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Scrivendo di CHANGELING avevo detto che il film era l'ennesimo pugno sferrato dal regista americano impegnato da anni a demolire il mito del sogno americano.
GRAN TORINO probabilmente rappresenta il colpo del definitivo ko.
Walt Kowalsky è un ex operaio della Ford burbero e razzista, incattivito ancor di più dalla recente vedovanza. Non ha nessuna stima dei suoi figli e delle loro famiglie e odia particolarmente i nipoti. Vive da solo in un quartiere ghetto della periferia di Detroit invaso da gang giovanili e abitato quasi esclusivamente da immigrati orientali.
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Questo film capolavoro, tecnicamente ineccepibile, che chi conosce il cinema di Clint Eastwood troverà dalla trama prevedibile, ha più livelli di lettura e probabilmente in futuro molte pagine saranno riempite da storici e critici di cinema nel tentativo di analizzarlo nella sua completezza.
Personalmente mi limiterò ad esporre le mie considerazioni in merito a quello che Eastwood ci fa vedere sullo schermo e a quello, parallelo alla trama, che il regista americano ci comunica, che ritengo possa essere considerato una sorta di personale testamento cinematografico.
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La frontiera, il limite invalicabile, è rappresentato dal giardinetto di casa, ultimo baluardo da difendere dall'invasione dei barbari orientali.Fortissimi i legami di GRAN TORINO con il cinema recente di Clint Eastwood e in particolare con MILLION DOLLAR BABY, con il quale il cineasta americano ci aveva dato lezione sulla proprietà individuale della vita; aveva criticato aspramente i sussidi statali e chi pretende di campare sulle spalle degli altri; aveva insistito sulla dimensione paterna non necessariamente legata all'anagrafe ma esercitata sulla base delle responsabilità di cui farsi carico dinanzi alle nuove generazioni.
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Walt è un feroce anticlericale che allo stesso tempo disprezza i nipoti che disonorano i riti religiosi; è un reduce di guerra che odia la guerra ma che non esita un minuto ad impugnare le armi per difendere chi è vittima di soprusi, preoccupandosi però non di uccidere, ma di assicurare alla legge i cattivi.
La moralità di Walt Kowalsky è così alta, pura, che quando i fratelli Lor, suoi vicini di casa, vengono aggrediti, il vecchio metalmeccanico si tormenta per non essere riuscito a difenderli e si accanisce contro se stesso facendosi bersaglio.
Infatti, quando affronterà la gang, estrarrà la "pistola" non per colpire ma per indicare il bersaglio.
Molti critici autorevoli hanno visto in questo gesto la redenzione di Walt Kowalsky, personalmente credo che questa interpretazione sia completamente errata, e ahimè forse dettata non da una lettura superficiale del film ma dalla voglia di "assolvere" il Clint Eastwood autore, capace di portare coraggiosamente sullo schermo un film reazionario/moralista che non suscita molte simpatie su certa stampa. Per chi scrive, non c'è alcuna redenzione nel protagonista e infatti nelle parole che chiudono il film, Walt si fa beffe dei suoi figli e nipoti e invita il giovane Thao a non comportarsi come i messicani, le checche, i coatti italiani e coreani ecc.. dimostrando sino in fondo tutta la sua coerenza.
GRAN TORINO, film densissimo, è il riepilogo di tutta la filmografia di Clint Eastwood.
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A supporto di questa ultima tesi basti notare i passaggi che sfiorano la commedia pregni di ironia autoreferenziale e da un linguaggio western-poliziesco. Eastwood ha urgenza di dirci delle cose, di lasciare il suo testamento cinematografico, e oltre al linguaggio usa meravigliosamente la macchina da presa non sprecando neanche un'inquadratura.
La vecchia Gran Torino è la sua vita artistica, la lucidatura sono i ricordi e le emozioni passate, il viale dove è parcheggiata è ovviamente quello del tramonto.
Con Walt Kowalsky muore il Clint Eastwood attore, muoiono il "monco" e il "biondo" di Sergio Leone, muore l'ispettore Callaghan di Don Siegel.
Mai più rivredremo sugli schermi il grande Clint, tanto è palese la sua intenzione di salutarci per sempre.
Film immenso che va di molto oltre quello che scorre sullo schermo. Testamento.