Visualizzazione post con etichetta orto. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta orto. Mostra tutti i post

domenica 28 febbraio 2021

Maestro febbraio (La buccia e il nocciolo)

Ha chiuso la parentesi, tonda come i giorni che ha portato, ventotto in tutto, da lunedì a domenica, lasciando che per altri ventotto sia replicato identico anche marzo.
È stato un febbraio terminato in "bellezza", travestito da aprile, grazie a un'espressione da meteorologi che mi piace moltissimo: è l'anticiclone a "proteggerci", a mettere al riparo.
Lo fa tuttora, in queste giornate che pian piano si allungano e regalano un cielo terso, ottimo per stare all'aperto, per curare il giardino. Lo faccio appena posso, apprezzando la fatica, l'esercizio, l'ordine creato, soprattutto il silenzio.
Il silenzio. Con la pandemia credo di aver acquisito una sorta di iper-sensibilità al baccano, alle chiacchiere inutili, al rumore di fondo che a volte somiglia a un brusio petulante, noioso quanto il ronzio delle mosche in volo, delle zanzare quando si avvicinano all'orecchio, altre invece al frastuono del legno che si squarcia, al clangore del colpo sul bidone di metallo.
Non sono mai stato tipo da fioretti o digiuno, ma un buon proposito per la quaresima appena iniziata potrebbe essere quello di parlare io stesso meno, di dare più peso a quanto detto.
La scrittura, in questo, è uno straordinario maestro.
Costringendoci a scegliere sillaba per sillaba, permettendoci di cancellare e di tornare indietro, elimina molte impurità e buona parte delle buccia, lasciando quasi sempre polpa e nocciolo.

P.S. Forse per questo e non per caso possiamo dire che, del pensiero, la scrittura è il frutto.

mercoledì 11 novembre 2020

L'estate di San Martino (La natura che aggiusta)

Al mio compleanno, da che sono nato, segue il giorno che nella tradizione contadina si dedicava al trasloco, con i lavoratori stagionali che lasciavano la cascina, la casa padronale, con la natura entrata a riposo e poche braccia necessarie a mandare avanti tutto.
È per una coincidenza che in questa data mi sia trovato ad entrare nei locali dove tuttora abito, e oggi, quarantotto anni dopo, riscopra pienamente il contatto con la terra, il gusto di mettere fisicamente mano all'erba, alle piante, al giardino.
Un piacere che in parte ha sostituito quello della lettura, l'unica esperienza che fino ad ora mi permetteva di distrarmi da tutto, di rilassarmi, di riparare, di "aggiustarmi", in qualche modo, entrando e vivendo un altro mondo.
Non so se durerà, se il desiderio irrefrenabile di accantonare tutto e di prendermi cura del prato, dell'orto, delle aiuole, del bosco, sentendomi con la natura un essere unico, durerà a lungo, se sarà un fuoco di paglia o goccia che scava la roccia, che cambia non soltanto l'esterno di casa oppure l'essenza di ciò che sono, dentro.
Faccio pochi calcoli, come ho scritto ieri, "vivo l'attimo", avvertendo tuttavia il germoglio di un cambiamento profondo e intravedendo all'orizzonte il desiderio di essere un uomo diverso, con differenti obiettivi, priorità, la volontà di rifuggire l'ansia, lo stress, togliendo dal piedistallo la carriera, la posizione, il denaro, il comando, entrando più in armonia con il mondo, assecondando la ruota che gira, da sempre, sentendomi parte di un tutto.
Sono sulla soglia di quella stagione di vita tra estate ed autunno. Sto diventando vecchio.
Mi fa un poco paura, ma non mi dispiace affatto.

P.S. L'undici novembre ricorda San Martino, santo guerriero, famoso per avere diviso il mantello con chi aveva freddo. In quel mantello diviso io vedo tuttora un simbolo, il segno del materiale che non può, non deve essere fonte di divisione, piuttosto deve essere diviso, poiché esiste qualcosa di più grande, importante, essenziale, buono. Uno scrupolo attuale oggi, in questo tempo in cui sempre più il denaro rischia di diventare la misura di tutto. Il contatto con la natura insegna pure questo: a mettere in giusta scala il valore del possesso, dell'armonia, del tempo, dei fini, del mezzo.

mercoledì 23 ottobre 2019

La nonna bambina (Prima che sia tardi)


"I filari di pomodori sono pronti, così pure i cespi di lattuga, le piantine di basilico, il rosmarino.
La cicoria no, verrà piantata nel fine settimana prossimo venturo.
Vangare l'orto è stato il regalo per la festa della mamma che ho fatto a mia madre. Venti metri quadri di giardino fuori casa che lei, con puntiglio e senza eccessivo entusiasmo, coltiva ogni anno.
La osservavo domenica, alle prese con le erbacce, zappino in mano, distratta per qualche ora dagli acciacchi e dalle malinconie dell'età, mentre pensavo che ci sono feste più ingiuste di altre, poiché figli lo siamo tutti, mentre madri alcune donne non lo diventano, chi per scelta, chi per un capriccio del destino, chi per disgrazia".

Ho ripescato queste parole scritte a maggio di quattro anni fa e sparite, dimenticate in un anfratto da talpa di questa prateria tecnologica.
Mi fanno tenerezza, specie quando descrivono mia madre, la cui età per me s'è fermata in una data indefinita di venti o trent'anni fa.
Lei nel frattempo è invecchiata, io non me ne rendo conto, osservandola settimana dopo settimana e non cogliendo quelle differenze che, ne sono certo, mi impressionerebbero se guardassi due sue fotografie, una scattata dieci anni fa e una ora.
Con lei sono spiccio, sbrigativo, solerte nell'invitarla all'azione, scherzandoci sopra, sostenendo che lo faccio per lei, per tenerla vispa.
La verità è che la gusto poco, resto in superficie, non mi "collego" come dovrei, affinché l'esperienza comune sia intensa, vissuta.
So che lo rimpiangerò, che prima o poi non ci sarà più o non godrà di una salute dignitosa, e me ne pentirò, mi renderò conto di tutti gli "avrei potuto" sprecati, scivolati via.
Rimediare ora, ripromettersi chissà quali cambi di rotta so che sarebbe una bugia.
Mi limito a un impegno, da qui alla prossima settimana: di starle accanto un po' di più, di non avere fretta, di guardarla con occhi di comprensione, di ascoltarla, di goderla, di abbracciarla più a lungo di quanto faccio di solito, quando la tengo tra le braccia e chiudo gli occhi e sento la pelle della sua guancia morbide attaccata alla mia, e mi pare che d'un lampo non sia più una mamma, una nonna, ma sia diventata di nuovo bambina.
Devo farlo per lei, per me e più ancora per rispetto delle persone che vorrebbero farlo con la loro e non possono più, perché il tempo ha già fatto da cesoia e non concede nessun miracolo, almeno su questa terra.

(A proposito di "nonna bambina", la vera "nonna bambina" credo sia la mamma di Fulvio e Danila, che con l'età e il male che ne contagia la mente è diventata d'una dolcezza infinita).