[Qui la prima parte]
Ero di nuovo solo,
seppure fra mille, fagocitato dal volgo multietnico, imbottito di tanfo,
disgusto, rumori, desideri diversi che cozzavano fra loro annullandosi a
vicenda. Il Moloch proseguiva nel suo viaggio verso l’apocalisse, che poi era
l’inizio del turno di lavoro o l’appuntamento con l’amante o la partita di
calcetto (a quest’ora del mattino, poi…!?) o le commissioni mattutine, senza
pietà per niente e per nessuno, sì, giusto, in effetti sembravamo quella stampa
del Leviatano, un re baffuto il cui corpo è composto da centinaia di omini
stile exogini; fu in quel momento che mi accorsi che la Bestia mi parlava, era
viva, mi trasmetteva i suoi pensieri attraverso il linoleum o cosa diavolo
fosse quella roba plasticosa per terra, me li trasmetteva attraverso la sbarra
rossa in cui ero conficcato, attraverso il sibilo delle rotaie e l’intermittenza
delle luci, “Ascoltami, messaggero”, mi disse, e mi ritrovai improvvisamente
nel vuoto, assorbito da quella voce penetrante e demoniaca. Ero pietrificato
intorno al mio palo, che ora fluttuava nel buio più assoluto. Il treno aveva la
voce di Richard Benson o di Belzebù, non riuscivo bene a capire, ma parlava una
lingua aliena, eppure profondamente mia, che più o meno tradotta in italiota
esprimeva qualcosa del genere: “So che tu sai, oh briciola di esistenza, che il
mondo si avvicina alla fine. Li vedi i tuoi simili, che sudano e leggono “Chi”
e guardano Barbara D’Urso? Li ascolti mentre parlano di Sanremo e dello Spread,
mentre leggono Proust, Moccia e Petronio? Loro non sanno, tu sai. Loro si
distraggono, tu sai cogliere i segnali che vi mando ogni giorno. Presto sarà
tutto finito, non frenerò più, mi avvierò verso il moto perpetuo e finalmente
vi trasformerò in energia”. Le sue vibrazioni/parole presero la forma, nei miei
pensieri, di un pollo, un mistico pollo fosforescente, forse per colpa
dell’influenza dell’Avatar Benson. Il pollo mi indicò col suo
becco-evidenziatore la strada per tornare alla (in)coscienza della carrozza
della metro. Dopo poco mi trovai di nuovo in mezzo alla bestiale compagnia
degli altri umani, ma non riuscivo più a vederli allo stesso modo, sapevo che
saremmo tutti finiti, fra non molto tempo. Ero diventato un cavaliere dell’apocalisse,
un araldo puzzolente incompreso, sì, queste sarebbero state le mie origini in
un qualche fumetto americano di supereroi, che poi ci avrebbero fatto il film
tradendo la lettera dell’originale e tutti giù a criticare… Quel momento così uguale
a tutti gli altri mi avrebbe regalato una nuova vita. Ma era ancora presto, l’ennesima
palingenesi stava per abbattersi sulla nostra rugginosa carrozza.
[Continua...]