![La deriva](http://library.vu.edu.pk/cgi-bin/nph-proxy.cgi/000100A/http/web.archive.org/web/20101030153947im_/http:/=2fladeriva.corriere.it/testata_laderiva.jpg)
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Bimbi, in piedi. Dovete pagare una poltrona
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Il silenzio sul Parco del Vesuvio
Sarà colpa di Rosa Russo Iervolino o di Silvio Berlusconi, del presidente provinciale Luigi Cesaro o del governatore Stefano Caldoro, di Guido Bertolaso o della mancanza di un ministro del Pattume (già che ci ha preso mano con le nomine il Cavaliere potrebbe pure farlo, visto che il suo governo era nato magro in contrasto con quello obeso di Romano Prodi ma sta via via mettendo su cotica ministeriale e sottosegretariale...) fatto sta che tra le tante cose mostruose della «munnezza» partenopea ce n' è una troppo trascurata. Indecentemente trascurata. Che la situazione sia pesante è fuori discussione, che nel caos sguazzi la camorra è più che probabile, così come è difficile contestare che l' emergenza delle montagne maleodoranti per le strade vada risolta a tutti i costi. E subito. Ma è mai possibile che il ministro dell' Ambiente non faccia l' iradiddio contro la collocazione dei rifiuti, per altro già colpevolmente avviata dal centrosinistra, nel Parco nazionale del Vesuvio? Chi dovrebbe fare l' inferno su questo tema se non il ministro dell' Ambiente? Chi dovrebbe inondare di proteste i giornali e la televisione se non il ministro dell' Ambiente? Macché: zero. O quasi zero. Solo una vocina piccina piccina di perplessità, ma comunque tenue rispetto a tutto il resto. Anzi, nel question time in Parlamento Stefania Prestigiacomo ha trovato sì il tempo per ricordare che «forte è il sospetto che in quelle proteste organizzate vi siano infiltrazioni camorristiche» e accusare che «queste proteste sono state strumentalizzate in maniera veramente grave e pesante dall' opposizione», del tutto dimentica che la stessa cosa, caso mai, era stata fatta anche dalla sua fazione. Ma rispondendo a Luisa Bossa che le chiedeva conto proprio del Parco, è rimasta accuratamente al largo dal tema. Eppure il Documento di lavoro della missione di inchiesta in Campania della «Commissione per le petizioni» europea, firmato da Judith A. Merkies, è chiaro: «L' ubicazione della discarica di Terzigno all' interno del perimetro del Parco nazionale del Vesuvio, sito di interesse comunitario nonché zona di protezione speciale, è di per sé un' aberrazione. Nella relazione della Protezione civile si afferma che lo studio d' impatto ambientale realizzato è stato approvato dal ministero dell' Ambiente. Alla luce di quanto osservato nel corso della visita, è legittimo dubitare dell' obiettività e della validità di tale studio». Di più: «Pur considerando che è una pratica frequente quella di adibire a discarica vecchie cave dismesse, questo particolare sito, posto entro i confini di un' area designata quale zona di protezione della natura, di notevole prestigio internazionale ed interesse naturalistico, sembra del tutto inappropriato». Non c' erano, in questo momento, alternative? Mah... Anche se così fosse, evitare di parlarne non è furbo: è indecoroso. Con che faccia, domani, lo Stato potrà chiedere ai napoletani indifferenti alle regole di rispettare il Parco del Vesuvio perché quello è un parco? RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il legale che incassa due volte
Come la beata Maria del Gesù, capace di convertire un'intera tribù di Indios del Nuovo Messico senza mai muoversi dalla città spagnola di Agreda, Giovanni Pascone ha avuto per anni il dono dell'ubiquità. Avrebbe potuto altrimenti essere giudice del Tar, direttore della Siae, dirigente dell'Agenzia spaziale italiana, capo dell'Acquedotto pugliese, avvocato del Comune di Pomezia, funzionario dell'Istituto nazionale alta matematica, consigliere del governo e contemporaneamente svolgere decine e decine di incarichi pubblici e privati?
Dall'alto delle sue quattro lauree lui non fa una piega. Intervistato qualche tempo fa da Gianfranco Compagno del Pontino.it, dopo essere diventato consulente del Comune di Aprilia, ha gonfiato il petto: «Sono stato giudice ordinario, magistrato del Tar, magistrato della Corte dei conti, consigliere parlamentare. Ho lavorato alla Banca d'Italia, al ministero dell'Interno e ho avuto tantissimi incarichi. Sono stato capo ufficio legislativo ai Lavori pubblici, consigliere giuridico di tutti i governi, di destra e sinistra». Alla faccia. Di incarichi, la Guardia di finanza ne ha contati sessantadue. Poi ha trasmesso tutto alla Corte dei conti. Dove stimano che tale fenomeno ai limiti del paranormale abbia prodotto un danno erariale di due milioni di euro.
Ma come, vi chiederete, prima il governo dichiara guerra ai fannulloni e poi i giudici mettono in croce chi si ammazza di lavoro? Il fatto è che per svolgere tutte quelle attività collaterali Giovanni Pascone avrebbe avuto bisogno delle autorizzazioni dei suoi datori di lavoro pubblici. Quelli, per inciso, che gli pagavano lo stipendio. Invece le autorizzazioni, dice il giudice contabile, non c'erano. E gli incarichi erano così tanti che è lecito domandarsi dove il Nostro trovasse tempo ed energie. Anche perché, non pago delle consulenze, riusciva perfino a essere in contemporanea dipendente di due amministrazioni diverse.
Nel 1991, non ancora trentenne vince il concorso al Tar, dove resta per dodici anni. Naturalmente, senza girarsi i pollici. Capo dell'ufficio legislativo dei Lavori pubblici nel governo Berlusconi, consulente di palazzo Chigi con Romano Prodi, direttore generale dell'Acquedotto pugliese... E poi le consulenze, come quelle per il gruppo edile Salini (che gli fruttano 354.685 euro), le Autostrade, l'Astaldi, la Regione Calabria...
Finché, il primo agosto del 2003, è dichiarato «decaduto dall'impiego ai sensi dell'articolo 127, lett. c), del Testo unico 10 gennaio 1957, n. 3». Una misura che viene adottata, dice la norma, quando un dipendente pubblico «senza giustificato motivo, non assuma o non riassuma servizio entro il termine prefissogli, ovvero rimanga assente dall'ufficio per un periodo non inferiore a quindici giorni». Ma con tutto quello che Pascone aveva da fare... Comunque poco male, perché contestualmente all'uscita dal Tar si iscrive all'Ordine degli avvocati e viene assunto con contratto a tempo indeterminato dalla Siae come capo dell'ufficio legale. Il 6 dicembre 2004, però, lo licenziano. La motivazione: mentre era dipendente Siae aveva pure un incarico di dirigente dell'ufficio legale all'Agenzia spaziale italiana. A nulla serve una interrogazione parlamentare presentata contro questa decisione dal senatore aennino Euprepio Curto. L'esilio dai ranghi della pubblica amministrazione dura un paio di annetti. Nel frattempo Pascone, che ha avuto modo di frequentare a più riprese gli uffici governativi ed è stato anche consigliere di amministrazione della società pubblica Bagnolifutura, indicato dai Ds, non si perde d'animo in attesa di tempi migliori, che puntualmente arrivano. Il 2 novembre 2006 il Comune di Pomezia lo assume come direttore generale. Prima a termine e poi, dal primo agosto 2008, a tempo indeterminato. Intanto, il 26 aprile 2007, è entrato pure nei ranghi di un altro ente pubblico, l'Istituto nazionale di Alta matematica Francesco Severi. Dirigente di seconda fascia, e anche qui a tempo indeterminato. Mentre non si arresta il tourbillon di consulenze e incarichi. Aziende private e pubbliche, enti locali: i comuni di Cagliari, Latina, Dorgali, Aprilia, la Provincia di Milano, la Asl di Casale Monferrato...
Ma proprio nel 2008 cominciano i guai. Il 26 settembre è sospeso dal servizio perché il Gip di Velletri gli ha imposto l'obbligo di dimora nel comune di residenza, cioè Roma: sulla giunta di Pomezia si è appena abbattuta un'inchiesta per un certo affare di campi da tennis. Pochi mesi dopo scoppia la grana di Tributi Italia, che coinvolge anche la società di Aprilia A.ser, di cui Pascone è presidente dal 2007. Ancora qualche settimana e arriva la bomba. Fabrizio Peronaci rivela sul Corriere che l'avvocato, consigliere giuridico del governo Berlusconi, già magistrato e amministratore pubblico, è accusato di evasione fiscale: non avrebbe dichiarato al Fisco compensi per 40 milioni di euro in due soli anni. E adesso la ciliegina sulla torta. Un ricorso del vice procuratore generale della Corte dei conti Bruno Tridico nel quale si chiede il sequestro conservativo delle proprietà di Pascone fino a un ammontare di 2 milioni 119 mila euro: i soldi incassati dall'avvocato per tutti gli incarichi e le consulenze non autorizzate, che il magistrato contabile considera alla stregua di un «danno erariale». Sequestro puntualmente ottenuto prima di dare fuoco alle polveri. L'udienza iniziale della causa è fissata per il 20 ottobre. E stavolta non c'è incarico che tenga.
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L'umiliazione di Pompei
Non passa giorno senza che qualcuno ci ricordi come l’Italia custodisca la maggior parte dei beni artistici e archeologici del pianeta. Ma meritiamo davvero un simile onore? Il dubbio sorge, osservando quello che accade a Pompei. Da tempo il Corriere del Mezzogiorno sta documentando lo scempio di alcuni «restauri» a base di colate di cemento e l’incuria che regna nell’area immensa degli scavi.
Con la protesta montante attraverso i social network, come sta a dimostrare il record di adesioni a una pagina di Facebook che si chiama « Stop killing Pompei ruins». Al punto che viene da chiedersi: ma se quel tesoro ce l’avessero gli americani, oppure i francesi o i giapponesi, lo tratterebbero allo stesso modo? Il fatto è che quell’area archeologica unica al mondo è purtroppo il simbolo di tutte le sciatterie e le inefficienze di un Paese che ha smarrito il buon senso e non riesce più a ritrovarlo. O forse semplicemente non vuole, affetto da una particolare forma di masochismo. Che però ha responsabili ben precisi. «Le istituzioni preposte alla tutela dei beni culturali sono costantemente umiliate da interessi politici ed economici del tutto privi di attenzione per la salvaguardia di quella che è la maggiore ricchezza del nostro Paese» ha denunciato qualche tempo fa Italia Nostra.
Ed è proprio difficile dargli torto, quando proprio a Pompei l’indifferenza della politica si tocca con mano. Per due anni, con la motivazione del degrado in cui versa l’area, hanno spedito lì il commissario della solita Protezione civile. Con il risultato di «commissariare» nei fatti anche la Sovrintendenza. E già questo non è normale (che c’entra la Protezione civile con gli scavi archeologici?). Ma ancora meno normale è il fatto che da mesi, ormai, Pompei sia senza una guida. A giugno il commissario è scaduto. Mentre a ottobre il sovrintendente ancora non c’è. O meglio, il posto è tenuto in caldo da un reggente in attesa del titolare. Che però il ministero dei Beni culturali non nomina. Perfino inutile interrogarsi sui motivi di questa paralisi. Viene addirittura il sospetto che nella stanza dei bottoni nessuno si renda conto di avere fra le mani una risorsa economica enorme in una regione che ha disperato bisogno di lavoro e sviluppo. Per dare un’idea dell’attenzione riservata a questa materia basterebbe ricordare che dal 2004 a oggi il governo non è stato nemmeno in grado di mettere in piedi un portale nazionale di promozione turistica degno di tal nome. Nonostante i milioni (non pochi) spesi. Per verificare, fatevi un giretto su www.italia.it, dove la pratica pompeiana è liquidata in 66 parole, senza nemmeno una foto: «Per l’eccezionalità dei reperti e il loro stato di conservazione, l’Unesco ha posto sotto la sua tutela l’Area archeologica di Pompei ed Ercolano, che nel 79 d.C. furono completamente distrutte dal Vesuvio.
La lava vulcanica segnò la loro distruzione ma, solidificandosi, la stessa lava che le distrusse divenne un’eccezionale "protezione" che ha preservato gli straordinari reperti, riportati alla luce molti secoli dopo». Stop. E poi c’è chi si lamenta che con il 70% delle bellezze artistiche e naturali di tutto il mondo continuiamo a scivolare in basso nelle classifiche internazionali del turismo...
Sergio Rizzo![](http://library.vu.edu.pk/cgi-bin/nph-proxy.cgi/000100A/http/web.archive.org/web/20101030153947im_/http:/=2fforum.corriere.it/images/static/common/frecce_formichina.gif)
Le lobby vincono sempre
I taxi: ecco una cosa almeno sulla quale abbiamo anticipato i francesi. Perché se in Francia la liberalizzazione si è rivelata ora una pia illusione, in Italia da un bel pezzo ci siamo tolti dalla testa l' insano proposito. Ricordate la prima «lenzuolata» di Pier Luigi Bersani quando l' attuale segretario democratico era ministro dello Sviluppo economico? Lì dentro c' era, appunto, la liberalizzazione delle licenze dei taxi. Cosa perfino ovvia, per una economia che vuol dirsi «liberale» (prendere esempio dagli Stati Uniti, che tutti, destra e sinistra, osannano) ma che in Italia, Paese delle lobby, degli ordini e delle corporazioni, è stata interpretata come una bestemmia in chiesa. Ragion per cui, in un modo o nell' altro, è finita silenziosamente nel dimenticatoio. Con la complicità, quel che è più grave, delle amministrazioni locali: mentre i prezzi continuano a salire. A Roma i tassisti hanno incassato dalla giunta del sindaco Gianni Alemanno un nuovo robusto aumento (fino al 25%) delle tariffe. D' altra parte, non sono forse stati fra i suoi grandi elettori? Memorabili i festeggiamenti in Campidoglio del nuovo sindaco, la notte della sua elezione, proprio davanti al popolo dei taxi, esultante. A Milano si dovranno accontentare invece di un aumentino fino al 2%, dopo i rincari ottenuti gli anni scorsi. E che rincari: nel 2007, mentre si discuteva la liberalizzazione proposta da Bersani, la tariffa venne innalzata del 23,37%, da 77 a 95 centesimi al chilometro. In compenso le licenze sono bloccate e anche l' ipotesi di introdurre il secondo autista, che avrebbe per lo meno portato a un aumento delle macchine sempre in circolazione, è stata penosamente archiviata dopo un periodo di inutile sperimentazione. Provate ora a salire di sera su un taxi milanese: vedrete il tassametro partire da 6 euro. Quasi dodicimila delle vecchie lire. Per non parlare delle tariffe per le corse agli aeroporti delle due più grandi città italiane. Ormai costa quasi più il taxi dell' aereo. A proposito, vi siete mai chiesti perché Roma e Milano sono le uniche due grandi città europee che non siano collegate all' aeroporto con una metropolitana degna di tal nome? RIPRODUZIONE RISERVATA
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Federalismo, con le nuove regole tanti esclusi
Volendo pensare male si potrebbe dire che la cosa sembra studiata per dare il colpo di grazia al potere della sinistra nelle Regioni. Se il nuovo decreto sul federalismo non rischiasse invece di mietere la prima vittima nel Popolo della libertà. Dice infatti il provvedimento che i governatori i quali non presenteranno sei mesi prima della loro scadenza i conti della sanità «certificati» non potranno ricandidarsi. Una pillola avvelenata che potrebbe estromettere il presidente del Molise Michele Iorio dalla prossima sfida elettorale, in programma fra poco più di un anno. Potrebbe, se la misura draconiana fosse già in vigore. Ma siccome non lo è, e non lo sarà fino a chissà quando... Direte: a che serve allora questo gioco? Serve a far capire in concreto cosa potrebbe succedere in una situazione reale ai politici che guidano Regioni con i conti in disordine. Illuminante è un rapporto sulla sanità appena sfornato dalla Corte dei conti. Il Molise conta appena 320 mila abitanti ma dal punto di vista dei bilanci sanitari, se sono esatti i dati contenuti in quel documento della magistratura contabile, versa nella condizione peggiore fra le Regioni italiane, con la sola eccezione del Lazio. Il disavanzo, nel 2009, è stato pari a 225 euro per ogni residente, contro i 244 del Lazio, i 133 della Valle D' Aosta, i 125 della Campania, i 116 della Sardegna e i 111 della Calabria. Proprio per questo lo scorso anno il governatore Iorio è stato nominato commissario per attuare un ferreo piano di rientro. Ma le cose non sono andate evidentemente per il verso giusto. Per esempio, non è stata accolta la richiesta che era stata avanzata dal commissario: utilizzare i soldi del Fas, il fondo per le aree sottosviluppate che dovrebbero essere utilizzati per le infrastrutture e gli interventi economici, allo scopo di tappare il buco della sanità. A maggio di quest' anno il Tavolo tecnico e il Comitato permanente incaricati di verificare l' attuazione delle misure hanno concluso, riferisce sempre il rapporto della Corte dei conti, «che la Regione Molise non ha migliorato bensì peggiorato negli anni il risultato di esercizio con una conseguente crescita dei disavanzi». Ragion per cui, «alla luce della grave situazione finanziaria determinata dai ritardi nell' attuazione del piano di rientro, dall' adozione di atti in contrasto con lo stesso piano...» si è deciso di proporre una iniziativa senza precedenti: commissariare il commissario. Il suo destino è adesso nelle mani di Silvio Berlusconi. Ma che cosa sarebbe accaduto se la regola della incandidabilità dei governatori fosse stata già applicabile prima delle ultime elezioni regionali? Con ogni probabilità l' ex presidente della Regione Calabria Agazio Loiero sarebbe stato messo con ogni probabilità fuori gioco. E il centrosinistra avrebbe dovuto trovare un altro cavallo da far correre. Come hanno dimostrato anche le indagini della magistratura, la Calabria è la Regione nella quale non soltanto i costi sono elevati e la qualità dei servizi scadente, ma è pure quella con il maggiore disordine amministrativo. Ci sono casi in cui mancano addirittura i bilanci. Per rendersi conto della situazione basta uno sguardo alla relazione consegnata dai commissari della Azienda sanitaria provinciale numero 5 di Reggio Calabria al ministro dell' Interno Roberto Maroni, nella quale si denuncia uno stato di cose «allo sfascio totale, paurosamente e pericolosamente senza regole, senza guida e senza controlli». Descrivendo un ente «in stato di abbandono, lasciato a gruppi di potere interni alla propria dirigenza, con strutture amministrative caotiche, con infiltrazioni criminali attraverso meccanismi manipolati dall' esterno con la compiacenza dei dirigenti». Il tutto, con un indebitamento che per quella sola azienda era arrivato a superare i 500 milioni di euro. Secondo la Corte dei conti la perdita cumulata e «non coperta» della sanità calabrese per il periodo gennaio 2006 - dicembre 2009 è stata pari a un miliardo e 14 milioni di euro. Anche se in base alle informazioni disponibili non è impossibile considerare «sottostimata» questa somma. Qualche serio rischio di ineleggibilità l' avrebbe potuto correre anche Nichi Vendola, il governatore della Puglia che non soltanto ha vinto nuovamente la sfida delle regionali, ma che ora gode di un consenso crescente come possibile candidato premier della sinistra nel caso di elezioni politiche anticipate. La sanità pugliese ha archiviato il 2009 con un disavanzo di quasi 300 milioni, cifra pari a 72 euro per ogni abitante. Una somma decisamente più gestibile rispetto a quella di altre realtà meridionali, come la Campania (725 milioni di euro il buco del 2009). Ma non indifferente. Soprattutto in considerazione di un indebitamento delle aziende sanitarie regionali che nel 2009 aveva raggiunto 2 miliardi 752 milioni, con un aumento del 5,78% rispetto al 2008. Una esposizione tredici volte più grande di quella della vicina Basilicata, altra Regione del Sud in disavanzo: 22 milioni di euro, 37 per ogni abitante. Un deficit modesto, che tuttavia avrebbe potuto creare qualche problemino al governatore di centrosinistra Vito De Filippo, il quale nel marzo scorso si è ricandidato e ha rivinto. Ma nel caso in cui ci fosse stata la norma capestro avremmo assistito anche in Sardegna allo stesso confronto elettorale fra l' ex presidente Renato Soru e Ugo Cappellacci, che si è risolto con la vittoria di quest' ultimo? Nel 2008 la sanità sarda ha registrato un deficit di 130 milioni e un indebitamento di 712 milioni. Brividi avrebbe provato pure Claudio Burlando, che come Vendola e De Filippo si è ripresentato nel 2010 alle elezioni ed è stato confermato governatore della Liguria: Regione del Nord che insieme al Veneto, dice la Corte dei conti, ha chiuso in rosso il 2009. Un centinaio di milioni di euro. Cifra irrisoria, paragonata alla voragine, quasi quattordici volte più grossa, del Lazio: un miliardo 371 milioni, con un debito stimato, nel 2008, di ben 9 miliardi di euro. Va da sé che in una situazione del genere, se la regola della ineleggibilità fosse stata vigente, l' ex governatore Piero Marrazzo non avrebbe mai potuto aspirare a ricandidarsi. Però nel suo caso, come sappiamo, la questione non è neppure posta. Per ragioni che niente hanno avuto a che fare con il buco della sanità. Nemmeno l' ex presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, che comunque non si è ricandidato, avrebbe avuto qualche chance. Per non parlare dell' ex governatore della Sicilia, dottor Totò Cuffaro, ora senatore: un radiologo alla guida fino al 2008 di una Regione con i conti della sanità in rosso per 232 milioni e un debito di oltre 4 miliardi di euro. Sistemare le cose toccherà ora al suo successore, dottor Raffaele Lombardo, psichiatra.RIPRODUZIONE RISERVATA
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Molise: soldi pubblici, affari privati
Se si eccettua la Valle d'Aosta, la Regione più piccola d'Italia è il Molise. Piccola: ma i soldi non le mancano, almeno a giudicare da quello che spende. L'informatica, per esempio. Lo scorso anno Molise dati, un' azienda controllata al 51% dalla Regione, ha assegnato un appalto per il settore della sanità da 27 milioni di euro a Eutelia, gruppo di telecomunicazioni che ha poi fatto crac. Incarico passato in seguito, dopo la rescissione del contratto decisa dalla società pubblica, a un'altra ditta. Il caso ha fatto un certo rumore in regione. Massimo Romano, consigliere nominato nelle liste dell'Idv di Antonio Di Pietro (partito dal quale ha successivamente preso le distanze) ne ha preso spunto per criticare la gestione degli appalti da parte della giunta presieduta da Michele Iorio. Nonché il ruolo di Molise dati, chiamando in causa l' amministratore delegato Mauro Belviso, qualificato da Romano nel suo blog come «il mandatario elettorale» del governatore. «Da circa quattro anni denuncio la illegittima configurazione di Molise Dati come società falsamente ed erroneamente qualificata in house (come se fosse cioè parte della stessa amministrazione, alla quale prestasse servizi in esclusiva, ndr) che riceve annualmente decine di milioni di euro senza gara dalla Regione», sostiene il consigliere regionale, ricordando di aver sollevato la questione a Bruxelles, alla Corte dei conti e all'Autorità per la vigilanza sulle forniture pubbliche. Che alla fine, con una decisione depositata il 28 luglio scorso gli ha dato ragione, argomentando testualmente che «Molise dati, in quanto società mista il cui socio non è stato scelto con gara, né, tanto meno, alla medesima sono affidati con gara i servizi che essa svolge a favore della Regione, è priva dei requisiti di legittimità che si desumono dalle norme e dai principi tanto in materia di in house providing quanto di società miste». L' italiano lascia un po' a desiderare, ma il concetto è chiaro. Se tuttavia la società di Belviso non si può qualificare per l' authority come una società in house , ciò non toglie che qualcosina «in casa» accada, eccome. Il 13 ottobre 2009 la Gazzetta ufficiale di Bruxelles ha pubblicato il risultato di una gara indetta da Molise dati per la manutenzione della rete informatica della Regione. Valore: un milione 858.979 euro e 60 centesimi. Iva esclusa. Chi l' ha vinta? Un «raggruppamento temporaneo» di due imprese. Una di queste è nientemeno che Infomolise srl: ovvero il socio privato titolare del 49% di Molise dati. Quando si dice il caso... RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il senatore che dirige l’aeroporto nominato anche con il voto del figlio
Fra gli aeroporti calabresi e il Senato è ormai attrazione fatale: senza distinzione di schieramento. Pietro Fuda, senatore del centrosinistra, è stato amministratore unico dell’aeroporto di Reggio Calabria? Ora è toccato a Vincenzo Speziali, 79 anni, originario di Bovalino, senatore in carica del Popolo della libertà, nominato in piena estate presidente della S.A.Cal. È la società che gestisce lo scalo aeroportuale di Lamezia Terme, controllata al 68% da azionisti pubblici, fra cui la Regione Calabria, alcuni Comuni, le Province di Catanzaro e Cosenza. Il restante 32% è invece in mano a un assortito gruppo di privati: un assembramento nel quale c’è di tutto, dagli Aeroporti di Roma al Monte dei Paschi di Siena, alla Banca Carime, fino alla Giacinto Callipo, ditta produttrice del tonno conservato che fa capo all’imprenditore Filippo Callipo, candidato dipietrista alle ultime elezioni regionali.
La singolarità della vicenda, tuttavia, non è dovuta a questo. Intanto che un senatore in carica venga messo alla presidenza di una società controllata dal pubblico, incarico in questo caso pienamente operativo con deleghe importanti, è un fatto che oggettivamente non può passare inosservato. Al riguardo, la legge sulle incompatibilità parlamentari, tuttora in vigore, è chiarissima: fra gli altri impedimenti, i membri del Parlamento non possono avere cariche in società pubbliche. Ancora più chiara in questo caso, se si considerata che il senatore è stato designato come rappresentante della Regione Calabria nel consiglio della S.A.Cal. dal governatore Giuseppe Scopelliti. Basta leggere il primo articolo della legge 60 del 1953: «I membri del Parlamento non possono ricoprire cariche o uffici di qualsiasi specie in enti pubblici o privati per nomina o designazione del governo o di organi dell’amministrazione dello Stato». Lampante, no? Ma solo sulla carta, naturalmente, perché la storia dimostra che in un modo o nell’altro, con acrobatiche interpretazioni delle norme, le incompatibilità si aggirano sempre.
E non è finita qui. La lettura del verbale del consiglio di amministrazione che ha deciso la nomina rivela particolari sorprendenti. Per esempio, fra i consiglieri che hanno votato il nuovo presidente c’è anche suo figlio Giuseppe, che siede nel consiglio della S.A.Cal. in rappresentanza degli Aeroporti di Roma. Di mestiere fa l’imprenditore, come suo padre. La famiglia di Vincenzo Speziali ha infatti interessi assai ramificati nel settore dei materiali da costruzione, dell’edilizia e dell’energia. Imprese come la Calce Meridionale, la Laterizi solai prefabbricati, la Edilizia residenziale prefabbricata, la Servizi industriali e altre ancora.
Un gruppo nel quale riveste un ruolo pure il fratello maggiore di Giuseppe, Antonio Speziali, che è fra l’altro consigliere di amministrazione di un’altra impresa pubblica: la Società risorse idriche calabresi, controllata al 53,5% dalla Regione Calabria (il resto è del gruppo francese Veolia). La nomina risale al 23 giugno 2010, cinque giorni dopo che la Procura della repubblica di Catanzaro ne chiedesse il rinvio a giudizio per una vicenda, ha scritto l’8 settembre la Gazzetta del Sud, «di violenza privata aggravata dalla mafiosità» relativa all’aggiudicazione di un terreno. L’udienza preliminare, secondo quanto ha riferito il giornale, è fissata per il 18 ottobre. Unico a non condividere la designazione del senatore Speziali alla presidenza della società aeroportuale, astenendosi, è stato Francesco Grandinetti, il rappresentante del Comune di Lamezia Terme guidato da Gianni Speranza, esponente di Sinistra e libertà. Per «motivazioni prettamente tecniche», spiega il verbale. Ma è difficile non cogliere in questo gesto il profondo dissenso del Comune, che con il 21% è l’azionista di riferimento della S.A.Cal., per la decisione di nominare presidente di un’azienda a maggioranza pubblica un senatore in carica la cui famiglia possiede un piccolo impero nel settore dei materiali edilizi. Proprio nel momento in cui la stessa società sta per avviare un progetto di 60 milioni di euro, finanziato con fondi pubblici, per rifare l’aeroporto: operazione che richiederà un massiccio impiego di quei prodotti. E tanto più che nel consiglio di amministrazione della S.A.Cal. siedono addirittura due esponenti di quella famiglia imprenditoriale, padre e figlio.
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Precari assorbiti. In trent'anni
Precario a 68 anni: se Giancarlo Montemarani non è ancora entrato nel Guinness dei primati, è soltanto per mancanza di una specifica classifica. Insegnante di francese in una scuola media di Macerata, ha passato tutta la vita senza poter diventare di ruolo finché nel 2007 l'hanno spedito in pensione. Soltanto facendo ricorso al Tar è poi entrato nelle graduatorie per uscire dal precariato. Ma il calvario, allarga le braccia chiamando in causa «i tempi biblici della giustizia amministrativa» il suo legale Narciso Ricotta, non è ancora finito. Montemarani è ancora lì, in attesa di poter andare finalmente in pensione, prima dei fatidici settant'anni, da «professore» non più precario. Buona fortuna. A lui e agli altri. Perché il punto è: quanti sono destinati a seguire il suo destino? Con l'aria che tira non sono pochi coloro che corrono il rischio di vedersi pensionare prima ancora di poter uscire da quella condizione. «Impossibile dire con esattezza quanto tempo servirà per assorbire tutti i precari. In alcuni casi, secondo i nostri calcoli, anche trent'anni e più», spiega Francesco Scrima, il segretario generale della Cisl scuola. Il quale prende a esempio il precariato nelle materne. Gli iscritti alle cosiddette graduatorie ad esaurimento per questo settore dell'istruzione sono 74.744. Una volta colmati i vuoti degli organici (circa 4 mila unità) e tenendo conto che d'ora in poi sarà possibile occupare al massimo soltanto i posti lasciati liberi dai pensionati, circa 2 mila l'anno, ciò significa che il serbatoio dei precari non si svuoterà completamente prima di trentacinque anni. Nel 2045. Non resta che augurare lunga vita agli ultimi della lista.
Ma che cosa sono queste «graduatorie a esaurimento»? Si tratta di elenchi predisposti in seguito alla sanatoria approvata dal governo Prodi nel tentativo di regolarizzare una situazione assurda che si era determinata negli anni precedenti. Una situazione per la quale alla permanente lamentela di esuberi si rispondeva allargando a dismisura la zona grigia del precariato. Da tali elenchi, compilati rigorosamente sulla base di criteri oggettivi (l'anzianità, non il merito) si dovrà attingere per coprire il 50 per cento dei posti che di volta in volta risulteranno vacanti. Le «graduatorie» sono un numero enorme. Ben 8.433. E di queste più della metà, 4.456, sono considerate «molto affollate». E se il numero degli elenchi è enorme, figuratevi quello degli iscritti. Sapete quanti sono, secondo un dossier appena sfornato dalla Cisl? Sono 229.721. Con un rapporto di uno a tre rispetto all'organico del personale docente della scuola italiana, dalla materna al licei. Ai ritmi con cui procede lo smaltimento di questo arretrato umano (quest'anno sono stati regolarizzati in diecimila, fra il personale docente), va da sé che sarebbero necessari almeno 23 anni. Senza considerare poi che i precari non sono nemmeno tutti qui. Perché bisognerebbe aggiungerne ancora 20 mila circa, il numero di quanti sono iscritti a quelle «graduatorie» con riserva, perché in attesa di conseguire l'abilitazione. Volendo poi essere proprio pignoli non si potrebbero nemmeno escludere del tutto quelli che non sono nelle «graduatorie» perché non abilitati, ma che comunque fanno parte dell'area del precariato scolastico. Altri 300 mila, senza però al momento attuale alcuna speranza di avere un posto fisso. Almeno per i prossimi trenta o quarant'anni, visto che gli accessi alle «graduatorie» sono per legge bloccati.
Tenendo in ogni caso conto anche di loro, il numero dei «docenti» della scuola precari raggiungerebbe le 550 mila unità, per superare di slancio le 600 mila mettendo nel calcolo anche il personale precario non docente: ben 64.770 persone. Un universo mostruoso, che rappresenta un problema mostruoso, soprattutto in alcune realtà locali. La Sicilia, per esempio. Restando ai 229.721 precari ufficiali, per intendersi quelli delle «graduatorie», i siciliani sono 33.474. È il numero più alto d'Italia. Superiore anche a quello di Regioni più popolose, come la Campania, che ne ha 32.597, il Lazio (21.664) e perfino la Lombardia (28.507), dove gli abitanti sono quasi il doppio. Ebbene, in Sicilia i precari ufficiali sono una quantità pari al 51,1% dell'organico di diritto della Regione. Per non parlare della guerra fra poveri che è scoppiata per il personale non docente, a causa di alcune decisioni politiche scellerate prese in passato e di una serie di sentenze giudiziarie. Tanto per dirne una, a Palermo è successo nel 2000 che con il trasferimento del personale scolastico allo Stato sono passate negli organici statali anche legioni di lavoratori socialmente utili, inquadrati con mansioni per le quali non hanno alcuna competenza. Ma negli organici ci sono e ci restano, e così bloccano la strada ai precari che potrebbero essere assorbiti. La regolarizzazione del personale non docente, tuttavia, è un problema che si può considerare trascurabile rispetto a quello di insegnanti e professori.
Esclusa la possibilità che vengano incrementati gli organici, ipotesi che lo stesso sindacato definisce «irrealistica» considerando che la fredda legge delle cifre (il rapporto alunni-docenti) non concede margini di manovra, non restano cose come la rimodulazione dei tagli o qualche misura per allargare un po' le maglie della rete. Per esempio, propone la Cisl, attivando la mobilità verso altri settori (ma quanti accetterebbero?) o politiche «meno restrittive per la cessazione dal servizio» (i soliti prepensionamenti?). Vero, come sostiene il sindacato, che ci sarebbe una disponibilità teorica per 30 mila assunzioni: docenze attualmente non coperte da personale di ruolo. Ma i numeri sono pur sempre quelli che sono. Dall'arrivo del nuovo governo Berlusconi il personale docente della scuola ha perso quasi 50 mila posti di lavoro, riducendosi da 843.040 a 795.342 unità. Metà di questa emorragia ha riguardato proprio i precari, che sono passati da 141.735 a 116.976. Sono supplenti: chi è iscritto alle graduatorie a esaurimento, oltre a poter aspirare a un posto di ruolo, può accedere alle supplenze su posti liberi per tutta la durata dell'anno scolastico. Siccome però il numero dei supplenti è decisamente inferiore a quello degli iscritti nelle graduatorie, significa che circa 113 mila persone nell'area del precariato scolastico (cioè la differenza) sono senza lavoro.
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Assunti ma assenti
Assumereste qualcuno sapendo che resterà assente 26 giorni al mese? Eppure c'è chi lo fa. A Palermo. Purché il fortunato, si capisce, sieda nel Consiglio comunale: sarà il municipio, infatti, a pagare tutte le assenze. Più i gettoni di presenza, ovvio. Per un totale, tenetevi forte, di tre milioni l'anno. Una somma pazzesca. Da aggiungere a quella non meno folle (altri 2 milioni e mezzo) per i consiglieri delle circoscrizioni. Le quali hanno 750 dipendenti e costano all'indebitatissimo Comune quasi 20 milioni l'anno. Per capirci: sei volte più di quanto è stato complessivamente distribuito con l'8 per mille nel 2008 alle 808 associazioni di volontariato italiane che tappano tutti i buchi dello Stato sociale.
La denuncia è del Giornale di Sicilia. Che con una dettagliatissima inchiesta di Giancarlo Macaluso dimostra con chiarezza accecante che tutte le autocritiche, tutti i buoni propositi, tutte le promesse, tutti i solenni giuramenti intorno ai tagli dei costi della politica erano aria fritta. Bla bla bla. Soprattutto in certe realtà del Mezzogiorno. Come appunto Palermo. Città a larga maggioranza berlusconiana dove però l'impegno berlusconiano a governare «col buonsenso del buon padre di famiglia», come sa lo stesso Cavaliere costretto a tappare le spaventose voragini nel bilancio delle municipalizzate (si pensi all'Amia, la società che si occupa della catastrofica nettezza urbana, salvata l'anno scorso col regalo di 80 milioni di euro nel decreto «milleproroghe »), viene quotidianamente disatteso. Ma andiamo con ordine. Partendo dai gettoni ai consiglieri comunali.
Ogni eletto alla Sala delle Lapidi incassa 156 euro lordi a seduta per un massimo di 21 sedute al mese: totale 3.276 euro. Direte: teoriche, mica si possono riunire (tolti i sabati e le domeniche) quasi tutti i giorni! E invece sì: oggi un consiglio, domani una commissione, dopodomani una missione... Eppure, come spiega il cronista, paradossalmente «il problema non è tanto il costo, quanto la scarsissima produttività di un'Aula che per mesi è rimasta paralizzata». Totale dei gettoni pagati in un anno stando all’ultimo bilancio: 2.024.000 euro.
Volete un paio di paragoni? A Torino, città assai più grande, il gettone di presenza (e il limite massimo scende a 19 sedute) cala a 120 euro. A Padova precipita a 45 euro e 90 centesimi (meno di un terzo), le sedute del consiglio in tutto il 2009 sono state 24 e il costo complessivo, commissioni comprese, è stato di 72.383 euro. Un ventottesimo rispetto al capoluogo siciliano. C’è chi dirà: ma lì la città è più grande! Facciamo un rapporto col numero di abitanti: quei gettoni ai consiglieri sono costati nel 2009 a ogni cittadino padovano 34 centesimi. A ogni palermitano 3 euro e passa. Nove volte di più. Senza contare le spese esorbitanti dei rimborsi.
Stando alle regole, palazzo delle Aquile alle aziende danneggiate da dipendenti che si assentano dal lavoro perché impegnati con le attività municipali (sommando le due retribuzioni) risarcisce non solo lo stipendio, ma anche gli oneri previdenziali. E parliamo di cifre grosse. Spiega Macaluso che mediamente ogni consigliere «gode dei permessi per le attività in commissione, le missioni, le sedute d'aula e altri impegni istituzionali» per «26 giorni al mese. Praticamente tutto l'anno».
Va da sé, come dicevamo, che all’idea di assumere qualcuno sapendo che marcherà visita 26 giorni al mese ogni imprenditore risponderebbe: non sono mica un baccalà. Bene: Palermo sembrerebbe piena di baccalà. Che hanno preso in azienda dipendenti, di un po' tutti i partiti, destra e sinistra, «dopo» la loro elezione a palazzo delle Aquile. Alcuni casi? Ninni Terminelli «risulta assunto a tempo indeterminato alla Asem dal primo giugno del 2009 come "addetto alla esecuzione di progetti". E per i primi sei mesi di (non) lavoro il Comune ha rimborsato alla società 18 mila 322 euro e 13 centesimi, media mensile lorda di 2.600 euro». Ivan Trapani, impiegato alla Fenapi (Federazione nazionale autonomi piccoli imprenditori) «nel 2009 è costato alla casse del Comune 1.522 euro al mese». Vincenzo Tanania, assunto come «dirigente full time» dalla società cooperativa a responsabilità limitata «Kappaelle Comunicazioni & Eventi» nel marzo del 2010, è costato «il primo mese 4.832 euro, a maggio 4.058 e a giugno 5.314». Stefania Munafò, impiegata alla coop «Cosev arl», una media mensile di 2.054.
Andiamo avanti? Per le assenze da gennaio a dicembre del 2009 di Giuseppe Milazzo, il Comune ha rimborsato all’Amia 22.520 euro. Per quelle di Fabrizio Ferrandelli, alla Banca Popolare Sant’Angelo, 34 mila. Per quelle di Rosario Filoramo alla Uisp (Unione italiana sport per tutti) 51.774. Totale annuale dei rimborsi alle aziende che hanno la sventura di avere a busta paga un consigliere comunale: 950 mila euro. Quanto basta perché il cronista del quotidiano palermitano, con un pizzico di malizia dovuta alla scoperta in questi anni di troppi scandali e troppi furbetti, suggerisca ironico: «A volere dare un consiglio un po' truffaldino, vi suggeriamo un trucco nel caso in cui non abbiate un lavoro e siate diventati consiglieri. Rivolgetevi a un imprenditore amico o a una cooperativa e fatevi assumere». Non che sia stato accertato «che la pratica sia in uso a Palermo», precisa. Però...
Quanto ai consigli circoscrizionali, sono otto e hanno 750 dipendenti (dei quali 41 funzionari e 109 istruttori) che si aggiungono a tutti gli altri «comunali». I quali sono, comprese le municipalizzate (siete seduti? tenetevi forte) un esercito di circa 21 mila persone. Costo degli addetti alle sole circoscrizioni: 19 milioni e mezzo di euro. Una cifra spropositata. Alla quale va aggiunto il costo dei 120 consiglieri e degli otto presidenti. Citiamo l'inchiesta parola per parola: «In gettoni di presenza se ne va un milione e 710 mila euro (cifra inserita nel Peg anche per il 2011 e il 2012). Ciascun consigliere, infatti, percepisce 96 euro lordi a seduta» (contro i 60 dei «pari grado» torinesi, il doppio dei «comunali» padovani) «per un massimo del 50% dell'indennità che spetta al loro presidente, poco meno di 2.500 euro. Per cui al lordo ciascuno di essi percepisce 1.222 euro, al netto della ritenuta del 23% siamo a un netto di 950 euro al mese naturalmente maturati per intero. Figurarsi se c’è una circoscrizione che almeno non convochi tredici consigli al mese...».
Per non dire «degli oneri aggiuntivi che, come nel caso dei consiglieri comunali (ma in dimensioni più ridotte), si riferiscono ai rimborsi da effettuare alle aziende private per le assenze dal servizio del dipendente che sia anche consigliere di circoscrizione ». Un solo esempio? «Mariano D’Angelo, vicepresidente della terza circoscrizione, 7.971 euro di rimborsi all’Enel per le assenze dal servizio da aprile a giugno del 2008, altri 6.926 da ottobre a dicembre dello stesso anno e ancora 10 mila da ottobre a dicembre 2009...». Totale dei rimborsi a lui e agli altri: 850 mila euro. Dodici volte quel che costa l’intero consiglio comunale padovano. E meno male che avevano promesso di tagliare...
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