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lunedì 2 agosto 2010

Nazim Hikmet... Il più bello dei mari!

Avevo 17 anni e frequentavo il liceo. Uno dei miei professori recitava spesso alcuni versi di un poeta turco di cui non ricordavo bene il nome. Quei versi mi lasciavano un dolceamaro in bocca... e ancora oggi, per me è così. E la sera dell'ultima cena di classe, di anni ne avevo 19, prima della consegna dei diplomi, a proposito di una battuta mi disse ancora: 
"Il più bello dei mari, Silvia, è quello che non navigammo". 
Sarà colpa di Hikmet ma anche all'università incontrai un professore, della stessa disciplina e con il quale avevo lo stesso meraviglioso scambio intellettuale, il quale amava quei versi. E come si fa a non amare Hikmet? Solo chi non ha vissuto se non alla superficie delle emozioni e delle vicissitudini umane. 
Mi chiedo, però, se nell'attesa del più bello dei mari, non lasciamo correre via la nostra vita.
Altro discorso per chi quei versi li ha scritti, dal buio di un carcere. Chi è Hikmet lo sapete già o vi basterà andare su wikipedia, nè tenterò di fornire un solo commento al testo. 
La bellezza si ammira, si annusa, si tasta, la si sente battere nel proprio petto.
Potreste descrivere il profumo di un fiore o l'estasi di un cielo stellato? No.  Lasciamo che cali il sipario sulle parole usate e abusate.
Vi lascio in silenzio, ad ascoltare il sussurro della bellezza. 

Lettere dal carcere a Munnever
  1942

Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.

1943

Amo in te
l'avventura della nave che va verso il polo
amo in te
l'audacia dei giocatori delle grandi scoperte
amo in te le cose lontane
amo in te l'impossibile
entro nei tuoi occhi come in un bosco
pieno di sole
e sudato affamato infuriato
ho la passione del cacciatore
per mordere nella tua carne.
amo in te l'impossibile
ma non la disperazione.

1945

Se per i buoni uffici del signor Nuri spedizioniere
la mia città, la mia Istanbul mi mandasse
un cassone di cipresso, un cassone di sposa
se io l'aprissi facendo risuonare
la serratura di metallo: dccinnn ...
due rotoli di tela finissima
due paia di camicie
dei fazzoletti bianchi ricamati d'argento
dei fiori di lavanda nei sacchetti di seta
e tu
e se tu uscissi da lì
ti farei sedere sull'orlo del letto
ti metterei sotto i piedi la mia pelle di lupo
con la testa chinata e le mani giunte starei davanti a te
ti guarderei, gioia, ti guarderei stupito
come sei bella, Dio mio, come sei bella
l'aria e l'acqua d'Istanbul nel tuo sorriso
la voluttà della mia città nel tuo sguardo
o mia sultana, o mia signora, se tu lo permettessi
e se il tuo schiavo Nazim Hikmet l'osasse
sarebbe come se respirasse e baciasse
Istanbul sulla tua guancia
ma sta' attenta
sta' attenta a non dirmi "avvicinati"
mi sembra che se la tua mano toccasse la mia
cadrei morto sul pavimento.

1947

Ho sognato della mia bella
m'è apparsa sopra i rami
passava sopra la luna
tra una nuvola e l'altra
andava e io la seguivi
mi fermavo e lei si fermava
la guardavo e lei mi guardava
e tutto è finito qui.

1948

Anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
e come s'affonda nell'acqua
immergiti nel sonno
nuda e vestita di bianco
il più bello dei sogni
ti accoglierà
anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
abbandonati come nell'arco delle mie braccia
nel tuo sonno non dimenticarmi
chiudi gli occhi pian piano
i tuoi occhi marroni
dove brucia una fiamma verde
anima mia.


martedì 27 aprile 2010

"Memory"

Un nuovo appuntamento con la poesia dei nativi americani
L'autore di oggi è Phillip Deere (1929-1985).
Nato in Oklahoma, è stato guida spirituale dell'American Indian Movement (AIM) e guaritore tradizionale. Uomo di Stato per l’International Indian Treaty Council, ha preso parte alla United Nations International Rights Commission di Ginevra. 
I versi di "Memory" trascinano in dimensioni senza tempo, dove affiorano ricordi e sensazioni comuni agli esseri umani che amano. Vale la pena assaporare anche la versione originale, per scoprirne la potenza evocativa del suono.
Ricordo                                                                 
Quando penso a te
vedo armonia 
di gabbiani
pellicani e 
sabbie chiare
       sorgere
       sulla parte
       acquea
       della madre terra
onde
onde lunghe
si muovono
con una forza
che mi richiama alla mente
       comprensione
      di anziani 
      che si riuniscono
      si riunivano
aliotide
mollusco
ed altra conchiglia
per trafiggere
l'essenza 
di offerte
       al mare
       suoni
       di mormorii
mi catturano
e mi trascinano
verso
di
te

Memory
When I think of you
I see seagulls
and pelicans
white sands
unity
       rising
       on the ocean
       side
       of mother earth
waves
swells
moving
with a force
that calls me
       understanding
       of ancient ones
       who gather
       gathered
abalone
clam
and other shell
to pierce
the hearts
of offerings
       to the sea
       sounds
       of murmurings
capture me
to pull me
in
to
you
                (Phillip Deere)

venerdì 19 marzo 2010

La voce dei Nativi Americani nella poesia di Joy Harjo

Nata a Tulsa (Oklaoma), Joy Harjo è poetessa, musicista e scrittrice, docente universitaria, membro della tribù  Creek, di discendenza Cherokee. La sua musica e le sue poesia si ispirano alle tradizioni e alla spiritualità della sua terra. Qui di seguito proponiamo "Remember" nella traduzione italiana, seguita dal testo in lingua originale.

Ricorda

Ricorda il cielo sotto cui tu sei nato,
apprendi tutte le storie delle stelle.
Ricorda la luna, apprendi chi è. L'ho
incontrata una volta in un bar di Iowa City.
Ricorda il sorgere del sole all'alba, il più
potente istante di tempo. Ricorda il tramonto
e il far posto alla notte.
Ricorda la tua nascita, la lotta di tua madre
per darti forma e respiro. Tu sei testimonianza
della sua vita, di quella di sua madre e così via.
Ricorda tuo padre. Anch'egli è la tua vita.
Ricorda la terra di cui condividi la pelle:
terra rossa, terra nera, terra gialla, terra bianca,
terra scura, noi siamo terra.
Ricorda le piante, gli alberi, il mondo animale: anch'essi
hanno le loro tribù, famiglie, storie. Parla con loro,
ascoltali. Sono poeti viventi.
Ricorda il vento. Ricorda la sua voce. Conosce
l'origine dell'universo. Una volta all'angolo
della Quarta con Central l'ho udito intonare
canti di danza di guerra Kiowa.
Ricorda che sei tutto il popolo e tutto il popolo
è te.
Ricorda che sei tutto l'universo e l'universo
è te.
Ricorda che tutto è in movimento, in crescita, tutto è te.
Ricorda che il linguaggio proviene da tutto questo.
Ricorda la danza che costituisce linguaggio, vita.
Ricorda.


Remember 

Remember the sky that you were born under,
know each of the star's stories.
Remember the moon, know who she is. I met her
in a bar once in Iowa City.
Remember the sun's birth at dawn, that is the
strongest point of time. Remember sundown
and the giving away to night.
Remember your birth, how your mother struggled
to give you form and breath. You are evidence of
her life, and her mother's, and hers.
Remember your father. He is your life also.
Remember the earth whose skin you are:
red earth, black earth, yellow earth, white earth
brown earth, we are earth.
Remember the plants, trees, animal life who all have their
tribes, their families, their histories, too. Talk to them,
listen to them. They are alive poems.
Remember the wind. Remember her voice. She knows the
origin of this universe. I heard her singing Kiowa war
dance songs at the corner of Fourth and Central once.
Remember that you are all people and that all people are you.
Remember that you are this universe and that this universe is you.
Remember that all is in motion, is growing, is you.
Remember that language comes from this.
Remember the dance that language is, that life is.
Remember.
(Joy Harjo)

giovedì 25 giugno 2009

Le muse sotto il cielo di Parma. Milena Vukotic chiude la quinta edizione del Parma Poesia Festival


Parma - Si è conclusa ieri sera con la presenza di Milena Vukotic la quinta edizione della keremesse culturale Parma Poesia Festival, che ha coinvolto poeti, letterati e non solo, dal 18 al 24 giugno. Alberto Bevilacqua, Aldo Busi, Corrado Augias, Gianrico Carofiglio, Vincenzo Cerami, Guido Ceronetti e Silvio Ramat sono alcune fra le personalità che hanno fatto risuonare per altri versi (questo il titolo dell'edizione del festival) i chiostri, le biblioteche, i palazzi d'epoca e le piazze parmigiane. Straordinaria la partecipazione del pubblico che anche quest'anno ha risposto con entusiasmo all'iniziativa. La città ha indossato il suo abito migliore e ha offerto la possibilità ai visitatori di partecipare agli incontri culturali durante tutto l'arco della giornata.
Non solo poesia al Parma Poesia Festival, ma anche musica e cinema. Oltre alla presenza di Mogol (perfetta sintesi di come la musica incontri la poesia), artisti come il jazzista Paolo Fresu che ieri sera ha accompagnato con le sue musiche "E.D. : la mia lettera al mondo", spettacolo dedicato ad Emily Dickinson, con Milena Vukotic e diretto da Giorgia De Negri, registrando il tutto esaurito.
Nell'ambito della manifestazione culturale, lunedì scorso, una serata presso il cinema Astra dedicata al "Futurismo nel cinema. Declamazione futurista", con letture di Antonio Petrocelli tratte dai testi più celebri della poesia futurista, secondo lo stile declamatorio marinettiano. A seguire "Metropolis" di Fritz Lang, capolavoro del cinema muto del 1927, è stato accompagnato con musiche dal vivo da Marco Dalphane al pianoforte e Francesca Aste al synth.
Non ci resta che attendere una nuova edizione, per rivedere le muse al completo sotto il cielo di Parma.

Silvia Cusumano