I miei viandanti

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domenica 8 maggio 2011

Ricette di famiglia




Dopo la passeggiata a Villa Torlonia, torniamo a noi.
Ho ancora molti luoghi da farvi visitare, luoghi bellissimi di questa città che ho approfondito amorosamente per voi (il Macro, i Musei Capitolini, la romantica casa di Keats e altro ancora) ma anche pezzi di vacanza abruzzese ancora da ricordare (come la deliziosa Pescasseroli).

Il tempo è poco, il lavoro sulle fotografie e sul racconto invece è lungo, per cui centellinerò le mie passeggiate...nel frattempo, vi racconto un pezzetto di famiglia, con  questo bel dolce pieno di mele. Lo so che il tempo delle mele è quasi finito ( non quello cinematografico, quello è finito da un pezzo), ma io adoro le torte di mele, e approfitto fino all'ultimo di questo delizioso frutto invernale.



La ricetta, scritta su un vecchio foglio di carta, è di mia nonna Renata,  conservata amorosamente per quattro decenni da zia Serena (che segue questo blog e che approfitto per salutare, e per ringraziare delle sue succulente cene a cui ci invita spesso).

domenica 8 febbraio 2009

Storia di una signora di campagna dei primi del Novecento

Questa è la storia di una signora di campagna dei primi del Novecento, una storia vera: la maggior parte di questo racconto è stato ricostruito su fonti certe e racconti che si sono tramandati di madre in figlia, anche se ormai è rimasta un’unica testimone di quel periodo, e su un carteggio di centinaia di vecchie cartoline, amorosamente riposto in un album, che copre un periodo che va dal 1905 al 1909 circa.


Se vi è qualche imprecisione e qualche vaghezza nella narrazione, la responsabilità è nell’incertezza dei racconti, delle defaillances della memoria e, in ultimo, di una certa aura romantica di cui, sono convinta, avvolgo i fatti che qui narrerò.
La protagonista porta il nome dal fascino desueto e un po’ antiquato di Matilde e, come tutte le vecchie storie che si rispettino, ha radici ancora più lontane, più indietro nel tempo e, per questo, avvolte nella nebbia dei ricordi.
Ma iniziamo dal principio, fin dove i ricordi di famiglia possono arrivare, senza cadere nella vaghezza delle leggende.





Matilde nasce a Velletri il 9 luglio del 1879, da una famiglia benestante, piccola nobiltà di provincia, con una storia di passate ricchezze testimoniata da un palazzotto nobiliare, che era stato di proprietà fino a qualche tempo prima, sempre nello stesse ridente paese, arroccato tra i Castelli Romani.

Suo padre, Vito Montelli, l’aveva avuta in tarda età. Doveva essere nato attorno gli anni 20-30 dell'Ottocento, perchè nel 1849 era già adulto.

Vito era stato capitano dell’esercito, prima di ritirarsi a vita civile, e l’impresa più gloriosa della sua vita fu l’aver partecipato, nel 1849, alla difesa di Roma durante la seconda guerra risorgimentale. Questa partecipazione è testimoniata da un attestato, ingiallito e sfilacciato, rivenuto casualmente tra i cimeli di famiglia, datato 20 dicembre 1871: vi si legge che


"La Commissione istituita dalla giunta Provvisoria di Governo in virtù del decreto del 28 Settembre 1870, dichiara che il Signor Montelli Vito, già capitano, per aver preso parte alla Liberazione di questa città nel 1849 ha diritto a fregiarsi della medaglia dei Benemeriti della Liberazione di Roma."



Nel 1848, come tutti ricorderanno, Roma si ribellò al Papa Pio IX, seguendo la scia di rivoluzione che percorreva tutto il paese, instaurando la Repubblica Romana e facendo precipitosamente fuggire il papa a Gaeta.

Il papa chiamò Napoleone III e le truppe francesi in soccorso, agli ordini del generale Oudinot: la città fu presa d’assedio e, dopo una cruenta battaglia sul Gianicolo di cui ancora si vedono i segni, Roma fu invasa dalle truppe straniere e riconsegnata brutalmente al papa. Fu in questa occasione che combatterono giovani valorosi come Goffredo Mameli, autore del nostro Inno Nazionale morto ad appena 22 anni, Luciano Manara, Enrico Dandolo.


Non sappiamo se Vito combattesse per i rivoluzionari garibaldini oppure per le truppe papaline ma, da quello che si può leggere dall'attestato, si può ragionevolmente presumere che facesse parte delle truppe garibaldine, e non certo dell’esercito invasore, acerrimo nemico dei Savoia, e che combattè fino al 1870 contro le truppe di liberazione, fino alla Breccia di Porta Pia.


Ritiratosi dall’esercito, Vito Montelli si sposò in tarda età con la più giovane Carolina Galli, figlia di Tito e Imperia Hortoller, le cui date di nascita dovrebbero arrivare a sfiorare almeno il secondo decennio dell'Ottocento se non qualcosa più indietro, almeno secondo quanto si può desumere dalla data di nascita di uno dei figli. Tito ed Imperia ebbero infatti tre figli, Ignazio (1841-1920), Nazareno e Carolina.

Questa è la genealogia della famiglia Galli ricostruita dalla nipote, anche lei chiamata Carolina.

Dal fratello maggiore della mamma Carolina, Ignazio Galli (Velletri, 31 luglio 1841- 10 Febbraio 1920), le giovinette ereditarono il titolo di contessa, non sappiamo per quali vie traverse; costui era un sacerdote, canonico in Velletri, doveva essere un tipo particolare: professore al liceo di matematica e fisica, grecista e latinista, le leggende familiari tramandano che fosse uomo coltissimo, astronomo e inventore.

A casa della figlia di Matilde, anche lei chiamata Carolina detta Carla, fino a pochi anni fa c’era un grosso armadio misterioso, pieno di oggetti appartenuti al prete.
 Tale titolo nobiliare passò alle sorelle e morì con loro.



Questa è la tomba dello zio Ignazio, sita al Verano, sulla cui lapide vi è inciso:

"Sacerdote esemplare
professore sovrano
di Scienze Naturali Matematiche e Fisiche
Indagatore acuto degli astri
fu caro allievo di Angiolo Secchi
vissuto onesto e buono..."


Vito e Carolina ebbero due figlie: la primogenita Giulia, che sposerà un medico, Ottaviano Corona, e la nostra Matilde.


Non si hanno notizie certe della sua infanzia e giovinezza in provincia ma, secondo chi la conobbe da donna, ebbe un’educazione accurata, adatta ad una giovinetta bene dell’epoca: leggeva e scriveva con garbo, praticava tutte le arti domestiche come cucito e ricamo, amava la cultura.

Adorava la musica classica e in particolare l’opera, frequentava i teatri con passione, almeno fino a quando potè: possedeva tutti i libretti d’opera e conosceva benissimo le arie più famose, passione che non l’abbandonò mai anche quando, molto più tardi, smise di frequentare i teatri e ascoltava musica dal giradischi.

Dalle fotografie d’epoca, possiamo capire che non fosse proprio una bellezza: viso pieno, un po’ squadrato, capelli castani lisci raccolti in alto, labbra sottili; aveva però degli occhi intensi, una figura morbida, non priva di una certa grazia.


Come ogni signorina o signora di un certo grado sociale, portava abiti lunghi, di tessuto fine, amava ornarsi di bei gioielli, ed indossava cappelli a falda larga. Indossava sempre calze di seta e guanti fini. Questa eleganza innata non l’abbandonò mai, per tutta la vita, anche quando le gonne si accorciarono e i cappelli con le piume finirono fuori moda.

Chi la conobbe, racconta che amava circondarsi di cose belle, oggetti artistici, porcellane, di biancheria preziosa, come un porta calze in seta paglierina con nastri in raso giunto fino a noi, che serviva a contenere le fini calze di seta che si portavano all’epoca e senza cui una vera signora non sarebbe mai uscita, neanche d’estate.




All’incirca nei primi anni del Novecento, forse il 1903 o 1904, non più giovanissima, conobbe Ermenegildo De Lazzaro, chiamato familiarmente Mario: un militare di carriera, come il padre, di ottima famiglia, possidenti terrieri, sempre in Velletri.

Dalle foto arrivate fino a noi appare con un bel giovanotto bruno, occhi azzurri, il portamento altero, capelli scuri impomatati, viso asciutto con zigomi affilati, con eleganti baffi all’insu, e le leggende familiari tramandano che fosse proprio un bell'uomo. Era più giovane di lei di quattro anni, la data di nascita risalendo al 1883, almeno secondo le cronache.


Nell'immagine in cui sono insieme, probabilmente già sposati, una fotografia presa in uno studio professionale con scenografia esotica, lei indossa un elegante abito chiaro, borsetta di seta ed enorme cappello con piume, lui indossa un elegantissimo cappotto scuro, scarpe di pelle a due colori, con guanti e tuba di seta.


I due si fidanzarono e, come si usava all’epoca, il fidanzamento fu lungo e a distanza, perché Mario fu trasferito presto ad Ancona per la sua carriera militare, ma non fu un’unione di convenienza: i due giovani cominciarono a scriversi regolarmente, una cartolina quasi tutti i giorni, magari una frase, due parole, per quattro lunghi anni, in attesa di unirsi in matrimonio.
Le cartoline sono arrivate fino a noi, con tutto l’album in cui lei le raccolse; delle numerose lettere che ivi vengono citate, purtroppo, non ne è rimasta traccia.

Queste cartoline, amorosamente conservate tra gli arabeschi dell'album, sono state fondamentali per ricostruire la storia dei due innamorati.

Alla prossima puntata, col carteggio di Matilde e Mario e il resto di questa romantica storia ed il suo tragico epilogo!

Il carteggio d'amore, 1905-1909


Caro pubblico che si è affezionato alla storia di Matilde, eccoci alla seconda parte della narrazione, quella ricostruita attraverso il carteggio di cartoline, che copre un arco di tempo che va dal 1905 al 1909.


In quegli anni Mario le regalò un grosso album dalla copertina di cartone pesante, blu, con le pagine disegnate in stile floreale, come andava di moda all’epoca. Sulla prima pagina una dedica, la scrittura sottile, elegante: “Alla mia diletta Tilde, Mario”.


Matilde cominciò a riempirlo, giorno dopo giorno, per quattro lunghi anni, aspettando di sposare il suo promesso.



Le cartoline arrivavano regolarmente, alcuni giorni addirittura le scriveva due volte: sono quasi tutte di Mario a Matilde, tutte vergate con la stessa calligrafia accurata, il pennino usato con mano esperta a formare archi eleganti, riccioli e svolazzi con l’inchiostro color seppia, le parole fluide, sinuose, a tratti difficili da interpretare.


La maggior parte delle missive sono spedite presso l’indirizzo di via Clemente Cardinali numero 6, a Velletri, solo alcune invece sono dirette a Mario, prima presso la Legione Allievi Reali Carabinieri, 4° Compagnia, a Roma; quindi presso il Comandante della Stazione dei Reali Carabinieri di Montesicuro, provincia di Ancona: quella di Matilde è una scrittura minuta, delicata, un po' spigolosa, tutta inclinata verso destra.



Non si sa che fine abbiano fatto tutte le altre cartoline di Matilde che, sicuramente, scriveva con la stessa regolarità di Mario. Lei raccolse solo quelle del fidanzato, nel suo album, è possibile che le sue siano disperse tra i discendenti, oppure che lei non le abbia conservate.



Come in ogni fidanzamento dabbene, il giovane Mario era molto rispettoso della sua promessa. Le cartoline venivano presumibilmente passate sotto la censura dei genitori, e quindi si doveva stare ben attenti al tono e alla forma.

Molte delle fotografie sono delicate, a tema floreale, oppure paesaggi acquerellati, fotografie di bambini che giocano, le frasi caste e irreprensibili.


Molte, invece, sono delle vere e scenette a puntate, scenette romantiche ma a volte allusive, addirittura maliziose, giovani fanciulle un po’ discinte, coppiette che si baciano in mezzo all’erba, gagliardi giovanotti che sussurrano infuocate parole d'amore: non sappiamo cosa ne pensassero i genitori, il messaggio doveva essere leggermente ambiguo se non sconveniente: è anche vero che i due fidanzati non erano proprio giovanissimi, probabilmente i genitori facevano finta di nulla.


Ma, cosa ancora più maliziosa, il giovanotto le scriveva frasi segrete, ardenti dichiarazioni d’amore, accuratamente scritte in grafia piccolissima, a matita, con pazienza certosina, e nascoste sotto grandi francobolli.


Nella frase ufficiale il giovanotto si teneva a rispettosa distanza, chiamandola signorina e mandandole cari saluti, almeno nei primi tempi. Ma la giovane Matilde sapeva che, grattando via il francobollo, quasi sempre avrebbe trovato una frase segreta in cui Mario le parlava in maniera più confidenziale , le giurava eterno amore e le prometteva baci ardenti appena si fossero rivisti. In quasi tutti i cartoncini il francobollo è grattato via, anche quando sotto non c’era niente.


Alcune volte ci si stupisce come nessuno abbia capito che, sotto quegli enormi francobolli che occupano mezza cartolina, c’era scritto ben altro, per esempio qui


“Mia adorata,
ricevuta lettera, attendo con ansia la giornata di domenica per poter venire da te. Oggi 1 maggio non sono più smontato di servizio, spero domani. Approvo quanto dici per la licenza e seguirò tuo consiglio. Tanti bacioni e saluti a Giulia.”

In questa cartolina ufficialmente le scrive: “Tanti affettuosi e cari...da chi costantemente ti pensa"


e poi, sotto il francobollo:

“ Mia adorata,
sto facendo di tutto per venire giovedì costà, spero dall’1 alle 7 e mezzo, tu dal canto tuo fa il possibile per poterci trovare insieme, tanti bacioni, Mario tuo” .


Probabilmente si incontravano in segreto, visto che l'appuntamento viene dato in questo modo. Questa ipotesi è suffragata da altri messaggi, come questo:


“Mia adorata,

come dicevoti in altra mia inviatati ieri, tutto procede bene e nulla s’è venuto a sapere circa mia scappatina ed augoromi nulla si sappia mai. Stamane ricevuta tua sempre più affettuosa. Grazie, mille volte grazie. Appena potrò risponderoti essendo occupato con la paga. Voglimi sempre bene come lo voglio io.”


Mario, giovanotto colto, amante della poesia, le scrive in francese :

“Mon Pensés, tout mon coeur, toujours Mario” ottobre 1906, oppure

"Mon amour pour toi est trés grand…immense…beaucoup de baisirs”

“Toujours affectuoses pensés e baises”, datata 14 gennaio 1908, e sotto il francobollo

“ Pensoti costantemente, amoti ogni giorno più fino all’adorazione invio…. "


Oppure poesie di sua creazione, come questa, datata 28 luglio 1906:


A l’enfante du mon coeur:

“Vien di lontano una gentil figura
Dal portamento nobile, elegante,
tanto bella alla vita ed al sembiante
quale non vidi mai altra creatura.

Vieppiù s’appressa, ed io resto incantato!
Appaiono distinti, più spiccati
Gli occhi neri e profondi, circondati
Da folte ciglia; il naso profilato.

Le labbra rosse rosse, coralline
Che aperte alquanto lascian travedere
I bianchi denti, quasi perle vedere;
il mento ben tornito; gote divine,

E dal guardo ch’è angelico e severo,
tanta modestia ed onestà traspare,
che non si può restar dall’esclamare:
è costei figlia del celeste Impero?!

Sono poesie un po’ retoriche, dalle frasi barocche, ridondanti, che ai nostri orecchi suonano anche difficili da recitare. Ma era lo stile dell’epoca, d’altra parte anche le cartoline risentivano di questo romanticismo teatrale, un po’ enfatico.

Nell’agosto- settembre del 1907 Matilde si trasferisce qualche mese a Roma, non sappiamo perché, presso la famiglia Foglietti, al numero 3, all’interno 8 di Piazza Cavour per poi tornare, qualche tempo dopo, a casa. Le due famiglie dovevano avere conoscenze in comune oppure frequentarsi, perché Mario più volte manda i saluti alla famiglia Foglietti, ad uno zio, oltre che alla sorella Giulia.


2 settembre 1907
“Adorata, ricevuta lettera, grazie, martedì sera risponderò. Porgi per me infiniti auguri Giulia e saluti famiglia Foglietti. Pensoti sempre. Adoroti. Abbiti tutti i miei baci i più affettuosi ardenti.”


In quegli stessi giorni scrive anche una lettera, sicuramente di nascosto, perché sotto il francobollo, il 19 dello stesso mese:

“Ricevuta lettera, arriverà mia inviatati già a Velletri. Ancora occupato altri arresti, scriverò appena libero.”

Nel dicembre Matilde è di ritorno a casa.

2 dicembre 1907:
“Causa caduta bicicletta impossibilitato risponderti. Spero domani, essendo cosa poco….”

Altre volte approfitta dello spazio segreto anche per inviarle frasi come questa, un po’ meno romantiche:
“Adorata, trovomi qui per passare visita medica, mio pensiero sempre a te, bacioti "


Nel 1907 le scrive, ad esempio, delle sue indagini su un omicidio:
“ Adorata,
stamane finalmente arrestato fratricida, tenente soddisfattissimo, io ancora di più, forse avrò encomio, domani scrivo, bacioni”


Verso fine del 1908 le arrivano una serie di cartoline una più appassionata dell’altra:
Se la tua Bocca attira i baci! Eternamente Uniti! Adorata!
Mio Tutto! I tuoi occhi parlano! Cuor mio! Fedele per la vita! Luce degli occhi miei! Anima Mia!



14 aprile 1908

“Adorata
Ricevuta lettera e gradito immensamente pensiero ben oltremodo accetto, ottimo sotto ogni rapporto. Impossibilitato rispondenti fino ad oggi perché occupatissimo. Domani senza fallo scriverò. Abbiti intanto infiniti ringraziamenti di tutto e ardentissimi da Mario tuo.”


Questa arrivò poco prima del Natale 1908, il 22 dicembre, insolitamente lunga, in cui alterna frasi romantiche e descrizioni più pragmatiche dei suoi acciacchi:



“Adorata Matilde,

Per quanto abbia fatto, non mi è stato possibile nella visita di stamane di farmi mettere in uscita oggi, come ti dicevo nella mia di ieri, ma il capitano mi ha assicurato domani. Quindi, come potrai leggere nell’acclusa per mamma, che pregoti metterla in una busta, al tocco delle 2 sarò costà, senza che ti preavvisi ancora.

Non ne vedo il momento di rientrare alla stazione di Velletri, per stringerti tra queste braccia che tanto ti desiderano. Siccome ieri stetti in piedi tutto il giorno e mi sforzai un po’ , il piede ieri sera era alquanto gonfio, ma stamane alla vista si trovava nuovamente allo stadio normale.

E’ stato anche per questo che non ho insistito col capitano per farmi mettere fuori. Oggi però non mi alzerò affatto, così lo terrò riposato per lo strapazzo di domani e posdomani.

Non dubitare che userò tutte le precauzioni, e sto per fermare l’agonia dei patimenti.

Baciandoti con tutto l’affetto tante tante volte sulla bocca, adorata , ti stringe al cuore il tuo per la vita Mario che t’adora.”


Possiamo solo immaginare l'emozione di questi incontri, lui che rientrava alla Stazione di Velletri e lei, probabilmente, lì ad aspettarlo, trepidante ed emozionata, dopo settimane di impaziente attesa, passate a leggere e rileggere le sue lettere appassionate e le sue frasi d'amore, desiderando solo di sentirle dalla sua voce.

Verso la fine del carteggio le sue frasi cominciano ad essere più sfacciate, anche nella parte leggibile a tutti.


"Sempre costante, infinito ti sia il mio affetto, sempre ardenti appassionati ti giungano i miei baci"


"Adorata

giunto stamani Montesicuro benissimo, domani andrò Ancona e scriverotti quando sarò possibilmente di ritorno. Pensoti sempre, augoromi da te eguale. Saluta zio.
Tuo per la Vita, Mario"


In questa cartolina del 24 aprile 1909, una delle ultime, lui le scrive:
“Adorata,
Vivo angustiatissimo perchè lontano da te. Anelo solamente rivederti, baciarti.
Tuo per la vita, Mario che t’adora.
P.s. Saluta zio”


Le cartoline si interrompono qui, ma non la loro storia, ovviamente.

Il resto del racconto alla prossima...

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