mercoledì 29 gennaio 2025

"Bucaneve", Mélissa Da Costa

 

Lione, autunno 2008. Ambre Miller ha vent'anni e pensa di non essere mai stata amata. Non dalla sua famiglia, dove non c'è condivisione, non c'è dialogo, non c'è affetto. E non da Philippe, il quarantenne di cui da un anno è l'amante e che non ha nessuna intenzione di lasciare moglie e figli per lei. E' lui a trovarla immersa nella vasca da bagno con le vene dei polsi tagliate. Ed è sempre lui a procurarle un lavoro stagionale come cameriera all'hôtel restaurant Les Mélèzes di Arvieux, sulle Alpi francesi. Ambre accetta per mancanza di alternative, non è riuscita a farla finita, ma non sa cosa farsene della vita. E dover fare i conti con l'euforia dei nuovi colleghi complica ulteriormente il suo fragile stato emotivo.  

"Ti ci dovrai abituare. La vita di noi stagionali è così... Siamo una famiglia, si finisce sempre per aver bisogno gli uni degli altri. Non è un difetto. E' normale. Forse hai pensato che fosse difficile venire qui, ma lo sarà ancora di più andare via. Vedrai. Saremo diventati tutti una piccola parte del tuo universo"

Così le ha detto Tim una sera dopo averla sorpresa a piangere in bagno, ma lei non gli crede: i sei mesi successivi a chi daranno ragione?

Ovviamente a lui e non sto facendo spoiler: si sa che i libri della Da Costa sono un inno alla rinascita, un tripudio di buoni sentimenti, un invito a non perdere mai la speranza. E "Je revenais des autres" non fa eccezione (per una volta approvo il cambio di titolo dell'edizione italiana e come Rizzoli abbia colto la metafora fra la protagonista e il fiore che sboccia d'inverno).

Traccheggiante

Scritto nel 2016 e autopubblicato su Amazon passando inosservato, è stato poi riproposto dalla casa editrice Le Livre de poche nel 2021, dopo il successo riscosso da "Tutto il blu del cielo" e "I quaderni botanici di Madame Lucie", letti nel 2022.

Ho affrontato questa terza lettura aspettandomi il peggio del peggio avendone sempre sentito parlare malissimo, soprattutto per il paragone con i due titoli precedenti, ma personalmente non ho riscontrato chissà quali differenze: quelli non sono dei capolavori e questo non è da buttare. Sono sullo stesso livello sotto a ogni aspetto: stile di scrittura, caratterizzazione dei personaggi, dialoghi e tematiche pesanti che vengono trattate con una serenità piuttosto irreale, ma che si adatta al genere di messaggio che l'autrice vuole trasmettere.

Le carenze di affetto spingono Ambre verso una vita balorda quando è ancora troppo giovane per poter capire certi meccanismi e per essere in grado di riconoscere di essere più fortunata di tanti altri. Quando arriva in montagna dopo il tentato suicidio smette di essere la protagonista assoluta e il romanzo diventa corale, vengono ricostruite le vite degli altri personaggi fra i quali spiccano una ragazza madre e un giovane omosessuale che danno modo all'autrice di trattare altri argomenti di rilievo con un po' troppa superficialità, proponendo un cambio di rotta che può appagare solo bigotti e perbenisti e con un finale che avrei trovato deludente, perché falsamente conclusivo, se non avessi saputo che c'è un seguito ("All'incrocio dei nostri destini").

E l'immersione nella natura resta il punto di forza dei romanzi della Da Costa. Questa è la bella Arvieux:


E questo è il Lac de Roue, poco distante:


Reading Challenge 2025, traccia annuale Scarabeo


lunedì 27 gennaio 2025

"La gente felice legge e beve caffè", Agnès Martin-Lugand

 

Parigi, estate di un anno non precisato.

"Adesso fuori! Non voglio più vedervi"

Erano queste le parole con cui Diane un anno prima si era liberata di Clara e Colin quando continuavano a intralciarla mentre cercava di preparare i bagagli per l'imminente vacanza. Non poteva immaginare che davvero non avrebbe più rivisto la sua bambina di cinque anni e il marito: poco dopo essere usciti un camion li aveva centrati uccidendoli.
I dodici mesi successivi non sono bastati a Diane per riprendersi: non esce quasi mai dal suo appartamento e dipende completamente da Félix, il suo migliore amico, un eccentrico omosessuale che fa la spesa per lei e manda avanti - anche se malamente - il caffè letterario "La gente felice legge e beve caffè", di cui sono soci da sei anni.
Ed è grazie, o per colpa, di Félix e del suo tentativo di convincerla ad andare in vacanza con lui al mare, che Diane improvvisamente si scuote: mare sì, ma da sola e niente Mediterraneo! Andrà in Irlanda, un viaggio a cui Colin aveva sempre rinunciato per accontentare lei, amante del caldo.
Cartina aperta sul tavolo e occhi chiusi: il dito puntato a caso si abbatte su Mulranny.
Ed eccola lì, nel cottage sulla spiaggia che ha affittato per alcuni mesi e da cui non riesce a uscire, esattamente come le succedeva a Parigi, ma per lo meno in Francia c'era Félix, mentre in Irlanda c'è Edward, il vicino di cottage, la cui stazza viene superata solo dalla sua scontrosità.

Debole

I casi editoriali francesi riescono spesso a essere più discutibili di molti dei nostri.

Nel 2012 Agnés Martin-Lugand - bretone classe 1979 - ha esordito facendo uscire questo romanzo a sue spese nella sola versione digitale. Il passaparola ne ha poi decretato il successo, tanto che nel 2013 la casa editrice Lafon ha deciso di investire nell'edizione cartacea.
A quel punto l'autrice ha abbandonato la professione di psicologa per dedicarsi unicamente alla scrittura, sfornando altri undici romanzi, fra cui anche il seguito di questo.

Che cercherò di leggere nei prossimi mesi - altrimenti finisce come con Glattauer, di cui a distanza di più di tre anni devo ancora recuperare il seguito di "Le ho mai raccontato del vento del Nord" - ma a spingermi sarà solo la mia odiosa puntigliosità, quella che mi porta a non abbandonare mai un libro iniziato e a provare un certo disagio al pensiero di un seguito non letto.

"La gente felice legge e beve caffè", di cui mi aveva colpita il titolo, è stato una delusione perché troppo  diverso da ciò che mi aspettavo, vale a dire un romanzo con la morte e il lutto come temi centrali, qualcosa in stile Perrin, ma più conciso (202 pagine contro le 600 tipiche dell'altra francese). Invece no. La tragedia della protagonista viene liquidata nella primissima parte, che è la migliore; poi la storia prende una piega sentimentale inaspettata, diventando banalissima: personaggio maschile bello, quanto odioso, continui battibecchi fra lui e la protagonista, finché all'improvviso nasce un interesse reciproco che viene però ostacolato da alcune questioni, eccetera.

Ma a peggiorare (tanto) è anche lo stile, con situazioni ripetute, sigarette accese in ogni pagina, scenette adolescenziali e dialoghi imbarazzanti. Il picco viene raggiunto con il consiglio che Diane riceve da Judith, sorella di Edward, per arrivare ad accalappiarlo: "Seducilo, sventolagliela sotto al naso".

Una curiosa coincidenza: Diane e Edward a un certo punto trascorrono tre giorni sulle isole Araan, dove è ambientato "Notte di neve e sangue", isole che prima collegavo solo alla canzone della Mannoia: strano ritrovarle come ambientazione per due libri letti in rapida successione.

Turismo per immagini, un punto caratteristico di Mulranny:

 
Reading Challenge 2025, traccia di gennaio cascata di lettere: neve, deve, beve

sabato 25 gennaio 2025

"Raffaella Cerullo", Marina Pierri

 



(allerta spoiler riguardo a "L'amica geniale")

"Lila mi è entrata dentro e forse serve un esorcismo. Questo libro è il mio esorcismo
"

E' così 
che Marina Pierri - giornalista e critica televisiva, barese di nascita e milanese di adozione - descrive le sensazioni provate quando la Lila di Elena Ferrante viene privata della figlia Tina, che scompare nel quarto volume della tetralogia.

I quattro libri me li ero divorati e goduti uno di seguito all'altro nell'arco di un mese e mezzo fra il settembre e l'ottobre del 2019. Ho amato moltissimo anche la serie TV e ho aspettato di vedere l'ultima stagione prima di leggere questo breve saggio (pubblicato nel 2023). Nell'attesa ero felice di averlo comprato, me lo pregustavo, pensavo che sarebbe stato bellissimo ritrovare le atmosfere della Ferrante e quella che fra le due protagoniste della saga era la mia preferita. E invece...

Mah!

Nel testo c'è davvero poco di quello che mi aspettavo di trovare, cioè un'analisi del personaggio e della storia che fosse alla portata di tutti, cosa che non è.

"Lila è scura nella fisionomia, ma questa scurezza si riverbera anche nell'interiorità. È fatta del materiale degli incubi, del rimosso e del mostruoso (līlā, in sanscrito, significa anche simulazione), della notte (inevitabilmente, visto che la radice protosemitica della parola è LYL = notte), dello ctonio e dell'imperscrutabile. Nel sistema delle opposizioni binarie cui inevitabilmente siamo ancorate e a cui, certamente, la narratologia archetipica di matrice junghiana è ancorata, è dunque molto complesso non immaginare Lila come specchio oscuro."

Marina Pierri ha una laurea in Semiotica (cosa che sarebbe stato sufficiente scrivere nelle note sull'autore, senza rimarcarlo continuamente nel testo) e mentre arrancavo nella lettura pensavo che forse l'autrice non avesse tenuto in considerazione il fatto che il grande successo riscosso dalla Ferrante avrebbe attirato verso il suo libro anche persone con una cultura molto più limitata della sua (tipo me).
Ma poi sono arrivata a un'affermazione ("...parole che solitamente alla gente non dicono un cazzo e forse noi che abbiamo studiato semiotica ripetiamo con piacere perché ci ricordano chi siamo, o che siamo qualcosa") che mi ha trasmesso una spiacevole sensazione di superbia.

Allo stesso modo non ho gradito le infinite citazioni della sua pubblicazione del 2020, "Eroine. Come i personaggi delle serie TV possono aiutarci a fiorire", dove - se ho ben capito - aveva già scritto di Lila.

Ma la mia critica è generale, c'è poca Cerullo e troppa Pierri. Troppi concetti difficili e pochi approfondimenti interessanti.

Non mi vergogno a dire che del libro ho capito all'incirca il 25% perdendomi fra filosofia ("Il presupposto della decostruzione, cardine della filosofia di Jacque Derrida, è la messa in discussione della lingua e del linguaggio orali come parola di dio"), mitologia ("Sono Marina, non Arianna, ma ugualmente tengo il filo rosso delle coincidenze in mano. Il Minotauro è un ibrido interspecifico gentile, uno splendido trionfo del postumano. Asterione desidera soltanto compagnia, sono disposta a concedergliela più che altro perché voglio stare ad ascoltare le sue frasi oracolari, eppure non posso restare, devo uscire e raccontare, lo devo a me stessa prima di tutto") e, in ultimo, in qualcosa che non so neppure come definire ("Quando una persona scrive una storia ed è particolarmente ispirata, un certo gergo tecno-esoterico vuole che l'abbia canalizzata tramite download, specie se si considera che ogni storia non è che un concentrato di archetipi a loro volta simbolizzati da tropi, ossia da gruppi semantici reiterati, dunque familiari, lì dove il compito di chi narra è verniciarli di inconsueto").

E di quel 25% (scarso) che ho compreso condivido poco: sono d'accordo sulla complessità del personaggio di Lila (anche se per me la vera protagonista della tetralogia della Ferrante è e resta l'Italia, con la sua trasformazione durante quei decenni: Lila, Elena e tutti gli altri personaggi sono solo il tramite per raccontare situazioni, condizioni e accadimenti) e con il buon consiglio di non trascurare le Amicizie per l'amore di coppia.

Ho poi trovato curioso come la Pierri abbia notato l'uso frequente di "nerissimi" da parte della Ferrante, mentre a me sono rimasti impressi i suoi tanti "giallastro".

Altre considerazioni/supposizioni mi lasciano molto perplessa, ad esempio che Lila a Ischia non amasse Sarratore, ma Elena ("...che voglia Nino perché sotto sotto è lei che vuole") o l'ipotesi che a prendere Tina sia stato Nino.

Ma è proprio diverso il modo in cui mi arrivano le parole della Ferrante (non solo con "L'amica geniale"), quello che mi trasmettono, le considerazioni verso cui mi spingono, pensieri legati non ai singoli personaggi, ma agli aspetti sociali che racconta.

"Sono convinta che Lila abbia caratteri specificamente divini o esoterici ne L'amica geniale"

Ad esempio un pensiero di questo tipo non mi ha mai sfiorata. Superbamente aggiungo: e meno male!

Reading Challenge 2025, traccia di gennaio: libri con il nome della casa editrice scritto in stampatello maiuscolo in copertina


giovedì 23 gennaio 2025

"Jack deve morire", Joyce Carol Oates

 

Harbourton (New Jersey), 2014. Andrew J. Rush ha 53 anni ed è uno scrittore di successo. Con i ventotto thriller che ha pubblicato si è guadagnato la nomea di "Stephen King in versione gentiluomo". Un'etichetta che gli si addice anche nel privato: sposato da trent'anni con la stessa donna, la sua amata Irina, padre esemplare di Chris, Dale e Julia, a sua volta figlio amorevole degli anziani genitori e fiore all'occhiello della ridente cittadina del New Jersey dove lui e Irina si sono trasferiti nel 1998 comprando la fatiscente Mill Brook House per trasformarla nella splendida dimora che ora tutti ammirano.
Nessuno - non Irina, non i suoi figli e nemmeno il suo editore - sa che Andrew ha scritto altri quattro libri, firmandoli con lo pseudonimo di Jack of Spades. In quelle pagine, scritte di getto in piena notte, nell'angolo più oscuro del suo sontuoso studio, può dare sfogo a quella parte di lui che nessuno conosce e che neppure lui riconosce di avere.
"Scandalosi, depravati": è così che sono stati definiti i romanzi di Jack of Spades. Andrew sogghigna senza chiedersi cosa (gli) succederebbe se Jack prendesse il sopravvento.

Mentale

Un thriller psicologico di altissimo livello, strano, potente e stimolante. Scritto nel 2015, titolo originale "Jack of Spades" (l'editore italiano ha sbagliato a non mantenerlo), diviso in tre parti con capitoli di 
varia lunghezza che diventano sempre più brevi (alcuni contano solo poche righe) avvicinandosi al finale, aumentando la già non indifferente intensità della storia.

Storia che viene raccontata da Andrew in prima persona. L'impressione è quella di un uomo intriso di qualità, buoni sentimenti, dinamico, solare, paziente, amabile e amato. Traspare giusto un'ombra di rivalità con Stephen King, che ha scritto più libri, che ne ha venduto di più, che è stato tradotto in più lingue e che ha all'attivo un numero maggiore di trasposizioni cinematografiche. Ma - fra le infinite doti di Andrew - c'è anche l'umiltà, quei numeri neppure lo sfiorano...

Quello che più mi ha colpita di questa lettura è il modo sottile con cui la Oates riesce a far emergere la vera natura del suo protagonista, svelando un uomo presuntuoso, prepotente, che non accetta né il dialogo né il confronto, incapace di riconoscere le proprie colpe e che attribuisce sempre agli altri ciò di cui è il solo responsabile.

A cominciare da quello che accadde nel luglio del 1973...

Reading Challenge 2025, traccia di gennaio cascata di lettere: neve, deve

martedì 21 gennaio 2025

"Cercami", André Aciman

 

Novembre di un anno non precisato. Samuel conosce Miranda sul treno che lo sta portando da Genova a Roma, dove incontrerà Elio, suo figlio. Miranda sale alla stazione di Firenze, si capisce che ha appena litigato con qualcuno, ma l'aria cupa la rende ancora più interessante. Samuel ipotizza che abbia almeno la metà dei suoi anni, eppure...
Novembre di cinque anni dopo. Elio non vive più a Roma, ma a Parigi, e 
conosce Michel durante un concerto di musica da camera. Elio ipotizza che l'uomo abbia almeno il doppio dei suoi anni, eppure...
Un altro novembre, sono trascorsi altri cinque anni. Oliver e Micol hanno dato una festa per salutare gli amici. Stanno per lasciare New York per tornare nel New Hampshire. Ormai è notte, la moglie è già andata a dormire e lui pensa con amarezza che per vent'anni ha vissuto la vita di un uomo morto.

Evocativo

Cosa succede alle vite dei personaggi quando un libro finisce? Me lo chiedo spesso, tutte le volte che una storia mi conquista e mi spiace averla finita. Vorrei poter seguire ancora i personaggi e questa volta Aciman ha soddisfatto la mia curiosità.

"Cercami", scritto nel 2019, è il seguito di "Chiamami col tuo nome", del 2007, che avevo letto a giugno dell'anno scorso. Un libro che avevo apprezzato, finale compreso, e di cui adesso ho ritrovato non solo i due protagonisti, ma tutti i vari personaggi: l'autore, anche solo con una frase, descrive qual è stato il prosieguo per tutti, anche quelli minori.

Le 288 pagine sono divise in due primi macro capitoli a cui ne seguono altri due brevi. Sono i legami fra i personaggi a fare da filo conduttore fra quelli che altrimenti sarebbero stati quattro racconti distinti.

Una struttura originale che mitiga il tono vintage dei dialoghi e del modo di vivere le varie situazioni. Molto introspettivo, piuttosto lento, un bel modo di raccontare relazioni non comuni.

Si comincia con Samuel, il padre di Elio, a dieci anni di distanza dai fatti del libro precedente. Ho iniziato a leggere Aciman subito dopo aver finito Hornby, ritrovandomi in una situazione ribaltata rispetto a quella di "Proprio come te":
 qui è l'uomo il più vecchio della coppia e il problema della differenza d'età quasi non si pone, cosa prevedibile, ma non per questo meno irritante.

Elio arriva solo con il secondo capitolo, quasi a metà libro. Un Elio trentaduenne, molto simile al diciassettenne che avevamo conosciuto quando a Bordighera scopriva l'amore. Aciman - che aveva dotato l'Elio ragazzino del primo romanzo di una compostezza e di una maturità esagerate - qui tratteggia un giovane uomo altrettanto garbato, ma intristito dai rimpianti.

E poi c'è Oliver, per il quale è difficile provare empatia, essendo stato lui a decidere per tutti quale strada intraprendere vent'anni prima.

"A dispetto delle apparenze, la vita e il tempo non sono allineati ma seguono itinerari del tutto diversi"

Del quarto e ultimo capito non dico nulla, solo che non mi dispiacerebbe leggere in futuro una terza puntata.

Reading Challenge 2025, traccia annuale Scarabeo

domenica 19 gennaio 2025

"Colpisci e scappa", Doug Johnstone

 

Edimburgo, luglio di un anno non precisato. Colpisci e scappa: nel gergo dei poliziotti e dei giornalisti è così che viene definita la vile azione dei pirati della strada. In verità Billy Blackmore - giovane tirocinante di nera all'Evening Standard - dopo aver investito accidentalmente un uomo compone subito il 999, ma viene bloccato da Charlie, il fratello maggiore.

"Vuoi rovinarci la vita? E' questo che vuoi? E' morto. Non c'è niente che possiamo fare!"

Zoe, la bellissima fidanzata di Billy, è d'accordo con Charlie: sono le 2:37 del mattino e sono spaventosamente ubriachi e impasticcati, non ci sarebbe nessuna clemenza per loro.
E Billy si lascia facilmente convincere per scoprire il giorno dopo di aver ucciso Frank Whitehouse, il peggior criminale di Edimburgo. Sapere di aver tolto di mezzo una persona veramente cattiva basta per cancellare i sensi di colpa?

Ottenebrato

Un libro può sia piacere sia deludere? Sì, quando le aspettative risultano poi parzialmente insoddisfatte, esattamente come in questo caso.

Quarto dei tredici gialli/noir pubblicati da Doug Johnstone, 
scrittore e musicista scozzese classe 1970; solo questo (2012) e "L'ultima volta" (2013) sono stati tradotti in italiano.

Un romanzo dallo stile e dalle atmosfere decisamente noir a cui però manca tutta la parte poliziesca. Il crimine avviene nel primo capitolo: di ritorno da un evento, il rilancio di una bibita austriaca a base di barbabietola, ma fortemente alcoolica, Billy, Charlie e Zoe stanno tornando a casa in condizioni penose quando l'auto impatta su "qualcosa" che si trovava al centro della carreggiata. In rapida successione tonfo sul cofano, colpo sul parabrezza, altro tonfo sul tettuccio. Billy ferma l'auto e dallo specchietto retrovisore vede che i fanali posteriori illuminano di rosso una massa. Scesi dall'auto capiscono che si tratta di un uomo. Charlie, medico, ne decreta il decesso non trovando il battito. Dopo aver convinto il fratello minore a non fare pazzie e a mettere via il telefono, i tre gettano il corpo in un boschetto a lato della strada, si rimettono in macchina e tornano a casa.

Un ottimo primo capitolo a cui ne seguono alcuni altrettanto validi, con Billy che scopre l'identità della persona che ha ucciso e che si trova obbligato a seguire la storia per il giornale presso cui lavora, ruolo che genera tristi verità che impattano sempre più brutalmente nella mia vita di giornalaia.

"L'intera industria del giornalismo su carta stava morendo"

Ma da pagina 47 (su 300) la dinamica ha iniziato a intrigarmi meno, concentrandosi sugli abusi di Billy - che ingurgita calmanti, eccitanti, anfetamine e oppiacei come se fossero mentine, perdendo in fretta ogni raziocinio - e una lunga successione di accadimenti eccessivi e improbabili che portano a un finale che non riesce a sorprendere.

Leggendo mi sono trovata più volte a fare un confronto fra i Blackmore e i Flannigan di Vlautin in
 "Motel Life" perché lo stile di scrittura non è troppo dissimile ed entrambe le coppie di fratelli hanno un trascorso familiare disagiato, ma ai personaggi di Vlautin ho voluto bene, tanto che spesso mi capita di pensare ancora a loro, invece con Johnstone mi sono affezionata solo a Jeanie, la scheletrica collie che Billy adotta al canile.

Reading Challenge 2025, traccia dadi di gennaio: 24° volume nella mia libreria

venerdì 17 gennaio 2025

"Proprio come te", Nick Hornby

 

Londra, febbraio 2016. Joseph e Lucy si conoscono nella macelleria dove lui lavora un paio di giorni alla settimana.

"Dal negozio sbucò fuori una coppia stracarica di borse di plastica bianca colme di pezzi di carne sanguinolenta che, se consumati entro i prossimi sette giorni, li avrebbero fatti ammalare seriamente di patologie cardiache e cancro all’intestino, accorciando quindi la fila della settimana seguente."

Lucy è bianca, ha 42 anni, insegna lettere, è divorziata, ha due figli e due genitori borghesi e ultra conservatori.
Joseph è nero, ha 22 anni, ha abbandonato gli studi per evitare l'enorme debito universitario che ne sarebbe derivato, fa svariati lavoretti sognando di sfondare come DJ e vive con la madre, infermiera e bigotta.
Entrambi sono single e nessuno dei due avverte l'urgenza di smettere di esserlo. Eppure...

Inclusivo

 "Just Like You" è l'ultimo romanzo pubblicato da Nick Hornby (nel 2020, per cui immagino che rimarrà l'ultimo ancora per poco) ed è il quinto che leggo.

Le 368 pagine sono divise in tre parti e diciotto capitoli. In ognuno la narrazione si sposta fra personaggi e situazioni,
creando di fatto moltissimi capitoli brevi che, come sempre, spingono molto la velocità di lettura.

Ma è Hornby a convincermi sempre di più, per come scrive e per quello che scrive. Qui non ha la presunzione di sentenziare su cosa dovrebbero avere in comune due persone per riuscire a funzionare come coppia. Non giudica, non dà consigli.
Però evidenzia le difficoltà che una coppia improbabile come quella di Lucy e Joseph si trova a dover affrontare per il malanimo altrui e per i quesiti interiori che i due si pongono.

Età, livello culturale e disparità di stato sociale comportano differenze di ogni tipo - interessi, abitudini, comportamenti, pensieri - difficili da conciliare. Ma essere simili assicura forse l'amore eterno?

E cosa pesa di più in questo rapporto, i vent'anni che li separano o il colore della pelle?

Lucy è una bianca a cui Joseph deve spiegare certe disparità di trattamento: "La polizia? Sono arrabbiato, ma poi penso a come vanno le cose in America. Il più delle volte, i poliziotti qui sono solo degli stronzi che si annoiano, e si allargano un po’. Laggiù ti ammazzano. Be’, non te."
Perché Lucy è un'inglese bianca e sarebbe un'americana bianca. Lei non verrebbe fermata in piena notte rientrando a casa, nessun agente la obbligherebbe a svuotare le tasche.

Ma in principio è l'età a spingerli a nascondersi, vedendosi a casa di lei senza uscire allo scoperto. E se Lucy teme il confronto con i corpi delle ventenni che Joseph ha toccato fino a quel momento, è il timore del biasimo a gravare su entrambi. Gli amici, i colleghi, la famiglia: come reagiranno?

"Lucy si chiedeva che differenza facesse la chiesa, e se frequentarla favorisse una tendenza alla disapprovazione. In teoria, poteva essere vero anche il contrario, però a giudicare dai fedeli che aveva conosciuto, in gran parte amici dei suoi genitori, non sembrava che la fede portasse ad avere vedute più ampie."

In un'Inghilterra che prima si prepara al referendum sulla Brexit e che poi si ritrova a dover fare i conti con la decisione presa con uno scarto inferiore al 4%, Hornby descrive due persone che - fra tante diversità - hanno in comune intelligenza e pacatezza. Non poco.

Reading Challenge 2025, traccia di gennaio: un libro con due persone abbracciate in copertina

mercoledì 15 gennaio 2025

"Notte di neve e sangue", Triona Walsh


Inis Mór, isole Aran (Irlanda), dicembre 2022. Mancano pochissimi giorni all'ultimo dell'anno e quindi al decimo anniversario della morte di Cillian. Per la ricorrenza suo fratello Seamus - che dopo la tragedia si era trasferito in California - è tornato sull'isola. Anche Ferdia e Sorcha sono arrivati da Londra, mentre Maura, Daithí e Cara, la vedova, non se ne sono mai andati. La banda così si riunisce: un gruppo di amici che si era formato quando erano bambini, ma che non aveva retto alla morte di uno di loro. E che il 28 dicembre perde un altro membro: il corpo viene ritrovato nel Pol na bPéist, le mani legate dietro alla schiena, un bavaglio in bocca, il viso pesto. E' successo quando i collegamenti aerei e navali erano già stati interrotti a causa delle tempesta di neve che, secondo le previsioni, imperverserà su Inis Mór per almeno tre giorni isolandola dal resto del mondo.
E Cara non è soltanto la vedova di Cillian, ma anche l'unica poliziotta presente.

Glaciale

Titolo originale "The Snowstorm", è il primo libro scritto da Triona Walsh, autrice irlandese che successivamente ha pubblicato altri due thriller, non ancora tradotti in italiano, ma che leggerò nonostante questo presenti non pochi difetti.

Se lo avessi letto in estate mi avrebbe probabilmente dato un'illusione di refrigerio: freddo, neve, vento e ghiaccio sono presenti in ogni singola pagina e la Walsh ha dato il meglio nelle descrizioni ambientali.

E' proprio l'ambientazione la grande protagonista della storia, a partire dal Pol na bPéist, la Tana del serpente, una piscina naturale dall'incredibile forma rettangolare.


Purtroppo l'ambientazione in un thriller ha un'importanza relativa: se funziona di certo aiuta, ma da sola non basta. E in questo caso non è sufficiente a compensare le criticità, fra cui quella principale è l'inserimento di alcune situazioni esageratamente fuori contesto. L'autrice ha costruito un buon meccanismo narrativo per i fatti accaduti nel passato, ma per portare i suoi personaggi a compiere determinate azioni nel presente si è persa in sviluppi poco logici, non equilibrati e incoerenti, finendo in un precipizio degno dello strapiombo di Dun Aengus.


Peccato perché lo stile è incalzante, la voglia di leggerlo non mi è mai mancata, ma certi aspetti (uno in particolare) sono autentiche buffonate.

Reading Challenge 2025, traccia di gennaio cascata di lettere: neve


sabato 11 gennaio 2025

"Mrs e Mr American Pie", Juliet McDaniel

 

Palm Springs (California), novembre 1969. Maxine Hortence Simmons ha organizzato nei minimi dettagli la cena del Ringraziamento: sancirà in modo definitivo la sua appartenenza a quel mondo elitario che brama da sempre. Invece la serata è un disastro: proprio quando gli ospiti stanno per arrivare il marito le comunica di aver chiesto il divorzio. Per Jennifer, la sua nuova segretaria. Che ha solo diciannove anni. Ed è incinta.
La serata "trionfale" si chiude con Maxine recuperata dai domestici al centro della piscina, dove si è lanciata dopo essersi resa protagonista di uno show ben poco lusinghiero, e l
a battaglia per il divorzio, che ci si aspetta, si esaurisce al primo incontro con l'avvocato di Douglas: a vent'anni aveva firmato l'accordo prematrimoniale che il facoltoso suocero le aveva messo sotto al naso, rinunciando a tutto. Indomita riesce a scucire all'ormai ex consorte duecentocinquantamila dollari e un appartamento a Scottsdale, Arizona, con la promessa di non rimettere piede in California per almeno tre anni.
Ma cosa può fare una donna di 36 anni che nella vita ha collezionato un unico successo, quello di vincere la fascia di Miss San Bernardino? Ma vincere un altro concorso diventando la nuova Mrs American Pie! E per farlo deve solo trovare un marito e un paio di bambini.

Commediola

Opera prima (e per ora unica) pubblicata dall'americana Juliet McDaniel nel 2018 e tradotta in italiano soltanto lo scorso anno sulla scia della serie tv tratta dal romanzo, 
"Palm Royale".

Senza un motivo logico mi aspettavo una storia incentrata sul divorzio dei Simmons, una sorta di "La guerra dei Roses", e in effetti in qualche passaggio un po' lo ricorda, ma qui non è la coppia a essere protagonista. Al centro c'è solo Maxine, donna detestabile per molte ragioni.

"Se c’è una cosa che spero di riuscire a insegnarvi è quanto contano le apparenze"

Un'arrampicatrice sociale priva di scrupoli e disposta a calpestare chiunque pur di arrivare dove vuole, ma che (ovviamente) nasconde molte fragilità che finiscono col renderla amabile, a modo suo.

Rientra in quella categoria di libri divertenti che non amo e che finiscono quasi sempre per intristirmi. Questo ha il pregio di essere ben scritto, mentre il suo grande difetto è quello di aver perso l'occasione per essere potente. Omosessualità, razzismo, la guerra del Vietnam: sono i tre macro argomenti messi in gioco dalla McDaniel che però si è limitata a sfruttarli 
ai fini della trama, senza esposizione, senza condanna. 
Avrebbe potuto renderli più incisivi non rinunciando alla verve del racconto perché ai grandi autori basta una frase per lasciare il segno, ma qui non ce ne sono.

Reading Challenge 2025, traccia stagionale crucipuzzle, inverno: occhiali in copertina

mercoledì 8 gennaio 2025

"La lettera segreta", Chloé Duval

 

Kerouac (Bretagna), maggio 2014. E' un martedì quando Flavie Richalet - 29 anni da compiere, professoressa di storia e geografia e scrittrice di romanzi rosa che fa leggere solo alle sue quattro amiche del club della maglia - trova fra la posta del giorno una lettera dove l'indirizzo è giusto, ma la destinataria non è lei, bensì una certa Amélie. Una lettera d'amore dove il mittente, un uomo che ha usato solo l'iniziale del proprio nome come firma, chiede alla sua Lili di raggiungerlo per trascorrere insieme il resto della loro vita, assicurandole che l'avrebbe aspettata per due settimane, tre, anche un mese...
Ma l'avrà attesa per quarantatré anni? Perché è questo il tempo che la lettera - scritta il 12 settembre 1971 - ha impiegato per arrivare a destinazione.

Stucchevole

Come lo scorso anno ho inaugurato il 2025 con una pessima lettura, un altro romanzetto rosa che può senz'altro essere pane per un animo romantico, ma che è stato una purga per il mio.

Chloé Duval è uno pseudonimo. L'autrice - francese di nascita, ma residente in Canada - ha scritto "Le temps volé" (il tempo rubato, titolo ben più calzante della traduzione italiana) nel 2015. Unico suo romanzo arrivato in Italia e di certo non rimpiangerò gli altri sette.

Gran parte della vicenda è ambientata nel presente e ha Flavie come voce narrante, mentre negli spazi lasciati agli altri personaggi si passa al racconto in terza persona, anche per i (pochi) salti temporali nel passato. Lo stile è proprio semplice, povero:

"Mi sforzai di ignorare i battiti del mio cuore che si era imballato quando avevo incrociato lo sguardo del nipote di Erwan – in mia difesa devo dire che era bello come un dio e che nessuna donna sarebbe potuta restare indifferente davanti a lui – e riportai l’attenzione sullo zio prima che la bava cominciasse a colarmi sul mento."

Mancano anche un paio di congiuntivi.

Un susseguirsi incessante di personaggi e situazioni esasperanti, tutto è intriso di bontà e dolcezza. Né una parola, né un pensiero, né un atteggiamento, né un episodio negativo. Tutti amano tutti (e subito), tutti sono disponibili, tutti sono gentili, tutti sono bendisposti, tutti sono amabili. E tutti sorridono: novantasette sorrisi in 224 pagine sono un'impresa da Guinness!

Un libro che sicuramente rispetta il genere, ma dove c'è troppa forzatura a senso unico, con una trama vecchia e polverosa dove la lettera smarrita è soprattutto un pretesto per raccontare il colpo di fulmine fra la protagonista e il nipote del misterioso E. della missiva, con la "Duval" che confonde gli anni Settanta con gli anni Cinquanta e che inventa per i suoi personaggi del 2014 dialoghi e comportamenti che avrebbero fatto sorridere anche mia nonna.

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