Home Chi sono Tutte le ricette. Più o meno in ordine Fonti di ispirazione Vuoi scrivermi? English Version
Visualizzazione post con etichetta Luoghi e Persone. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Luoghi e Persone. Mostra tutti i post

Photos (Sun)Day & Very Inspiring Blogger

domenica 10 marzo 2013
Mushrooms

Find something you're passionate about and keep tremendously interested in it.
~ Julia Child

Ma oggi non è domenica? Sì? Bhe allora niente lasagne, niente ragù, niente risotto né polpettone. Vi regalo invece qualche foto che ho fatto qualche giorno fa, quando al mercato sono rimasta colpita da alcuni funghi ROSA di cui manco a dirlo mi sono innamorata all'istante, tanto che poi, simpatizzando altamente con il rivenditore, mi sono sentita in dovere morale di comperargli mezza bancarella. E mi sono divertita così, con queste foto e una spadellata di funghi misti con olio, aglio e prezzemolo. Certe volte credo che le ricette non-ricette siano le migliori al mondo, solo che non posso dirlo troppo forte, perché sennò checistoafareiocolmioblog?

Tornando al vero motivo di questo post, vi sarete forse accorti che io non partecipo mai a contest, catene, concorsi e iniziative social network. Un po' per pigrizia, un po' perché arriverei comunque in ritardo sulla data di scadenza, un po' perché faccio già abbastanza fatica a pubblicare un paio di post al mese per conto mio...
Questa volta però ho deciso di fare un'eccezione, dato che il sasso mi è stato lanciato da un amico conosciuto su questi schermi, a cui sono molto legata e a cui devo in parte l'aver ritrovato dentro di me riserve ancora vive di energia e interesse per il mondo della fotografia e del food. Marcello Mela e Cannella, ti ringrazio della nomination, come vedi ho ceduto anche io, e facendo finta che sia la notte degli Oscar infilo i tacchi e faccio qui di seguito il mio bel discorsetto.

Yellow Oyster Mushrooms

Il gioco si chiama Very Inspiring Blogger, è una specie di catena di Sant'Antonio (noooooooooooooo vi prego non scappate, non vi chiederò di fare assolutamente nulla, I promise), e funziona così:

1) copia e inserisci il premio in un post; (FATTO)
2) ringrazia la persona che te l’ha assegnato e crea un link al suo blog; (FATTO)
3) racconta 7 cose di te; (VEDI SOTTO)
4) nomina 15 blog a cui vuoi assegnare il premio e avvisali postando un commento nella loro bacheca. (VEDI SOTTO)

Brown Oyster Mushrooms

Se siete ancora in ascolto, ecco qui il punto TRE, ovvero le sette cose di me che magari ancora (per fortuna vostra) non sapete:

1) a 14 anni ho preso una cotta epocale per Michael Jackson, quello di Thriller, Billie Jean e Dirty Diana. E mi è rimasto che a tuttoggi, anno 2013 di Nostro Signore, lo trovo assolutamente irresistibile e quando nessuno mi vede provo ancora a imitare il suo moonwalk cantando Billie Jean a pieni polmoni;

2) lo scorso millennio mi sono laureata in epigrafia greca con una tesi sulla prossenia ad Argo. In parole povere studiavo vocaboli in greco antico tramandatici sui sassi e sulle pietre, e ho rilegato in pelle nera con caratteri d'argento il mio libro sugli emigrati emeriti dell'antichità provenienti dalla città di Argo;

3) ho un tatuaggio sull'avambraccio sinistro, un'iscrizione disegnata da un monaco tibetano che significa "compassione", intesa come empatia, comprensione e partecipazione alla sofferenza, una specie di promemoria costante a cui vorrei riuscire a ispirarmi. E poi ne ho altri due sulla schiena, o forse tre o quattro chi-lo-sa, ma qui non entro in dettaglio;

4) adoro adorissimo correre, e mi ritaglio così, a furia di kilometri, l'ennesimo spazio richiestomi dalla mia sanità mentale. In un passato neanche tanto lontano ho terminato 5 maratone, tre volte a New York, una a Honolulu e una a Boston, dove ho miracolosamente concluso con un personal record di 3.34.24;

5) tutte le mattine metto la cannella nel caffè e qualche volte la sbatto pure nel sugo al pomodoro, sisisì, proprio lui, ma anche e soprattutto quello delle polpette quando ancora le mangiavo (provare per credere);

6) all'università avevo un gatto senza coda. Si chiamava Charlie Scooter e ovviamente era il gatto più bello, più simpatico e più intelligente dell'universo;

7) non so guidare, non ho la tv e a volte mi piace proprio dire le parolacce. Porcapaletta è la mia preferita. Sbang!

Mushrooms

E per finire, ecco qui il punto QUATTRO, ovvero la lista di blog che sbircio più o meno regolarmente e da cui traggo ispirazione costante. Siano benedetti ora e per sempre. In ordine sparso:

1) What Katie Ate: unica, inimitabile, regina;
2) Call Me Cupcake: foto talmente belle che sto facendo un pensierino al suo libro anche se è in svedese;
3) Il Cavoletto di Bruxelles: sempre fantastica Sigrid, fa quello che vorremmo fare tutti, e lo fa meglio di tutti;
4) Mela e Cannella: ma si può ritirare il sasso al mittente?
5) Dessert for Breakfast: originaria della Bay Area, a lei va un punto di simpatia in più;
6) 101 Cookbooks: ricette vegetariane sempre ultra salutari, what's not to like?
7) Cannelle et Vanille: ovvero il mondo che vorrei, rosa e country quanto basta, pieno di fiori, stoffe e ciotoline dai colori pastello;
8) Foodografia: foto che spaccano, vorrei conoscere il suo segreto;
9) Pure Vegetarian: ovvero l'altro mondo che vorrei, luminoso, semplice e purissimo. E pure vegetariano, che non guasta mai;
10) La Tartine Gourmande: il mondo che vorrei n.3, da qualche mese anche in versione libro;
11) Souvlaki for the Soul: lo adoro già a partire dal titolo del blog, mi piace lo stile delle foto, vintage ma non troppo, e gli invidio molto la grecità (reminiscenze scolastiche, chevoletefarci?) e se proprio devo dirla tutta, pure la residenza a Sidney;
12) Tartelette: da pastry chef a foodblogger per hobby fino a food photographer per lavoro, e chi non la vorrebbe una carriera così?
13) Forty-Sixth at Grace: voglio le sue props, i suoi taglieri di legno e i suoi mestoli, voglio TUTTO;
14) Chasing Delicious: perché gli omarini in cucina, ammettiamolo, hanno sempre il loro fascino;
15) Cuoca Precaria: adoro come scrive, per me è un mito e un giorno glielo dissi. Mi piacerebbe che lo facesse più spesso, perché ogni suo post è una piccola perla di saggezza, ma credimi Laura, ti capisco e ti perdono!

Eccoci giunti alla fine di questo lunghissimio post, e a questo punto anche della mia domenica. Se siete ancora con me, sappiate che come tutte le regole, anche quelle del giochino di oggi sono fatte per essere infrante, e io per motivi logistici evito di mettere dei commenti di riferimento ai blog sopracitati. Questa catena continuerà ne sono certa, con me o senza di me.
Vi lascio in dono una ciotola di funghetti rosa.
Au revoir.

Pink Oyster Mushrooms

Pura e Semplice

giovedì 30 settembre 2010


Dedicato a tutti quelli che hanno un sogno. A quelli che non l'hanno mai abbandonato, e a quelli che ancora lo stanno cercando. Qualunque esso sia.
...per la serie, a volte ritornano.

“Ho iniziato ad andare spesso in Italia con la mia famiglia, e poi, quando sono diventato grande abbastanza, ho iniziato ad andarci spesso per conto mio, fino al punto in cui ci andavo anche tre o quattro volte all’anno. E panificare e’ diventata un’ossessione. E’ una cosa cosi’ difficile, ogni piccolo particolare puo’ cambiare il risultato: il tempo, il tipo di acqua, la farina, ogni farina e’ diversa, il modo in cui viene macinata, il periodo dell’anno, il modo in cui funziona il forno”.
“Mi ci sono immerso a tal punto, che mi sono perso nell’idea di diventare bravo a farlo. Mia nonna ha avuto una grandissima influenza su di me, e anche mia madre. E pure la musica, soprattutto il punk rock, quello duro. Mi parlava e mi faceva sentire meno solo”.
“E’ proprio saperlo fare con la consapevolezza di ogni dettaglio, significa proprio essere consapevoli e spingere fino in fondo”.
“Ho deciso di aprire un locale a New York City. Da giovane e’ sempre stato il mio obiettivo. Ho iniziato a mettere da parte un po’ di soldi qua e la’, e alla fine, dopo sei mesi passati a cercare, ho trovato un locale nell’East Village, ho firmato il contratto e ho iniziato i lavori”.
“Quando da bambino andavo a Napoli e mangiavo la pizza…non c’era una cosa simile in America. Quando andavi a Napoli e camminavi lungo quelle viuzze sul retro, e andavi in queste pizzerie dove c’erano questi forni a forma di alveare rivestiti di piastrelle piccolissime, e un fuoco violento che veniva fuori dalla bocca del forno, e questi con nonchalance che facevano scivolare dentro e fuori l’impasto come nulla fosse... Ed era umida e coperta d’olio, ma senza tanti ingredienti, l’attenzione era sempre sull’impasto”.
“Ogni libro che e’ stato scritto negli anni ’70 e ’80, io l’ho letto. Se parlava di panificazione, di Napoli, o di pizza, io l’ho letto da cima a fondo almeno cinque volte! Mi sembrava cosi’ incredibile fare qualcosa con cosi’ pochi ingredienti, e creare cosi’ tanti livelli di sapore e poterla fare diversa ogni giorno. Per me, questa e’ creativita’. Invece di avere tutte queste scelte, e olive, e peperoni, e salsiccia, etc etc….E io pensavo ma se sono gia’ cosi’ stressato e gia’ voglio diventare esperto di questa unica cosa che cambia continuamente ogni giorno, e perfino nel corso dello stesso giorno, ma perche’ mai dovrei voler avere a che fare con qualcos altro? E’ molto piu’ facile fare una cosa, inclusa la pizza, mettendoci sopra tante schifezze, o aggiungendo di piu’ per mascherarne la verita’ e la semplicita”.
“Quando si entra nel mio locale, e’ praticamente come entrare nel mio salotto. Tutto quello che si vede l’ho costruito con le mie mani, tutto quello che e' appeso ai muri e’ fatto dalle persone a cui tengo, e a parte questo, il prodotto che servo e’ tutto cio’ che sono capace di offrire”.
“Ogni giorno vedo qualcosa di nuovo, imparo qualcosa di nuovo. Faccio questo lavoro da 21 anni, e sto ancora combattendo, sono ancora alla ricerca. Il mio universo e’ costantemente in espansione, perche’ sono perso dentro all’ universo che io stesso mi sono costruito”.
(A. Mangieri, Pure and Simple)

Una Pizza Napoletana

Foto tratta dal sito di Una Pizza Napoletana

Pizza Obsession

martedì 12 gennaio 2010
I love this guy. Vi ricordate?




MY PIZZA & ME
Estratti da un'intervista

[..]
To make pizza in a wood oven good, there is so much attention that needs to be paid, constantly be aware of how each pizza is baking, if you need to add wood, if you need to not add wood. And you just see where the hot spots are in the oven and just keep pushing it throughout the night. I mean that takes years and years and years to learn and it takes a 100% dedication throughout the night and focus.

Me, the guy that works in the kitchen, and the waiter, the three of us, that’s it. We did every single thing in here, tiled the floor...The counter here I designed it and had a woman in Chinatown weld it. I actually put the marble on top of it.

You know, we get people to come in, like last week, some woman was like Oh, the dough doesn’t taste the same. What are they doing?, and the waiter is like Who’s THEY? There is no they!
So I would hope that when people come in here, they really try to open their eyes and open their mind and see that...you know what?...you might not like the waiter, you might not like me, but I just hope that you come in and you see that we really don’t compromise and that we really do care and we’re not trying to get anything over on anybody. It’s the truth, it’s not done in any way but with love [...].

[...]
On the menu we have just four kinds of pizza.[...] They are basically all the same, they all taste really different though.
[...]
It’s not that I am against other toppings on the pizza, it’s that I feel like once you open that door, then there is no limit. Honestly, I don’t know how you can control all those different elements and have them be of a high quality. I wish that I could grow everything myself and control them from start to finish, but I can’t.
I mean, I think you start to loose a grip on the quality of everything little by little by little, and also, more importantly, the taste, you know, it’s really difficult to have something taste beautiful, interesting, and, you know, make you wanna come back again and again, and crave a taste for when there is like, four ingredients in it.

[...]
None of these old time pizzerias in New York City, in my opinion, make good pizza, not one of them. They all stink. You know, they learned how to make it 30 years ago and if anything changes or ingredients change over time, they don’t even know why, they just keep rolling with it. It might have been good when the original guy started it, and he was doing it to survive and it was his life, but at this point...pfff...
The pizzerias that are newer in the city, too, the same thing, I mean you know they have multimillionaires back and they get some guy that make pizza..., you know, and maybe the guys are from Italy...Whoopee. If you ever see anybody in America that says that they’re from Naples and they are a pizza maker... if they were making pizza in Naples, they were making it at a rest stop on the Autostrada, because, if you’re a pizza maker in Naples, you have the best job in the city, it’s like one of the highest paid jobs, they’re super respected and they are in demand. They are not gonna come to America to make 10 bucks an hour and work 15 hours a day and be treated like a third class citizen.

I’ve had four ovens...actually, I think I’ve had five, ‘cause I had one in my backyard that me and my father built. That was my first one, and we built that after I was trying to make pizza on the floor of the fireplace in the living room...and that didn’t work too well either.

You can’t make, in my opinion, the same flavor with coal or with gas, There is nothing beautiful about it. The heat from a coal oven is not gentle; it’s very dry and very overpowering. With a brick oven you have the heat from the fire, the direct heat from the fire, you have the hot air and then you also have the floor and the walls all being hot.
I opened here and had a guy from Naples build me an oven. When he finally finished it and as soon as I fired it up, I knew that it wasn’t built right. It’s a shame, I mean, it cost a ton of money. It was still better than any other oven that I had. It took us two days to get it out with a sledgehammer. We ripped the front of the store off, I ripped all the walls out so that I could get everything out of here, threw the oven in the dumpster, and got another one.
The oven that I have now is the oven that I wanted since I was a little kid. I went to Italy in April of last year, and went and met this man that built this oven in Naples. [...] Every element of the oven works perfectly together, [...]every single detail is perfection. [...] I am so happy with it, it’s really beautiful.

The taste of the dough, the whole structure in the crust, it should have like a sweet kind of smell, it shouldn’t smell of yeast, it should smell of the wheat. The ingredients on the pizza, it should be lightly topped, everything should be kind of an even balance, you know, and playing off each other. There shouldn’t be where, you know, you hide the dough with - like - ricotta, pesto, black olives and everything else under the sun. That’s of mediocre quality, there should be beautiful dough, baked properly, with some seasoning and that’s how you can tell – to me – a good pizza.

The hardest to source is the buffalo mozzarella. [...] There is always a problem, at least once a month it doesn’t come for one week, dates are falsified. It depends who you know in Italy, how they stamping it...
Even when the buffalo mozzarella is not at its freshest, it still melts differently, and looks different on a pizza than fresh mozzarella, which is called fiordilatte in Italy.
When you take it out of the oven, the pizza looks like it has some life, it’s shiny, it’s glistening, the cheese usually has these beautiful little shades of a little bit of greenish to it.

There are some people in America that are trying to make buffalo mozzarella, but I’ve tried both of them, there is one in California and one in Vermont, and I love the fact that they’re doing it, I really wanted to use it, to support it, but the taste... it’s just not there. It just doesn’t have the magic that the buffalo mozzarella does from Caserta or Battipaglia outside of Naples.

Il Pane di Hide

mercoledì 9 dicembre 2009
Pane di Hide

Ho deciso. I miei prossimi 42 km saranno a Big Sur. Lo scrivo qui perche' in questo modo mi sento obbligata a mantenere la promessa ed evito che mi vengano strane idee, tipo quella di tirarmi indietro all'ultimo minuto. Qualcuno dice che sia una delle piu' belle maratone degli Stati Uniti, non famosa come New York o Boston, ma sicuramente piu' scenografica per il percorso che si snoda lungo uno dei piu' bei tratti di costa del Pacifico.

Che c'entra questo con la girl in the kitchen, direte voi? E' che proprio meditando su Big Sur, mi e' venuta in mente questa ricetta, che tempo fa avevo segnato col solito post-it giallo in modo da poterla provare al piu' presto. L'ho trovata in un libro bellissimo, The Big Sur Bakery Cookbook, uno di quelli che ti vengono suggeriti dal Grande Fratello Amazon, e che all'improvviso ti sembra di dover assolutamente possedere.
E' una sorta di diario culinario di un piccolo ristorante/caffe', nascosto dietro a una stazione di benzina lungo la Highway 1. La storia di quattro amici che decidono di lasciare l'atmosfera glamour e impossibile di Los Angeles per costruire il loro sogno in mezzo alla natura. Con tutte le fatiche del caso, come l'elettricita' che puo' mancare per giorni quando l'unica linea che collega Big Sur a Carmel decide di guastarsi, il senso di soffocamento che a volte colpisce vivendo in una comunita' di poche centinaia di persone, o i rischi finanziari di gestire un business che si nutre essenzialmente di turismo.

Come al solito, la prima ricetta che mi ha colpito e' quella di un pane, anche se in questo caso non si tratta di un lievitato, ma piuttosto di una via di mezzo tra il soda bread irlandese e gli english muffins (che, badate bene, sono tutta un'altra cosa rispetto ai muffins, e sono invece piu' simili agli scones inglesi, i quali a loro volta non sono da confondersi con gli scones americani...che confusione... direi che e' meglio fermarsi qui altrimenti la parentesi sfonda in un altro post).
Insomma vi avverto, questi insoliti panini, quintessenza della California zen e salutista, non sono per tutti. Intendo dire che non vanno bene per il classico pane e salame, hanno la crosta dura e croccante e l'interno molto denso e ricco di semi che scricchiolano con piacere sotto ai denti. Vanno assolutamente tagliati in due e tostati per bene prima di essere consumati, proprio come gli english muffins (che non sono come i muffins!!...), e sono il massimo a colazione spalmati di marmellata e accompagnati da una bella tazzona di caffe' senza fondo.
Adesso sono sicura. Prossima tappa, Big Sur.


Il Pane di Hide
per circa 8 panini

farina 375 gr.
semi di lino 50 gr.
semi di sesamo 40 gr.
fiocchi d'avena 120 gr.
semi di girasole 25 gr.
semi di miglio, amaranto, quinoa o papavero, oppure un misto fra questi 50 gr.
sale la punta di un cucchiaino
bicarbonato di sodio 1/2 cucchiaino
birra 60 ml.
latticello, latte o acqua 350 ml.


La ricetta l'ho divisa a meta', la dose originaria e' per 15 panini di circa 10 cm di diametro.
In una larga ciotola, mettere tutti gli ingredienti secchi e mescolare. Fare la fontana nel mezzo e unire la birra e il latticello (o l'acqua e/o il latte). Mescolare con le mani o con un mestolo di legno finche' tutti gli ingredienti sono amalgamati e formano un impasto denso e umido. Cospargere la supericie con un po' di farina e rovesciare l'impasto sul piano di lavoro. Dargli la forma di un salame di circa 5 cm di diametro, quindi tagliarlo a fette spesse 3 o 4 cm. Appiattirle leggermente con le mani e metterle su una teglia rivestita di carta forno. Cuocere a 180 per circa 45 minuti, finche' la superficie e' dorata. Lasciare raffreddare completamente. Prima di servire, tagliare i panini a meta' e tostarli per bene, mi raccomando.

La Stecca di Jim

lunedì 9 novembre 2009
La Stecca di Jim

Bhe, che avete capito? Stecca e' il nome che il mio amico Jim da' alla sua versione della baguette senza impastare. Non e' una baguette, non e' un filone, ne' tantomeno un grissino. E' una stecca, che altro se no?

Io questo Jim qui me lo sposerei domani, senza nemmeno andare a Las Vegas, lo sposerei proprio nel retrobottega di Sullivan Street Bakery, tra i sacchi di farina e i forni accesi, con un grembiule al posto dell'abito bianco e con le mani appiccicose e sporche di impasto. Ma come chi e' costui? E' Jim, quello famoso, quello del PSI, il Pane Senza Impastare che da qualche anno spopola sui foodblog di tutto il mondo, reso celebre da un articolo e da un video di Mark Bittman del NY Times. Ecco, avete capito, proprio quello li'.

Ho visitato la Sullivan Street Bakery la scorsa settimana nella speranza di incontrarlo, ma che illusa! Dimenticavo che tutto e' fatto senza impastare, e quindi probabilmente il mio caro Jim se ne stava bello tranquillo su una spiaggia caraibica mentre il pane, le stecche e le ciabatte lavoravano da sole.
In compenso mi ha fatto una sorpresa. Finalmente anche lui si e' fatto furbo, e dopo aver visto la sua ricetta girovagare all'impazzata per l'etere diventando leggenda, ha deciso che fosse giunto il momento di dargli una paternita' ufficiale. E cosi' e' arrivato sugli scaffali il suo libro, My Bread, The Revolutionary No-Work, No-Knead Method, una collezione di ricette per i panettieri pigroni come me, non solo il celeberrimo PSI gia' testato piu' volte, ma anche ciabatta, pane al formaggio, panini con la pancetta, pane al cocco e cioccolato, pane irlandese alla Guiness, pane al mais, pizze e focacce. Il libro mi ha accolto in primo piano proprio all'ingresso della piccola bakery. E come facevo a resistergli? Lo so, lo so, avevo promesso basta con i libri (anzi, se non ricordo male, avevo addirittura promesso di mettere in vendita quelli che gia' posseggo), ma un piccolo strappo alla regola, per Jim si puo' fare, no?

Avete mai avuto un tuffo al cuore aprendo il forno a cottura ultimata? E' quello che mi e' successo stamattina quando ho sfornato queste stecche. Non ci potevo credere, cosi' gonfie, profumate e irresistibili. Il tutto per 15 minuti di lavoro.
Signor Lahey, mi vuole sposare? Adesso so fare anche le Sue stecche, domani provero' il pane alle noci, prossimamente Le concedero' pure la pizza, se non e' amore questo!

Sullivan Street Bakery
Sullivan Street Bakery
533 W 47th Street
New York, NY 10036
Tel: (212) 265-5583



La Stecca Senza Impastare
per 4 stecche

farina forte 455 gr.
acqua fredda (12-18 gradi C) 350 gr.
sale 3 gr.
zucchero 3 gr.
lievito secco 1 gr.
olio di oliva, sale grosso
farina o crusca per spolverare


In una larga ciotola, mescolare farina, sale, zucchero e lievito. Unire l'acqua e mescolare con la mano o con un mestolo di legno finche' gli ingredienti sono appena amalgamati a formare una palla umida e appiccicosa (bastano circa 30 secondi). Coprire la ciotola con pellicola e lasciare riposare a temperatura ambiente finche' l'impasto e' raddoppiato e la superficie e' coperta di bolle (12 - 18 ore circa).
Spolverare abbondantemente di farina la superficie di lavoro. Rovesciarvi sopra l'impasto, piegarlo su se stesso un paio di volte e poi dargli la forma di una palla un po' appiattita, tenendo la "cucitura" verso il basso (se avete qualche dubbio circa le pieghe, guardatevi il video del Pane Senza Impastare, qui). Mettere un panno da cucina sul ripiano, cospargerlo di crusca o farina e disporvi sopra la pagnotta. Spennellare la superficie di olio di oliva e cospargere di sale grosso. Se l'impasto e' appiccicoso, spolverarlo ancora con un po' di farina o crusca. Richiudere sopra di esso il panno e lasciarlo lievitare ancora per una o due ore. Dovra' circa raddoppiare. L'impasto e' pronto quando, affondando un dito, mantiene l'impronta senza ritornare indietro.
Circa mezz'ora prima della fine della seconda lievitazione, accendere il forno e portarlo a 250. Ungere una teglia di circa 30x45 (io l'ho semplicemente rivestita di carta forno, senza ungerla d'olio). Dividere l'impasto in 4 parti, e con delicatezza allungare ogni pezzo formando una stecca della lunghezza della teglia. Disporre le stecche parallelamente, distanziandole circa 1.5 cm l'una dall'altra. Spennellarle di olio e cospargerle ancora con del sale grosso.
Cuocere nel forno caldo per 15-25 minuti, finche' la crosta e' dorata. Far riposare le stecche nella teglia ancora per 5 minuti, poi disporle su una grata e farle raffreddare completamente.

Una Pizza Napoletana

domenica 25 ottobre 2009
Anthony Mangieri
Foto tratta dal sito ufficiale del New York Times


Anthony Mangieri, chi era costui?

C'era una volta un pizzaiolo integralista, uno di quelli che non sono disposti a scendere a compromessi, niente mozzarelle da quattro soldi, niente lieviti artificiali, niente pummarole pronte. Anthony Mangieri aveva un sogno, inseguito per anni come il Santo Graal: capire il segreto della pizza, sviscerarlo, farlo suo per poterlo poi offrire al resto del mondo. Anthony Mangieri sapeva che la pizza napoletana e' un affare serio, una magia da conquistare con pochi ingredienti, ma tutti di ottima qualita'. Niente trucchi, niente aggiunte superflue: sale, acqua, farina e lievitazione naturale. Pomodoro, mozzarella, olio e basilico. Prendere o lasciare. Al bando tutti gli extra, a che servono?

Una sfida mica da poco, in un mercato dove il consumatore viziato e' abituato a chiedere e ottenere quello che vuole: pizza alta, bassa, quadrata o tonda, col pesto o con il pollo, bruciacchiata o mezza cruda, con l'ananas o il prosciutto, oppure tutto insieme, dimmi cosa vuoi e ti accontentero'. Pseudo pizzerie e pizze al taglio in ogni angolo, prezzi da fast food, con chi mai pensava di mettersi in competizione?

Una Pizza Napoletana era tutto fuorche' la classica pizzeria americana. Gia' a leggere il cartello affisso sulla porta, si capiva che c'era qualcosa di strano:

"Aperto dal Giovedi' alla Domenica
Dalle 5 fino a che finisce l'impasto"


E' uno scherzo? Come sarebbe a dire dal giovedi' alla domenica? E quelli che per caso vogliono una pizza di mercoledi', che fanno? E poi siamo negli USA, come si permette Lei di chiudere per riposo? E cosa e' questa storia che l'impasto puo' finire? No, no, no, non e' possibile, l'impasto non finisce mai. Finche' ci sono clienti, ci deve essere impasto, non importa se non e' ancora giunto a lievitazione e se in realta' e' quello programmato per domani. Si usa e basta, che differenza fa?

Quando poi andavi a leggere il menu, non sapevi piu' che pensare: Anthony era un visionario oppure era semplicemente un pazzo. Una Pizza Napoletana offriva quattro pizze, tutte quante variazioni sul tema: Marinara, Margherita, Bianca e Filetti (con aggiunta di pomodorini tagliati a pezzi). Un gioco di scambio tra gli stessi ingredienti, pomodoro, mozzarella, olio e basilico. Niente di piu'. Quattro pizze. Nessuna insalata, nessun antipasto, stuzzichino o finger food. Nemmeno il dessert. La pizza come religione, una fede integralista a cui Anthony faceva un'unica concessione, del vino rosso campano da servire in caraffa.

Nella pratica, il suo delirio visionario equivaleva a un suicidio commerciale, una firma per attirarsi le critiche e i dissensi del popolo affamato. Ma come, cosa vuol dire non posso fare aggiunte? E non avete nemmeno i pepperoni (tipo di salamino piccante, ndr)? La prossima volta ci pensero' bene prima di aspettare qui per mezz'ora... E invece la pizza ti arrivava bella come mai, rotonda, profumata e fumante. E tutta intera, come e' giusto che sia, non gia' tagliata a spicchi o divisa a meta', alla moda americana. A ognuno la sua pizza, perche' in casi come questi e' giusto essere egoisti.

E poi c'era quella storia degli ingredienti, tutti rigorosamente di importazione e selezionatissimi, scelti con un'ossessione quasi maniacale: farina biologica, pomodori San Marzano DOP, sale marino della Sicilia, olio extravergine che pareva una spremuta di olive, bufala campana freschissima.

Chi vuol capire, mi seguira', a tutti gli altri rimarranno le infinite altre pizzerie di NY. Chi voleva capire frequentava quel minuscolo locale dell'East Village come fosse un tempio, con l'adorazione e il rispetto che si porta verso il Sacro. I hope, Ho Fede, come Anthony si era fatto tatuare sulle dita delle mani. Chi voleva capire, non avrebbe piu' rinunciato a quel forno a legna per nessun'altra pizza di Manhattan.

Anthony Mangieri evidentemente non era pazzo, e questa storia della pizza hard-core l'aveva vista giusta. La sua insana ossessione per Napoli, lui che era nato nel New Jersey e a Napoli non ci era mai stato, l'aveva portato sulla strada giusta. Eppure, all'apice del successo e della carriera, Anthony Mangieri ha preso coraggio e ha deciso che quel sogno dell'East Village era giunto al termine. Era ora di lasciare spazio a qualcun altro. Una Pizza Napoletana ha chiuso pochi mesi fa, da un giorno all'altro, con un semplice messaggio di ringraziamento al pubblico per il supporto e l'amore che gli ha dimostrato in 5 anni.

Ma chi conosce Anthony Mangieri, sa che uno come lui, a 40 anni, non puo' aver rinunciato a sognare: I want to make a change, man, racconta all'inviato del Diner's Journal, il blog del NY Times dedicato alla ristorazione di qualita'. I’m almost 40. I’ve lived my life between New Jersey and this neighborhood. If I don’t do this now, then when?

E vuoi vedere che...

Irish Soda Bread

domenica 26 luglio 2009
Irish Soda Bread

Ieri mi e' capitato di andare nel Richmond, un quartiere residenziale situato nella parte nord occidentale della citta'. Non ci sono stata molte volte, e le uniche cose che ricordavo erano la nebbia, che li' colpisce in anticipo ed e' piu' fitta che nel resto della citta', e la folta comunita' russa che spiega l'alta concentrazione di piroshki, blini e caviale in vendita nei numerosi alimentari di Geary Street.

Dall'est europeo all'Irlanda il salto non e' mai stato cosi' breve: non avrei mai immaginato che tra un'aringa, un bicchiere di vodka e una zuppa di rape si nascondesse una delle poche bakeries irlandesi di tutta San Francisco, se non l'unica. Ma dico io: dove me l'hanno nascosta in tutti questi anni????!!!?? Bisogna proprio essere distratti per non vederla, che' con il suo ingresso tutto dipinto di verde, la John Campbell's Irish Bakery e' proprio difficile da ignorare. Essere distratti e' dir poco....

Tra i prodotti che mi hanno colpito, la miriade di piccole pies, tutte col bordo perfettISSIMO, gli scones al Baileys che solo ad assaggiarli fanno ubriacare, e, of course, il mitico Irish Soda Bread, il pane irlandese al latticello (e poi, siccome siamo pur sempre a San Francisco, non ho potuto fare a meno di notare la presenza della focaccia al taglio, che -mi sbagliero'- ma credo non sia propriamente irlandese...).

Mi sono immediatamente ricordata di questa ricetta che avevo provato anni fa dal libro di J. Hamelman sul pane, Bread: A Baker's Book of Techniques and Recipes, che e' un po' come una specie di Bibbia per tutti quelli a cui piace mettere le mani in pasta. E mi sono anche ricordata che per farlo sarebbe necessaria una farina integrale apposita, irlandese DOC, che qui e' impossibile da trovare. Mi sono fatta coraggio e ho chiesto alla commessa se per caso me ne potevano vendere un pochino, di farina, come se, tra 00, 0, manitoba, extra-forte, integrale, integrale da pasticceria, di mais, fioretto, di grano duro, di ceci, di castagne (e sono sicura che ne dimentico qualcuna), la mia collezione non fosse gia' abbastanza nutrita....No, mi dispiace, non e' in vendita. Perfetto, questa bakery mi piace ancora di piu' e riesco anche a perdonarle la focaccia alle olive. Mi inchino al sapere, compro un paio di bicotti al burro semplici e profumatissimi, e me ne vado con la mia sfida in tasca.

Hamelman, che per qualche hanno ha vissuto e lavorato in Irlanda, ci avverte che e' praticamente impossibile riprodurre l'Irish Soda Bread dall'altra parte dell'oceano, sia per la mancanza della farina adatta, sia perche' il latticello a nostra disposizione e' solo una pallida imitazione di quello irlandese, pungente e aromatico, ricco di sapore e di grasso derivato dalle mucche che si nutrono di pascoli verdi. Mica l'ho detto io, eh! Eppure e' lui stesso a spiegarci due barbatrucchi che possono dare un risultato piu' che soddisfacente: il primo e' quello di usare un mix di farina integrale e germe di grano tritato grossolanamente (che puo' in qualche modo sostituire la farina integrale irlandese a grana grossa), e il secondo e' quello di sostituire circa il 20% del nostro latticello con un eguale peso di yogurt o panna acida.

Una pezza di qua, una pezza di la', e abbiamo la nostra versione dell'Irish Soda Bread. In fondo, se John Campbell di Belfast mi vende la focaccia al taglio, io credo di essere autorizzata a fare il suo pane, no?

E poi e' ancora Hamelman, beato lui, a venirmi in aiuto con una nota in calce alla ricetta. Quando ho letto queste parole, volevo quasi prendere un aereo e andare a casa sua nel Vermont per ringraziarlo di persona. So che entro in un terreno delicato e le argomentazioni non si possono ridurre a due righe, ma nonostante ami sperimentare in cucina, io sono fondamentalmente contro la filosofia moderna dell'avere tutto di tutto dapertutto. E' quella che io chiamo fragola ubiqua. Fragole, ma non solo, anche uva, ananas, mirtilli e pesche tutto l'anno: sembra quasi la descrizione del Paradiso Terrestre, e invece e' la realta' di oggi, per me non molto paradisiaca. Io sono contro la fragola ubiqua e universale, cosi' come sono contro la burrata a Chicago o la granita siciliana a Bormio. Certo, si puo' fare, ma non la si chiami granita siciliana, allo stesso modo in cui mi chiamano Parmigiano il formaggio plasticoso del Cile, o Mozzarella quella specie di sottiletta che non va mai a male. Ehm...scusate...sto divagando. Per tornare a noi, chiudo con queste parole, a proposito del pane irlandese: "In a way, I'm glad we can't quite duplicate the bread here; like the Guiness, it's somehow right that soda bread can't simply cross the ocean and still be as good as it is in Ireland herself".
(J. Hamelman, Bread, p. 264)

Campbell's Irish Bakery John Campbell's Irish Bakery
5625 Geary Blvd.
(between 20th & 21st Avenue)
San Francisco, CA 94121
Tel: (415) 387-1536



Irish Soda Bread
per una pagnotta di circa 500 gr.

farina 00 200 gr.
farina integrale 30 gr.
germe di grano 70 gr.
latte in polvere 12 gr.
zucchero 1/2 cucchiaino
sale 3/4 cucchiaino (3 gr.)
bicarbonato di sodio 1 cucchiaino e 1/2 (8 gr.)
lievito chimico 1/2 cucchiaino
latticello 265 gr.
(oppure 190 gr. latticello e 75 gr. yogurt o panna acida)


Prima di tutto tritare il germe di grano col mixer, senza ridurlo in polvere, ma mantenendo una grana grossolana (io non l’ho fatto, perche’ quello che ho acquistato andava gia’ bene cosi’). Mescolare in una ciotola tutti gli ingredienti secchi. Se si usa lo yogurt (o la panna acida), mescolarlo al latticello finche' si ottiene un composto omogeneo.
Versare il latticello sopra il mix di farine e mescolare con delicatezza e non troppo a lungo. E’ sufficiente che il composto sia amalgamato e che si formi una palla, ma non e' necessario lavorarlo energicamente (avete presente la regola dei muffins?). Si puo’ tranquillamente fare a mano, senza impastatrice, perche' questo non ha nulla a che vedere con il pane tradizionale, ma e' piuttosto una sorta di compromesso tra il pane e l'impasto dei muffins o degli scones.
Rovesciare il composto sul piano infarinato, dargli una forma a palla e appiattirlo leggermente per eliminare eventuali bolle all'interno. Cospargere la superficie di farina, trasferire il pane su una teglia rivestita di carta forno e incidere la superficie con due tagli perpendicolari, affondando la lama fino a circa l’80% dello spessore.
Cuocere a 240/250 per 15 minuti, poi abbassare a 230 e continuare la cottura per altri 15 o 20 minuti. Si formera' una bella crosta dorata. Se in corrispondenza dei tagli il pane e' ancora piuttosto pallido, significa che non e’ cotto del tutto. In questo caso, prolungare la cottura per qualche minuto. Far raffreddare su una grata prima di tagliare a fette.
L'Irish Soda Bread andrebbe consumato il giorno stesso. Si puo' conservare in freezer, o in alternativa, tenere qualche giorno in un sacchetto di carta e consumare a fette, dopo averle fatte leggermente tostare.