Stasera, 20 agosto, a Tuscania nell’Anfiteatro del Parco Torre di Lavello, alle 21,15, si apre la rassegna di poesia con musica “Ci manda Petrarca… e anche Bob Dylan”, a cura di Ennio Cavalli.

zavoli.jpgLa prima delle tre serate avrà per protagonista Sergio Zavoli a colloquio con Ennio Cavalli. Tra letteratura, giornalismo d’autore e vita civile, l’autore di “Viaggio intorno all’uomo” e di altri famosi reportages, è stato definito da Indro Montanelli “il principe del giornalismo televisivo”. Zavoli presenterà il suo ultimo libro di poesie edito da Mondadori, La parte in ombra, (2009) e leggerà alcuni testi. Nato a Ravenna nel 1923 e cresciuto a Rimini, di cui è cittadino onorario, Sergio Zavoli è al suo quarto volume di poesie. Autore radiofonico e televisivo, è stato Presidente della RAI ed è Senatore della Repubblica. L’Università di Urbino gli ha conferito la laurea ad honorem in Lettere, l’Ateneo romano di Tor Vergata la laurea honoris causa in Giornalismo. Tra i suoi libri: Nascita di una dittatura (1973, Premio Campione), Socialista di Dio (1981, Premio Bancarella), Romanza (1987, Premio Basilicata), La Notte della Repubblica (1992, Premio Saint Vincent e Giornalista dell’anno), e molti altri, tra cui le raccolte di poesie Un cauto guardare (1995, Premio Alfonso Gatto), In Parole strette (2000), L’orlo delle cose (2004).

Il direttore artistico della festa, Ennio Cavalli, romagnolo, vive tra Roma e Tuscania. Caporedattore culturale del Giornale Radio Rai, con Libro Grosso (Aragno) ha vinto il Premio Viareggio Poesia 2009. Con il romanzo Quattro errori di Dio (Aragno), ha vinto il Premio Campiello 2005 – Giuria dei Letterati. Tra le raccolte di poesia, Naja tripudians (1976), Carta intestata (1981), Po e Sia (1991), L’imperfetto del lutto (2008, Premio Fabriano). Nel corso della serata è atteso un ospite a sorpresa. Da indiscrezioni il cantautore Mario Castelnuovo in una breve performance dal vivo.

La manifestazione prosegue fino al 22 agosto, tutti gli spettacoli sono a ingresso libero.

Sabato 21 agosto: La voce e i versi della poetessa polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel 1996, in un recital di    Tiziana Bagatella con la cantante Patrizia Rotonda e il pianista Carlo Mezzanotte. **La terza e ultima serata, domenica 22 agosto, la cantante-attrice Ottavia Fusco presenterà il suo spettacolo “Gli anni zero”, con le canzoni scritte da Umberto Eco, Dacia Maraini, Edoardo Sanguinetti, Vittorio Sgarbi, Giorgio Albertazzi e altre firme della letteratura e del mondo dello spettacolo, musicate e arrangiate per l’occasione.

 

Pubblicato il 20.08.10 09:40 | | Commenti(0) | Invia il post
12/08/2010

Percezioni olfattive di figure e cose nelle “Vite pulviscolari” di Maurizio Cucchi

Scritto da: Ottavio Rossani alle 20:15

Guido Monti ha scritto per il blog su "Vite pulviscolari" di Maurizio Cucchi la seguente recensione:

cucchi.jpeg"Nell’ultimo libro di Maurizio Cucchi “Vite pulviscolari”, ciò che colpisce, è la capacità della parola poetica di stimolare il senso visivo ed olfattivo del lettore. Una percezione di odori che si traduce in sensazioni visive e viceversa. È come se i sensi tornassero ad unirsi e la parola stesse lavorando ad un confine estremo di ricerca. Difatti la raccolta, nella prima parte, procede per figurazioni. Si srotolano i fotogrammi di una pellicola in bianco e nero, che ci parlano dei luoghi di un Italia lontana ma anche di un habitus mentale ormai perduto di autentica capacità di relazioni e costruzioni amicali, un modus toccante che riemerge in filigrana tra frammenti di spazio e profili di uomini: “Linares leggero, leggiadro nel suo/ sorriso brizzolato, nella sua vissuta/ aria da gentiluomo triste colitico,/..remotissimo oramai. Quasi, bambino, io l’avevo/ adottato..”.

È come se il libro, sempre per rimanere nell’ambito dei sensi, in tutte le sue parti, avesse una “memoria respiratoria”, come direbbe Elias Canetti. Questo atto del memorare, che diventa respiro lunghissimo, faticoso, e che ci traghetta verso un’interrogazione totale dell’esistente. Tanto che la parola non apre mai ad una nitidezza del vissuto, anzi lo sfuma, lo opacizza, quanto più si articola la domanda esistenziale. Ecco una poesia che sintetizza gli elementi descrittivi e simbolici delle visioni "realiste":

 

La traversata

Seduto in fondo, rido per l’acqua
che arriva a schizzi sui sedili
sverniciati. Ho visto il volto terreo
dell’oste, il grande corpo
smangiato e d’improvviso, con un brivido,
il cranio rasato della dolce postina. Parlottavo,
leggero. Ma quando ho mosso lo sguardo
verso l’orizzonte
è sceso un cupo silenzio
e mi ha assorbito. Desideroso
di luce e terra l’orizzonte è una lama,
uno specchio che mi cancella.

                                    Maurizio Cucchi

Da Vite pulviscolari (Mondadori, 2009, pagg.105, euro 13)

Le stanze-vie in visione di Maurizio Cucchi sono inquadrate nella loro parte oscura, umorale, quasi toccate dal silenzio di certa luce in fuga, come negli spazi di De Chirico: “..poi ti aspettavo/ calmo, lungo la via fino al capolinea,/ in un tragitto carico di simboli”. E l’acuta visione sempre presente non è che lo svilupparsi per gradi del dono iniziale d’osservazione di un bambino, che impara presto la domanda esistenziale. Osserva gli interni urbani che gli sono attorno e certi visi archetipi che,  seppur ingoiati dalla morte, sembrano lasciare una scia in altri corpi e visi, che ad essi per umore e compostezza s’avvicinano. Il seme delle identità più care trasmigra a ventaglio nel tempo degli uomini che verranno; questo il miracolo: “…come la dolce fanciullina al piano,/ Claudia il suo nome, nel suo profilo nero,/ nel suo abitino bianco, che ti fa omaggio/ e ti si inchina, ti raddoppia/ dopo vent’anni”.

maurizio_cucchi.jpg
E quando a riapparire è la fragile ombra di madre, col suo carico di dolore, la città sembra restringersi in uno spazio minuscolo e, quasi per contrappasso, quel senso di tenue grazia del piccolo corpo, del piccolo soffrire, è come se illuminasse il grand’angolo della reminiscenza di chi resta, vero strumento di interpretazione del reale: “..perché era piccola allora la città,/ piccola madre in abbandono/ come Agnese, piccola madre/ che non ci sei più”.

Altro dato d’ascolto, se non di visione, è la lenta trasformazione semantica della parola; il suo fondale sempre mobile, si colora ne “L’orizzonte degli eventi” di una interrogazione totale. Una parola nuda, che ricerca la verità, calandosi nella materia direi quasi organica e che pensa l’individuo, come parte di questa fisiologia naturale, di là da ogni escatologia della salvezza. Solo nella terra, l’uomo può stordire i suoi sensi abituati alla ragione secolarizzata e respirare la verità semplice: “..tra bassi fili d’erba perdersi/ e finalmente udire/ il formicolare immenso,…”

La natura così ciclica e inarrestabile, anche di fronte alle sovrastrutture salvifiche-scientifiche del moderno, è dentro questa materia, e nel suo procedere in fiumi, laghi, boschi e declivi, in “Un tranquillo week end”, torna ad essere ancora, per il poeta, una rappresentazione visiva densa d’ansia, che sembra affiorare dallo spazio oscuro del fotogramma: “..e ancora le minuzie germinanti, i campi sul declivio, per me,/ che la campagna angoscia”.

In tutto il libro, l’istanza naturale meccanicistica si colloca su uno sfondo immutabile ed inattaccabile. E balugina, nella temporalità, lo sprazzo d’intelletto sempre minacciato dalle violenze belliche, l’educazione alla relazione sempre da conquistare, tanto che il poeta colloca la sua “germinazione”, nel luogo fondativo della cultura: l’aula. E proprio questo evocare nella poesia “album”, tra ironia e ricordo, gli scenari/cartolina della grande guerra, dove l’uomo indosserà di lì per trent’anni le maschere-divise, ci restituisce ancor di più il senso profondo e civile della parola “aula” e di quei maestri, come è detto nella poesia “I salesiani del 57”, che la resero degnissima e che per dirittura e volontà non esistono più. Ecco un'altra poesia in cui oggetti e persone sono in contrapposizione anche se comp0lementari in una dimensione storica:

 

Gli oggetti sono cambiati, sono cambiato io

Gli oggetti sono cambiati, sono cambiato io.
Erano fatti per resistere,durare anche oltre noi;
costavano fatica, sangue, soldi,
erano carta assorbente, opaca
che tramandava affetti e memorie.
Oggi sono lisci, lucenti, spettacolari
mucchi immensi di opulenza iniqua,
impermeabili. Scivolano via
di mano, viscidi, io stesso
nel processo del tempo destinato
a questo oceano sgargiante di immondizia.

                               Maurizio Cucchi

Nelle sette parti in cui è divisa la raccolta, la ricerca di Maurizio Cucchi sembra svolgersi per punti attrattivi e riflessivi ben definiti, lasciati e poi ripresi, come in un valzer di ritorni, in cerchi concentrici sempre più stretti e focali: il dialogo con la memoria dei corpi, il senso della relazione nella pur piccola storia dell’uomo, il continuo sgretolarsi delle sovrastrutture ideali, il grande sapere del corpo e, per ultimo ma non per importanza, la spietata analisi di una mutazione antropologica nel rapporto uomini-oggetti, questi ultimi oramai divenuti scarti continui della società globalizzata, fatti per durare pochi attimi, non più testimoni di una qualche identità, oramai frammenti, schegge, come i loro creatori oramai “spossessati” d’esperienza, di vita, perché non più compromessi con essa: “..L’oggetto, avvilito,/ non ha più da noi il suo nome/ né senso di terra e di cuore”.

Come non intuire che questa scrittura evocativa entra in un reale microscopico, che sembra sfumare in frange metafisiche. Proprio il reale del corpo, che sempre sottotraccia sgamba in tutto il libro, diviene nell’ultima parte “La traversata”, nella sua presenza gnomica, protagonista assoluto, col suo mischiarsi agli elementi terrestri e marini, è spugna che trasuda odore, tanto che la parola “traversata” appunto, rimanda anche al tragitto indistinto del neonato, dal dentro del ventre al fuori. Dentro e fuori, solo e sempre la materia lo accoglierà. E così il poeta nelle chiuse finali, sembra reimparare i gesti primari ed arcani del bimbo, che poi l’adulto perderà concettualmente, come l’estrema tattilità per ciò che lo circonda: “…Scavalco la merce, le valigie/ e l’operaio che si guarda le mani./ Ha toccato la catena e ha le dita/ tutte macchiate di morchia” e ancora: “…e mettendo già il piede sul suolo/ mi fingo a me stesso più goffo/ per darmi certezza del felice attrito/ col mondo, con la materia/ che mi accoglie e accarezza./ Che dolcemente mi azzera”. E questa è la sapienza che gli ultimi scritti ci lasciano: essere nelle cose, nel loro accadere, vuole dire essere nella autenticità dell’unica vita che ci è dato di vivere.     Guido Monti

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 


 

Pubblicato il 12.08.10 20:15 | | Commenti(0) | Invia il post
23/07/2010

RECENSIONE: Riconciliarsi con la madre è il tema di "China", il nuovo "romanzo in versi" di Maria Pia Quintavalla

Scritto da: Ottavio Rossani alle 10:19

Questo nuovo libro di Maria Pia Quintavalla è una litania, una preghiera lunga e articolata. A chi sia rivolta non è chiarito, ma forse alla vita, forse al dolore sofferto dall’autrice/protagonista e certamente alle incomprensioni tra madre e figlia. Arriva il tempo nella vita in cui ognuno fa i conti con il proprio passato, quindi anche con i genitori. In questo “romanzo in versi” – come lo definisce l’autrice – c’è una complessa elaborazione del lutto. Nell’analisi delle situazioni vissute insieme dalle due donne, quasi sempre “contro”, c’è anche l’emersione delle tenerezze nascoste, della nostalgia di una madre incompresa (forse naturalmente incomprensibile), che a sua volta non sapeva comprendere. La figlia – come quasi sempre accade – nell’accettazione finale dell’accaduto, ritorna a lei, in lei, la capisce, l’accoglie, l’ama. Il risentimento che c’era stato, ora, è ricomposto.

cop. Quintavalla giusta.jpg
“Ti tenevamo le mani che tremavano,/ alzavi gli occhi scuri, con la voce ferma,/ hai detto, Nella vita non ho mai capito/ che è così bello andare d’accordo./ Nessun commento fu bastante a dire/ quanto in un istante tu riempivi/ orizzonti per una vita disertati,/ e per una sola di queste parole/ sarete perdonati”.

Ma questo poema non è il soliloquio letterario di una donna  rimasta orfana di madre (del padre qui, in sostanza,  non si parla, tranne rapide increspature a margine della madre; segno che l’impronta esistenziale dell’autrice è venuta dalla madre), è anche il dialogo inespresso, desiderato, tra una madre forte, allegra a suo modo, insofferente di figlie, parenti, ed estrosa dalla voce sapiente, anche buona cantante, che per vivere se stessa in molte situazioni ha tenuto a distanza l’autrice e anche l’altra figlia.

“Leggendo i versi, “A mia madre,/ che ha riacquistato la vista”, commentasti,/ cosa avranno detto di me, quando scrivevi/ che ero una cattiva madre./ E per un po’ te la ridevi,/ il solo modo a te noto, per non ferirti/ con l’ingombro dei sentimenti”.

E anche la figura della sorella (già trattata con dolcezza nell’ Album feriale, (2005) è una presenza pesante e contrastata. Ma anche con lei, in modo indiretto, è fatta pace. Ora l’autrice/protagonista è riequilibrata. Lo scompenso psicologico/onirico nel poema si snoda a passo di gambero: uno avanti, uno indietro, cioè una proiezione verso il futuro liberato dalle ombre e, poi, un’estrazione improvvisa dal cilindro della memoria. Si stagliano, perciò, anche personaggi di contorno – che sono “caratteri” ben scavati e forti – come le “cugine antagoniste”, la zia , la “tata”, il gatto, e tanti altri. Ecco l’inizio e la fine della storia: il desiderio di “una vera famiglia”. In mezzo, nulla di tutto questo. La famiglia c’è sempre stata, ma non quella “ideale”, illusoriamente sognata e invocata.

Quintavalla.jpg
“Ognuno si avvicina e si aggrega lentamente/ agli altri, ingaggia materia sicura/ di sguardi cenni, parole offerte fra persone,/ anche da vite così lontane, ma in affettuoso/ legame che si toccano si informano./ Com’è andata che hai fatto,/ non c’è acredine o ira, né silenzi, ma danza/ dell’uno verso l’altro,/ sono parte della stessa famiglia, simpatizzano./ Spesso,  dal bordo di una cartolina/ dalle curve collinari e le viti marroni, ho sognato/ lo sfondo ideale di una famiglia”.

Nel lungo itinerario dei contrasti, quanti tentativi per ricomporre le incomprensioni! “Un giorno, non resistendo più ti chiesi,/ in una passeggiata, se non avevi  provato/ mai curiosità a conoscermi,/ con l’aria lo feci di stupirti, tramutai subito,/ in fare devoto, l’umiliazione contenuta;/ ma fu svagata la risposta, ti stupiva/ il mio tono serioso e, da ragazza quale eri, che non ama quel genere di discorsi,/ tagliasti corto”.  E “Quando tornava il tuo sorriso era il sole,/ noi bambine respiravamo piano,/ il tuo buongiorno era il permesso/ a vivere daccapo”.

Dentro questa storia, c’è la Storia, grande e piccola. Gli anni sono gli ultimi del Novecento. Gli eventi semplici o solenni, privati o pubblici (Coppi, le signorine Carpi che davano lezioni di cucina, le favole, i balli, la tv, la pubblicità a Carosello, gli attori Tognazzi e Vianello, Walter Chiari, i leggendari pranzi di Natale, eccetera; leggere le sequenze sulla tv e i gesti a pagina 73), non incidono sul rapporto difficile, ne sono solo occasioni di svolgimento. Tutto finisce con l’identificazione tra madre e figlia, che tornano insieme “come all’inizio”, una in due, due in una. Il cordone ombelicale è finalmente spezzato, anche se rimane sempre attiva la sua metafora.

 “Udivo punture di stelle, i suoi lamenti,/ dormiva russava più non conosceva/ i volti, o voci dei congiunti./ Invece quel dolore fu concime, merda/ poi oro, arato verderame scrostato/ dalle braccia, China mansueta/ piccola nel corpo,/ ora riposi nella conoscenza”.

Propongo alla lettura un passaggio estremamente intimo, in cui la madre non si perita di rivelare agli astanti l’avvenutra maturazione sessuale della figlia: versi crudi e morbidi, confessione dura e amorosa:

La piccola ha fatto mislén, (1)
sbottavi a tavola, improvvisa,
sotto la luce  della lampada serale
come di un fatto pubblico narravi,
al raduno familiare, delle mani il gesto
che più sé non nega, una beanza
mista a terrore, se additavi
quel segreto mescolarsi a dondolo
sul vuoto, che nominavi tu, volevi
scendessi dalla sedia, Ecco, ti ho vista
ma i baci del mio sesso mi neniavano
d’amore, ne eseguivo imperterrita
l’ascolto di un fuoco dolce,
se quelle erano braccia non già più le tue,
o nanna nanneggiarsi, avrei scritto a ricordare;
l’analista impassibile spiegandomi,
era fame d’amore a costringermi,
per un’intimità negata,
Altre volte, immagini della  bellezza greca,
mi rivelavano forme di una lei nuda,
con un lui sconosciuto, né intimità
o carezze, solo nudo di carne
separata come pietra, io guardata
da archetipi maschili, e vastità matrone
femminili, e di quegli amplessi a tre
mi si tingeva il corpo, sognava
un tempo suo sovrano, teneva me
futura, lungo linee di stagioni.
           Maria Pia Quintavalla
Da China (Effigie, 2010, pagg. 116, euro 14)

(1)  mescolino, l'atto della masturbazione

Trascrivo anche due dei tanti ritratti della madre. Nel primo, la donna è fumatrice e mondana, a suo modo provocante e spregiudicata:


La mamma non fumava,
ma in cene sociali, e fortunose compagnie,
dopo ammirate dive alla tv, lei ci provò,
abbozzò, le vide
che sfoggiavano mises, rossetti, avvolte
in narghilè da femme fatale, io perlustravo
tracce di Muratti, abbandonati mozziconi,
divinando il gioco in svolazzi, occhi del pensiero
nell’odore che lei, svagata diva usava,
mostrando gambe accavallate,
gli occhi languidi attenti, forse anche assenti
ma pieni di carbone, il riso pronto agganciato
alle studiate pose,
i gesti in sé stereotipati, da signora.
Nel cielo dei tuoi astri
doveva essere ben rubato, in quelle sere,
se, strafogandoti la gola, lo si capiva
non sapevi respirarlo fuori, il rotolo di fumo
nel gesto tuo impostato.
Era la madre mia mondana, ricreata,
in anni spensierati quando,
giocando alle signore, la diventavi,
le lampade restando accese a lungo,
senza rituali di paura.

Nel secondo ritratto, una grande intimità e complicità tra madre e figlia, almeno secondo l’interpretazione dell’autrice:

Lei arrivò,
incurante in tailleur snello, così sembrava.
Era già raro venisse lei da me,
garrula mi conduceva fuori, a mia insaputa.
Se lo facesse per contegno, non sapevo,
ma la mia gloria, in quella tenera mattina,
era che lei per me, noi sole,
potessimo una volta stare accanto,
mano sulla fronte, un bicchiere di spremuta,
un po’ radiose quando, superata la paura,
complici come una madre sa
alla figlia cancella l’ansia, abbraccia forte,
oppure, piangere, tacere.

Quintavalla qui usa una lingua sciolta, ma con frequenti interruzioni. Ha oltrepassato i limiti delle costruzioni misteriche, divinatorie, che caratterizzavano il suo fare poesia nelle raccolte precedenti da Cantare semplice (1984) fino a Corpus solum (2002), con continue sincopi e soluzioni sintattiche ardite, con versi spezzati e spesso disarticolati per sperimentazione. Questi nuovi versi “raccontano”, con una leggibilità completa. Ma anche qui lo stile Quintavalla è riconoscibile dalle sue predilezioni: anteporre i verbi ai soggetti o alternare versi conclusi a versi rotti, quasi tagliati .

La scrittura di Quintavalla viene da lontano, dagli anni giovanili, dalla scuola, e ambiva al riconoscimento  del merito dell’invenzione da parte della madre, la quale però non l’ha mai  veramente capita. Questo cruccio della figlia/poeta non si è mai sopito. E torna in questo canzoniere delle frantumazioni, anzi ne diventa il motivo cruciale: “… così il decalogo della bambina fu scrittura/ di tavole di nuova legge, fiera/ di fantasie impunita, più con amore/ studio e accanimento, che mi forzai/ a scriverle, parole fisse/ al pensiero del mondo, per fare luce/ al bene”.

Tra madre e figlia la facoltà combinatoria delle parole è stata un ostacolo alla complicità, quindi alla vera intimità: “Involontario parve il gioco,/ ti era innato dono combinare le parole/ per poi gustare il farlo,/ le tue parole in musica contro/ la mia musica con le parole, sempre”. La scrittura, dunque, come distanza terapeutica, ma alla fine come liana indistruttibile che lega le due esistenze: “Salomè, la scrittura – rimpiangevo ,/ poi non vista sul piatto barattavo/ Salomè, specchio divenuto estraneo,/ salamandra stordita sopra i bei quaderni”.

Autobiografia, rovello di scrittura, gioco tra memoria e letteratura in un continuo vortice di contrapposizioni e contraddizioni, ricerca di soluzioni sintattiche e linguistiche nuove eppure note - il gusto di eliminare gli articoli, la reiterazione di concetti con vocaboli non sinonimi, la necessità di evitare i versi “conclusi” dalla’inizio alla fine nella stessa riga, la musicalità dei versi come fosse un timbro di oralità – e una storia complicata da raccontare. La mescolanza di tutti gli elementi – al di là dei dati biografici – ha dato come risultato poesia, buona.
Ottavio Rossani

 

Pubblicato il 23.07.10 10:19 | | Commenti(0) | Invia il post
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