venerdì 29 novembre 2024

"Ivy", Susie Yang

 

Chongqing (Cina), metà degli anni Ottanta del secolo scorso. Ivy Lin ha tre anni quando i suoi genitori espatriano negli Stati Uniti lasciandola alle cure di Meifeng, la nonna materna. Ne ha cinque quando raggiunge mamma e papà nel Massachusetts. Ne ha sette quando anche la nonna si trasferisce. Ne ha nove quando nasce Austin, il suo fratellino.

E ne ha 14 quando Susie Yang - nata come la sua protagonista a Chongqing ed emigrata da bambina negli Stati Uniti - inizia a raccontare la storia di Ivy, una ragazzina sofferente a causa dell'anaffettività della madre, che vive con disagio il suo essere un'adolescente asiatica nell'America alta e bionda e che si vergogna delle umili condizioni della sua famiglia, bramando il lusso e l'agio perché le privazioni la spingono a sognare gli eccessi.

"Tu sei coraggiosa, egocentrica ed egoista"

E' questo che le dice sempre sua nonna. Io aggiungo e metto al primo posto un altro aggettivo: opportunista. Ivy è un bellissimo personaggio, non per le sue doti, quanto per la bravura con cui la Yang ce la racconta in quello che è il suo primo (e al momento ancora unico) romanzo, uscito nel 2020.

Ventidue capitoli divisi in cinque parti per un totale di 368 pagine che catturano e sorprendono. Una bella lettura, un libro che mi è dispiaciuto finire e che sicuramente meriterebbe più fama di quella che ha, direi pochissima, non ricordo nemmeno come fosse entrato nella mia wish list né perché, la trama di Neri Pozza non rende giustizia alla storia e neppure alla complessità del personaggio, sembra un romanzo d'amore, quando in realtà l'amore viene più che altro rincorso da Ivy, che giovanissima si convince che i pregi di una persona, anche l'intelligenza, derivino dalla bellezza.

"Era americana, americana, americana! Ma il suo aspetto esteriore lo nascondeva. Quell'ingiustizia la feriva profondamente"

In un ambiente dove nessuno ha stima per gli altri e dove quasi tutti giudicano superficialmente dalle apparenze, Ivy sviluppa quelle che considera le sue maggiori qualità: la furbizia e l'essere molto brava a mentire.
Ma la sua astuzia - che la porta a gesti estremi - non è abbastanza grande da farle capire di essere a sua volta vittima delle bugie altrui.

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda novembre: Cina

giovedì 28 novembre 2024

"I miei uomini", Victoria Kielland

 

Donna attraente proprietaria di bella fattoria in ottime condizioni cerca uomo affidabile benestante scopo matrimonio


Era più o meno questo il testo dell'annuncio che 
Belle Gunness, giunta alla seconda vedovanza, pubblicava sui quotidiani di Chicago. Grazie a una prima corrispondenza riusciva a far nascere nelle persone che la contattavano, se non l'amore, almeno un interesse sufficiente per andare a conoscerla. Una volta arrivati alla fattoria raramente ne uscivano vivi.
Il 
28 aprile del 1908 la fattoria venne rasa al suolo da un incendio: della proprietaria non v'era traccia (Belle scomparve senza venire mai processata per i suoi crimini), mentre nel terreno furono trovati i cadaveri di più di trenta uomini, quello di una donna decapitata (che non era Belle) e i corpicini carbonizzati di tre bambini.

La Gunness passerà alla storia come la prima serial killer americana e Victoria Kielland, autrice norvegese classe 1985, in questo testo, scritto nel 2021 e tradotto quest'anno in italiano, racconta la sua storia.

Più o meno.

"I miei uomini" - vincitore di 
svariati premi, fra cui il New York Times Best Crime Book nel 2023 - ha una trama che attira chi, come me, ha un interesse non troppo salutare verso i serial killer e in quest'ottica è inevitabile rimanere delusi dalla lettura.

La Kielland, basandosi sui pochi dati certi, per lo più anagrafici, ha messo insieme quello che non è un giallo, né un thriller, né un noir, ma nemmeno una biografia. Visto che mi piace etichettare quello che leggo con un genere, per questo scelgo la classificazione di romanzo storico.

E per me è stata una lettura mortalmente noiosa.

Senza dubbio più raffinata e colta di "Appuntamento dove il cielo è più blu", il primo libro letto quest'anno rimasto da allora sul podio del libro peggiore del mio 2024 e che ora viene scalzato non per una maggior bruttezza oggettiva, ma per la pesantezza che mi ha fatto provare ogni singola pagina frase della norvegese.

"Chi ama con tutta se stessa non sopravvivrà mai all'amore"

Solo con l'ultimo capitolo si arriva agli omicidi seriali, di cui viene detto pochissimo. I tredici precedenti seguono la vita di 
Brynhild Paulsdatter Størseth (questo il vero nome di Belle, nata a Selbu l’11 novembre del 1859) a partire dai suoi diciassette anni. Viene raccontato il triste evento che la porterà a lasciare la Norvegia per gli Stati Uniti, la difficile convivenza con la sorella, il primo matrimonio, poi il secondo e infine gli annunci matrimoniali.

Una storia lontana nel tempo che può essere riassunta in poche righe che invece diventano 237 pagine (per fortuna nel tipico formato pocket di Sellerio) piene di introspezione e di Dio.

Non ricordo di essere mai stata così felice di essere riuscita ad arrivare alla fine di un libro.

Reading Challenge 2024, traccia di novembre: libri cartacei che si devono fotografare cn altri libri e con una pianta




martedì 26 novembre 2024

"Il giudice e il suo boia", Friedrich Durrenmatt

 

Berna, 3 novembre 1948. Il corpo senza vita del tenente di polizia Ulrich Schmied viene ritrovato a bordo della sua Mercedes azzurra ferma sul ciglio di una strada all'uscita di un bosco. Gli hanno sparato alla testa. 
Il caso viene affidato al commissario Bärlach, diretto superiore della vittima. Bärlach ha subito un sospetto, ma sceglie di non parlarne né al giudice istruttore Lutz né a Tschanz, il giovane collega che gli viene affiancato nelle indagini. Indagini che portano il commissario a ritroso nel tempo, fino a quarant'anni prima quando si trovava nel Bosforo e un uomo gli aveva assicurato che sarebbe stato in grado di commettere un delitto sotto ai suoi occhi senza lasciargli niente in mano per riuscire a incriminarlo. Bärlach aveva sciaguratamente accettato la scommessa, perdendola tre giorni dopo e da allora non aveva mai smesso di cercare il modo per pareggiare i conti.

Quando il mese scorso ho visto fra le nuove uscite la riedizione di "Greco cerca greca" mi si è risvegliato il ricordo di questo autore di cui più di trent'anni fa avevo letto "Il sospetto" e "La promessa". Ho quindi inserito in wish list gli altri suoi titoli e mi è sembrato giusto riprenderlo da questo, che è il suo primo poliziesco, scritto nel 
1952, titolo originale "Der Richter und sein Henker Benziger Verlag".

Un altro romanzo breve (121 pagine) e parecchio datato che però, a differenza di "Lettera di una sconosciuta", dimostra tutti gli anni che ha. Non necessariamente un difetto, ma non si può negare che stile, descrizioni, atmosfere e storia siano cupe e pesanti. Tutto sommato un buon noir, ma non bello come i due letti in precedenza.

Principalmente ho patito la divergenza di opinioni con il vecchio commissario Bärlach, sicuro che - non avendo modo di incriminare un soggetto per un delitto accertato - sia lecito incastrarlo per uno che non ha commesso.

"Sono un vecchio gatto nero, e mi piacciono i topi"

Un metodo che, nella migliore delle ipotesi, lascia comunque in libertà un colpevole. Ed io, a differenza di Dürrenmatt, convinto che la giustizia non possa arrivare alla verità, sono tendenzialmente molto più fiduciosa, l'onere di emettere sentenze lo ha solo chi il giudice lo fa per professione. Quanto ai boia meglio lasciarli relegati nel loro passato.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, autunno: abete nel testo


domenica 24 novembre 2024

"Lettera di una sconosciuta", Stefan Zweig



Vienna, anni Venti del secolo scorso. E' il giorno del quarantunesimo compleanno di R., romanziere di successo che si gode la vita senza legami. E' appena rientrato da una breve vacanza in montagna e si accomoda in poltrona, sorseggiando il tè che gli ha preparato il solerte domestico. Accanto a lui la pila di missive arrivate durante la sua assenza. Mette da parte la busta più voluminosa, riprendendola in mano solo dopo aver letto anche i giornali. Ne estrae una ventina di fogli, scritti fittamente da una calligrafia femminile. Non sono firmati, come non c'è mittente sulla busta.

"A te, che mai mi hai conosciuta"

Questa è l'intestazione e l'inizio racconta subito qualcosa di atroce: chi ha scritto gli dice che il giorno prima il suo bambino è morto e che, se adesso sta leggendo quella lettera, vuol dire che anche lei non c'è più. E prosegue raccontandogli la sua breve esistenza, vissuta amandolo senza che lui ne sapesse mai nulla.

Sono tante le cose che Stefan Zweig (1881 - 1942) - autore viennese di moltissimi saggi, di molti racconti e di alcuni romanzi - fa dire alla sua sconosciuta in questo racconto lungo (o romanzo breve, 96 pagine appena) scritto nel 1922.

Una lettura veloce nei tempi (l'ho iniziato e finito venerdì sera, non riuscendo a staccarmici), ma più ricca e intensa di tanti "romanzoni". Uno stile ricercato, ma non del tutto antiquato, che non dimostra affatto i suoi cento e passa anni.

Una lettura triste e non solo perché fin dal principio sappiamo che non ci sarà alcun lieto fine.

Come è stata triste anche la vita (o quanto meno l'epilogo) di Zweig, pacifista e 
antifascista di origini ebraiche, fra le opere bruciate dai nazisti nel 1933 c'erano anche le sue (la Germania nazista arrivò a ritenerlo l'intellettuale ebreo più pericoloso), portandolo a lasciare l'Austria per Londra nel 1934, trasferendosi poi a New York nel 1939 e quindi in Brasile nel 1941 dove morì suicida l'anno successivo.

L'umanità dell'uomo in questa lettura emerge con la descrizione che la donna fa del luogo in cui dovette partorire, l’Ospizio di Maternità, "mattatoio del pudore", che accoglieva donne bisognose, reiette, dimenticate, tutte caratterizzate dalla miseria.

"Quel che la povertà deve subire in fatto di umiliazioni, di oltraggi fisici e morali, io l’ho patito laggiù"

Alla fine resta solo da chiedersi se sia la morte l'aspetto più triste di questa storia.
Secondo me, no.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, autunno: neve nel testo


venerdì 22 novembre 2024

"La verità tradita", Brooke Robinson

 

Londra, giorni nostri. Revelle Lee, 33 anni, da bambina ha vissuto in dodici nazioni diverse a causa del lavoro della madre. Per questo motivo parla correttamente nove lingue oltre all'inglese, capacità che fa di lei la migliore interprete dell'agenzia per cui lavora. Sempre affidabile e impeccabile, ai tranquilli ingaggi in convegni di ogni genere alterna le traduzioni fatte nei tribunali e per la polizia. In otto anni di carriera sa di aver commesso un unico sbaglio, proprio durante uno dei suoi primi incarichi. Un errore non intenzionale, l'opposto di quello che fa quando viene chiamata in centrale per fare da interprete a un uomo polacco che fornisce l'alibi a un amico in stato di fermo per l'omicidio di una donna. 
Revelle conosceva la vittima e quando sente un poliziotto dire che sul suo corpo è stato trovato il DNA del sospettato non si fa scrupoli a modificare la testimonianza del polacco quel tanto che basta per screditarla, facendo così crollare l'alibi dell'amico che, infatti, viene subito arrestato.
Ma la soddisfazione di Revelle finisce quando capisce di essere in pericolo perché qualcuno sa cosa ha fatto e adesso tutto è a rischio: la sua reputazione, il suo lavoro e, soprattutto, l'affido del bambino che sta cercando di adottare.

Un libro che è un chiaro esempio di come le aspettative possano condizionare il nostro giudizio (o per lo meno il mio), in positivo o in negativo. Tante volte mi è successo di rimanere delusa da una lettura di cui avevo sentito parlare benissimo, invece questa volta è successo il contrario: "La verità tradita" al momento ha raccolto su Amazon soltanto due valutazioni, da una e da due stelline. Non è dato sapere il perché di questi giudizi estremamente negativi, i due utenti non hanno lasciato neppure una riga di recensione (cosa odiosa). Forse i libri avevano dei difetti (io l'ho letto in digitale), forse non li hanno ricevuti oppure a loro il libro ha fatto proprio schifo. Io ormai lo avevo comprato (cosa che evito in caso di valutazioni così basse, magari aspettando altri pareri), per cui l'ho letto aspettandomi il peggio del peggio e probabilmente questo mi ha portata ad apprezzare la lettura più di quanto avrei fatto senza quelle influenze negative.

"The Interpreter", romanzo di esordio dell'australiana Brooke Robinson, ex libraia e drammaturga, pubblicato lo scorso anno e arrivato in Italia un paio di mesi fa, è un thriller che presenta alcuni difetti - tutti riconducibili a esagerazioni e inverosimiglianze che caratterizzano il modo di pensare e di agire della protagonista - ma che merita la sufficienza piena grazie a una scrittura fluente, a un buon intreccio fra passato e presente e a un discreto colpo di scena finale.
Ci sono diversi misteri da spiegare: chi è la voce narrante del prologo e delle parti in corsivo che chiudono molti capitoli, quali sono il legame e i trascorsi della protagonista con un altro personaggio femminile, più naturalmente tutta la parte legata alla "verità tradita".

Insomma, non è certo un capolavoro di genere, ma è un thriller che si lascia leggere più piacevolmente di tanti altri e quando verrà tradotto prenderò senz'altro anche il secondo libro della Robinson, "The Negotiator", uscito a giugno.

Mi sono segnata un passaggio curioso:

"Nel mercato del lavoro, le lingue sono considerate complementari, un bonus che serve a migliorare qualche altra abilità primaria. Non sono pensate per essere tutto ciò che hai da offrire al mondo, per dare vita a un’intera esistenza."

Questo può pensarlo e scriverlo giusto qualcuno che, come la Robinson e la sua protagonista, parla la lingua che ormai è l'esperanto nel mondo moderno! Un italiano in grado di fare traduzioni simultanee dall'inglese, francese, spagnolo, portoghese, russo, tedesco, polacco, ungherese, dari e hindi avrebbe infinite possibilità di lavoro, altro che bonus...

Reading Challenge 2024, traccia annuale Come Quando Fuori Piove, piove: un libro con in copertina o nel titolo un chiaro rimando alla pioggia

lunedì 18 novembre 2024

"Un giorno solo", Felicia Yap

 

Newnham, nei pressi di Cambridge, 6 giugno 2015. E' mattina quando Claire e Mark Evans ascoltano alla radio la notizia che il corpo senza vita di una donna è stato ripescato dal fiume Cam, a poca distanza da casa loro. In quel momento il detective Hans Richardson, incaricato delle indagini, bussa alla loro porta: la vittima, Sophia Alyssa Ayling, nel suo diario ha scritto che lei e Mark erano amanti. Mark ammette di averla conosciuta due anni prima a un festival letterario, ma nega la relazione.
Il detective porta Mark alla centrale di polizia, deve muoversi in fretta, entro la fine della giornata deve chiudere il caso scoprendo chi ha ucciso Sophia, prima di dimenticare tutto.
Perché il mondo è diverso da quello che conosciamo.
Gli esseri umani hanno gravi limitazioni mnemoniche: al compimento del 
ventitreesimo anno la produzione della proteina della memoria a breve termine si interrompe per tutti ed è in quel momento che si scopre a quale categoria si appartiene: se alla maggioranza dei Mono oppure se si ha la fortuna di essere un Duo, persone la cui memoria funziona per i due giorni precedenti.
Claire è una Mono, Mark è un Duo e la differenza è abissale.

Che libro bizzarro.

Titolo originale "Yesterday", scritto nel 2017, è il primo romanzo di Felicia Yap 
(il secondo, "Future Perfect", del 2021 non è stato tradotto in italiano), nata in Malesia nel 1980 e trasferitasi in Inghilterra a vent'anni per completare gli studi.

Leggendo la trama pensavo fosse una delle tante storie che nel decennio passato avevano come protagonista una donna affetta da amnesia, ma mi sono bastate poche pagine per passare dal thriller alla fantascienza, con la popolazione mondiale divisa fra Mono e Duo (non viene data nessuna spiegazione di ciò, per cui è lecito pensare che la Yap abbia immaginato un mondo fatto così fin dalle origini), dove chi sostiene di poter ricordare tutto viene rinchiuso perché pazzo, con i Mono considerati inferiori e trattati di conseguenza ("Il mondo è già fin troppo pieno di stupidi Mono. Gran parte degli omicidi viene commessa dai Mono. I Mono creano già abbastanza problemi a noi Duo. Inquinano le zone residenziali"), mentre la minoranza dei Duo è l'unica ad avere diritto a coprire cariche di prestigio e di potere, cosa che li rende automaticamente più ricchi, creando barriere sociali simili a quelle del mondo reale (ma purtroppo il romanzo non si spinge ad analisi di questo tipo).

"C'era un conforto immenso nel non ricordare"

Entrambi i gruppi ogni sera annotano sui diari personali (in origine cartacei, poi digitali con l'invenzione degli iDiary nel 1998) i fatti salienti delle loro giornate. Ogni mattina devono rileggere con attenzione cosa hanno scritto perché queste informazioni dopo essere state lette sul proprio diario non vengono più dimenticate: "I fatti tornano immediatamente in mente perché le informazioni sono state trasferite nella parte del cervello che contiene i ricordi a lungo termine."

In pratica le persone non ricordano cosa è successo, ma ricordano cosa hanno scritto.

Su queste basi si capisce l'urgenza del detective di poter archiviare il caso prima che cambi il giorno: le 400 pagine del romanzo si svolgono interamente il 6 giugno del 1995, ma anche in un mondo di smemorati un thriller trova il modo di dare ampio spazio ai flashback, indispensabili per ricostruire il quadro generale.

La trama è senza dubbio molto originale, ma questo è purtroppo l'unico merito del libro. Con una scrittura mediocre i capitoli alternano le quattro voci narranti: marito, moglie, vittima e detective.

"Non c’è bisogno di annotare ogni cosa, perché ben poche delle esperienze quotidiane si innalzano al di sopra della banalità"

E il libro è pieno di banalità, di ripetizioni, di lungaggini e di dettagli irrilevanti, mentre un paio di spunti interessanti vengono lanciati e lasciati cadere senza essere sviluppati. Così come Claire nasce protagonista per poi cedere il ruolo alla vittima: non mi era mai successo di veder messo da parte il personaggio principale a metà della storia e forse anche questa è una trovata originale, ma a me non è piaciuta, come non mi è piaciuta Sophia, così arrogante, boriosa e sgarbata da non suscitare alcuna compassione, portando a pensare che chi l'ha buttata nel fiume avrebbe dovuto zavorrarne meglio il corpo.

Reading Challenge 2024, traccia vagabonda novembre: Malesia

venerdì 15 novembre 2024

"Ballo di famiglia", David Leavitt

 

Opera prima di David Leavitt, nato in Pennsylvania nel 1961, che pubblicò questa raccolta di nove racconti (la nuova edizione ne contiene anche un decimo) nel 1984, quando aveva 23 anni e da uno si era laureato a Yale in composizione creativa.

"Territorio"
Quando Neil a 23 anni aveva fatto outing i genitori avevano detto la cosa più ovvia, ma mai scontata: "Vogliamo solo che tu sia felice". Ma adesso sta per arrivare Wayne e la madre, in attesa di conoscere per la prima volta un compagno del proprio figlio, si rende conto che per lei l'esperienza non sarà facile come l'aveva immaginata.

"Contando i mesi"
La signora Harrington ha il cancro. I medici le avevano dato sei mesi di vita e oggi, il 17 dicembre, sono passati.

"Bisogna mentire per vivere attraverso la morte, altrimenti si muore attraverso ciò che è rimasto della propria vita"

"Il cottage perduto"
La famiglia Dempson si ritrova, come ogni anno, a trascorrere le ultime due settimane di giugno nel piccolo cottage dove Lydia e Alex avevano trascorso la luna di miele ventisei anni prima. Ma questa volta per loro e per i tre figli sarà tutto diverso perché poco prima di Natale Alex ha chiesto il divorzio.

"Alieni"
Nina ha 11 anni ed è convinta di essere un'aliena mandata sulla Terra per studiare gli esseri umani, che presto verranno a riprenderla. Per questo guarda spesso il cielo.

"Danny in transito"
Danny ha cominciato a dare segni di squilibrio dopo la separazione dei suoi genitori, avvenuta dopo l'outing del padre.

"Ballo di famiglia"
Seth è il protagonista del racconto che dà il titolo alla raccolta. La madre ha organizzato una grande festa per il suo diploma, una rivincita, perché potrà sfoggiare la sua nuova casa, la sua nuova silhouette e il suo nuovo marito alla sua famiglia, soprattutto al suo ex marito. 

"Radiazioni"
Una madre di tre figli si sta sottoponendo alla radioterapia per sconfiggere il tumore che l'ha colpita, faticando per trovare dentro di sé il coraggio per continuare a combatterlo.

"E' incredibile come ci si può abituare anche ai cambiamenti più spaventosi col tempo, come si riesce a far fronte persino all'inimmaginabile"

"Da queste parti"
Gretchen, Carola, Jill: tre sorelle che si riuniscono alla morte del padre nella casa che lui aveva condiviso con la seconda moglie e che sarà teatro dello scambio di accuse e recriminazioni fra loro.

"Devota"
Nel racconto più lungo u
na ragazza e due ragazzi, amici dai tempi dell'università. Lei, innamorata di uno dei due e li ha visti diventare una coppia.

"Dieci minuti"
Il racconto conclusivo, inedito e brevissimo.
Una madre e un figlio si incontrano al parco dopo tre anni. Le autorità hanno concesso alla donna soltanto dieci minuti.

Non è stata una lettura facile. Proprio in un momento in cui avrei bisogno solo di letture di puro svago, mi è capitato in mano questo supplizio.
In ogni racconto c'è tanta omosessualità maschile, raccontata con naturalezza e delicatezza, com'è giusto che sia, ma ci sono soprattutto disagi familiari, di ogni genere e grado, e ovunque ci sono malattia o morte.

"La d
isperazione, il pessimismo e l'inquietudine fanno da sottofondo alla narrativa di David Leavitt", recita l'introduzione ed è proprio così. Mi piacerebbe leggere altro dell'autore, ma se queste sono le caratteristiche comuni in tutto ciò che ha scritto mi servirà una buona dose di coraggio per tornare da lui.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, autunno: Natale nel testo




mercoledì 13 novembre 2024

"L'incredibile storia di Soia e Tofu", Pallavi Aiyar

 

Pechino, estate 2008. Soia - gattino rosso affetto da manie di protagonismo - e Tofu - micina nera timida e un po' fifona - sono nati in primavera all'interno dell'antica Città Imperiale, a poche settimane e a poche decine di metri di distanza. Lui, (incredibilmente) figlio unico, ha mosso i primi passi nello siheyuan della famiglia Xu, accudito dalla sua mamma. Lei è stata svezzata dentro a un bidone insieme a quattro fratelli.
Un giorno vengono portati via per essere consegnati a Mrs e Mr A, una coppia di stranieri arrivati da poco in città. Fra coccole, pranzetti prelibati e tanti posticini comodi e caldi dove dormire, i due maomi inizieranno subito ad apprezzare la loro nuova vita, senza dimenticare le proprie origini e consolandosi grazie al reciproco affetto. Finché a Soia viene proposto il ruolo di protagonista della pubblicità del nuovo, eccezionale cibo per gatti prodotto in Cina: e "qualcuno" finirà col montarsi la testa.

Pallavi Aiyar, scrittrice e giornalista indiana che ha vissuto per sei anni a Pechino, ha pubblicato "Chinese Whiskers" (unico suo titolo tradotto in italiano) nel 2010.

Un librino di 167 pagine con una copertina adorabile che non può non attrarre ogni amante dei gatti. Apparentemente una favoletta, raccontata da Soia e da Tofu che si alternano di capitolo in capitolo.

Due mici diversi nelle pellicce quanto nel temperamento.

Lui: il tipico gatto star, come lo erano il mio Gippi e il mio Gastone e come lo è la mia MuMù, vere e proprie primedonne, catalizzatori dell'attenzione di chiunque, quella dei loro umani e di ogni persona in visita, senza fare distinzioni fra parenti, amici, idraulici, antennisti e scocciatori vari.

Lei: esattamente l'opposto, capace di nascondersi per ore alla vista di chiunque non sia un suo umano, per poi diventare in assenza di estranei così affettuosa e presente da risultare perfino appiccicosa, esattamente come lo era la mia Fumetta e come è la mia Lunetta.

Ci sono tante cose carine nel libro, come lo stupore di Tofu quando vede per la prima volta un essere umano ("Niente zampe, niente baffi, niente coda") o la saggezza con cui la mamma descrive a Soia i limiti degli uomini ("Ai ren (gli esseri umani) piace parlare del tempo, quando piove esclamano "Piove!", benché sia piuttosto ovvio").

Apprezzabile anche la difesa degli animali:

"Quando le cose si mettono male, di solito i ren danno la colpa agli animali. L'anno scorso c'era un virus che dicevano venisse dai polli: è bastato che morisse un ren e hanno ammazzato quarantamila polli. Quando i ren hanno paura di un virus noi animali siamo nei guai"

Peccato che però l'autrice non si dimostri migliore di quelli che critica tanto:

"Come si fa a essere così crudeli con degli animali innocenti? Mi rifiuto di credere che non vedano la differenza tra uno zibetto che vive nei boschi e un cane o un gatto domestici"

Evidentemente per lei la crudeltà contro gli zibetti è lecita e io la gente che ragiona così non la sopporto.


La Aiyar tira molte stoccate alla Repubblica Popolare Cinese ("Il governo del suo paese non è esattamente noto per dire la verità") - come se l'India, soprattutto adesso, fosse un modello di democrazia - ma il racconto assume uno spessore inaspettato nella sua denuncia contro i divari e le disuguaglianze sociali perché ci sono tante, troppe persone che vivono da randagie, e non per scelta.


Reading Challenge 2024, traccia vagabonda novembre: India

domenica 10 novembre 2024

"Patrimonio. Una storia vera", Philip Roth

  

"Siamo in posa, in costume da bagno, un Roth dietro l'altro, sul prato antistante la pensione di Bradley Beach dove la nostra famiglia affittava una camera da letto con uso cucina ogni estate per un mese. É l'agosto 1937. Abbiamo quattro, nove e trentasei anni. Ci drizziamo verso il cielo formando una V, di cui i miei sandaletti sono la base appuntita e le spalle larghe di mio padre - tra le quali è perfettamente centrata la faccia furba da folletto di Sandy, - le due imponenti terminazioni della lettera. Sì, quella che spicca sulla foto è la V di Vittoria: di Vittoria, di Vacanza, di retta e distesa Verticalità! Eccola, la linea maschile, intatta e felice, in ascesa dalla nascita alla maturità!"

La foto in questione è, naturalmente, quella in copertina e merita di essere vista meglio:


Il protagonista del libro è Hermann Roth, morto nel 1989 a ottantasei anni per un tumore al cervello. Il figlio Philip due anni dopo pubblica "Patrimonio. Una storia vera", un memoir dove racconta la fase finale della vita del padre, partendo dalla diagnosi sbagliata fatta da un medico della Florida, dove il padre stava trascorrendo un periodo di vacanza a casa di un vecchio amico.
La perdita quasi totale della vista dall'occhio destro non era dovuta alla paralisi di Bell, ma - come riscontrato da successivi esami fatti in seguito alla comparsa di altri disturbi - era stata causata dal cancro, che agiva nella testa dell'uomo da almeno una decina d'anni.

Un romanzo biografico e autobiografico, estremamente intimo e riflessivo, che descrive le difficoltà e la sofferenza che accompagnano sempre la malattia e la consapevolezza di una vita giunta ormai all'epilogo.

In 187 pagine divise in sei capitoli, Roth - che all'epoca aveva 55 anni ed era già orfano di madre (era morta qualche anno prima, nel 1981) - commuove toccando con la condivisione del suo dolore tasti dolorosi per chi ha perso i propri genitori ben prima di lui.

Ma riesce anche a far divertire raccontando di un - decisamente non imperdibile - concertino di musica da camera suonato per il padre in Florida dai residenti della struttura dove soggiornava oppure descrivendo la maniacale - e non necessaria - avarizia che aveva caratterizzato alcune scelte del padre in tarda età o, ancora, ricordando l'imbarazzo provato durante una cena quando si era ritrovato a leggere la bozza di un libro scritto da un amico del padre, dietro insistenza del padre stesso che evidentemente non sapeva che l'amico aveva scritto un porno, nemmeno di buon livello.

Invece la scrittura di Roth, come sempre, incanta e con i rimandi alla situazione ebraica la storia personale diventa interessante anche dal punto di vista socio-culturale.

Toccante il suo ricordo di Primo Levi.

"Probabilmente il sopravvissuto il cui numero mi aveva fatto più impressione a vederlo era lo scrittore italiano Primo Levi. Nel 1986 ero andato a Torino a fargli una lunga intervista per il «New York Times», e nei quattro giorni passati insieme eravamo diventati misteriosamente amici intimi: così intimi che quando venne il momento di andar via Primo disse: «Non so quale di noi due è il fratello minore e quale il fratello maggiore», e ci abbracciammo con grande emozione come se quella potesse essere l'ultima volta che ci vedevamo. E fu proprio così. Avevamo parlato a lungo di Auschwitz, degli undici mesi che vi aveva passato quando era giovane e dei due libri che aveva scritto sui campi, e questo era stato il nocciolo dell'intervista. Essa venne pubblicata nella sezione domenicale del «Times» dedicata ai libri sei mesi giusti prima che Primo Levi si togliesse la vita gettandosi dall'alto della scala del palazzo di Torino dove abitava: la stessa scala le cui cinque rampe di gradini avevo salito pregustando il nuovo incontro ogni giorno che ero andato là per le nostre chiacchierate."


Intervista di cui non ho trovato il testo vero e proprio, ma solo due immagini degli articoli della traduzione pubblicata da "La Stampa": adesso devo solo trovare la forza visiva per riuscire a leggerla.

Reading Challenge 2024, traccia annuale Cocktail: un libro con lo sfondo di copertina bianco

martedì 5 novembre 2024

"Miele", Ian McEwan

 

"Mi chiamo Serena Frome (che fa rima con plume) e poco meno di quarant’anni fa mi mandarono in missione segreta per il British Security Service. Non ne sono tornata illesa. Mi scaricarono nel giro di diciotto mesi, dopo che ebbi screditato me e distrutto il mio amante, che pure non fu estraneo alla propria rovina."

E Serena, voce narrante del romanzo, ci racconta quell'anno e mezzo trascorso alle dipendenze dell'MI5 e, prima ancora, cosa (o, per meglio dire, chi) aveva portato nel 1972 una ragazza come lei - 21 anni, figlia maggiore di un vescovo anglicano, una laurea in matematica faticosamente ottenuta a Cambridge, disinteressata alla politica e poco attenta a quello che stava succedendo in Inghilterra, in Europa e nel mondo - a ingrassare le fila dei servizi segreti di sua Maestà, in principio come semplice segretaria e successivamente con un ruolo attivo nella cosiddetta operazione "Miele".

Scritto nel 2012 (l'anno in cui la protagonista racconta la sua storia), titolo originale "Sweet Tooth", era nella mia wish list come tutti i romanzi di McEwan che devo ancora leggere, ma mi respingeva perché dalla trama (che sconsiglio di leggere immediatamente prima di iniziare il libro perché ne fa un riassunto quasi completo) l'avevo inquadrato come una spy story e lo spionaggio è un genere che non solo non mi interessa (come il fantasy) e che non mi piace (come la fantascienza), ma che proprio mi irrita.

In "Miele" di spionaggio ce n'è, ma - infarcito com'è di accenni più o meno dettagliati a 
fatti realmente accaduti - ci sono soprattutto la politica e la geopolitica dell'epoca: la guerra fredda ("A quei tempi, per i politici e le redazioni di gran parte dei quotidiani occidentali, soffermarsi sulle iniquità del sistema sovietico era ordinaria amministrazione"), la crisi economica, la guerra in Vietnam ("Il conflitto era di una brutalità spietata nonché chiaramente fallimentare"), il Watergate, il Medio Oriente, il terrorismo ("Il terrorismo avrebbe dovuto prendersela con loro perché gli Stati Uniti iniziassero a capire qualcosa") e questi sono argomenti che mi interessano. McEwan fornisce un'ottima visione di cosa sono stati gli anni Settanta, non solo in Inghilterra.

Ci sono anche tanti libri e tantissimi autori citati, con analisi anche approfondite e molto interessanti. Non solo: Tom Haley, il personaggio al centro dell'operazione "Miele", è un aspirante scrittore con all'attivo alcuni racconti e un romanzo breve, lavori che McEwan riassume e racconta creando più volte l'effetto libro nel libro, che amo.

E c'è l'amore. O meglio, gli amori vissuti e raccontati da Serena. Soprattutto su questi c'è l'immensa bravura dell'autore nel dare voce a un personaggio femminile: se mi avessero messo in mano questo libro privo della copertina chiedendomi di indovinare chi lo avesse scritto avrei risposto senza indugio Elena Ferrante!

E poi c'è l'ultimo capitolo che racconta qualcosa di totalmente inaspettato e - soprattutto quando si legge tanto - un libro che riesce a stupire diventa commovente.

Reading Challenge 2024, traccia stagionale crucipuzzle, autunno: ombrello nel testo


venerdì 1 novembre 2024

Reading Challenge: tracce di novembre

   


TRACCE MENSILI


Libere:
  • libri dove si svolge una festa o un ballo
  • libri con lo sfondo di copertina nero
  • libri cartacei fotografati vicino a una pianta
    I miei uomini, Victoria Kielland (2 punti)

Traccia gioco di società: Indovina chi, libri dove compaiano una persona con gli occhiali, una con i capelli bianchi, una con un cappello, un uomo con i baffi o una donna con i capelli corti


Traccia vagabonda:
  • India: L'incredibile storia di Soia e Tofu, Pallavi Aiyar (1 punto)
  • Malesia: Un giorno solo, Felicia Yap (4 punti)
  • Cina: Ivy, Susie Yang (3 punti)


I miei punti di novembre: 10