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domenica 2 ottobre 2022

Due libri (Buoni propositi inclusi)

“Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà.”
(San Bernardo di Chiaravalle)

Primo: stare più a contatto della natura, immerso proprio.
Secondo: farsi domande, ragionare sulle domande che chiamiamo “filosofiche” e che distinguono l’essere umano.
Sono soltanto due propositi, ma è un mondo.
Un universo, anzi, vasto e profondo, carburante sufficiente non per una stagione, bensì per un millennio, per il susseguirsi infinito delle generazioni, senza steccati a far da recinto.
Le buone intenzioni, quelle di cui si dice lastricato l'inferno e che rivolgo per primo a me stesso, sapendo che pace, serenità, felicità persino, passano dal punto esatto di quell’incrocio.

P.S. “La saggezza degli alberi” di Peter Wohlleben è un libro bellissimo, che ho appena letto e su cui tornerò, cogliendo l'infinità di spunti che ha dato..
“Il problema Spinoza” di Irvin D. Yalom mi propongo di acquistarlo e leggerlo, presto, ritagliando ore nelle tregue dal lavoro, avendo esaurito il bonus concessi dalle vacanze e che non rimpiango, come tutto ciò che è stato goduto appieno.

martedì 13 ottobre 2020

Che bestie (Non per modo di dire)

Nel bestiario a cui attingo con maggior soddisfazione e frequenza, due animali fanno la parte del leone, pur se il leone non sono: il serpente e l'elefante.

Comincio dal secondo, che evoco sovente per suggerire a me stesso e agli altri pazienza, costanza.
"Sai come si ingoia un elefante, dicono in Africa? Un boccone per volta".
Io la racconto così, con un pressapochismo che non fa onore alla mia categoria, senza aver verificato nulla, né chi l'ha detto, né se l'abbia detto, né se davvero l'hanno detto in Africa piuttosto che in Asia (dubito fortemente invece sia un proverbio della Papuasia o della Nuova Caledonia, visto che lì di elefanti non ce n'è l'ombra, nemmeno allo zoo, anche se non si sa mai).
La sostanza della frase però è verosimile ed è una senno che mi piace, mi aggrada: il rimando a non avere fretta, a badare al passo dopo passo, sapendo che così facendo si possono compiere imprese apparentemente impossibili, disperate o fuori misura.
Se ci rifletto, tutto ciò che ho combinato di grande l'ho realizzato così, "un boccone per volta", compreso questo blog, che in alcuni casi è pesante quanto un elefante, ma di vederlo così cresciuto, all'inizio, non avrei scommesso una virgola.

Il secondo animale è più sottile, anche come rimando di saggezza.
"Sai come si prende il serpente? Dalla testa".
Andare in capo alle questioni, al nocciolo dei problemi, al loro principio, ciò da cui discende tutto il resto.
Quante volte la tentazione è afferrarli dov'è più comodo, dove si fa meno fatica, sia esso il corpo o la coda. Ma così facendo si risolve poco o nulla e anzi si rischia di combinare un pasticcio, lasciando in libertà la parte più a rischio, quella velenosa, che ti si rivolta contro inesorabilmente, senza che ce se ne accorga.

P.S. Prendere il serpente dalla coda è pure quando ci illudiamo che gli strumenti, le soluzioni sulla carta, le indicazioni di principio possano cambiare un'organizzazione, migliorare le prestazioni, ottimizzare risorse e rendimenti. Non è così. Ogni cambiamento, specialmente quelli buoni, partono sempre dall'essere umano, dalla persona, dalla motivazione che ha, da come si impegna, da quanto è convinta.

mercoledì 1 gennaio 2020

2020righe (L'era della conoscenza)


Anno tondo, che per assonanza ricorda il titolo di questo diario e che si stende come una vallata, un panorama esteso quanto vario.
Lascio i buoni propositi per chi ha caparbietà di realizzarli o almeno tentare di farlo.
Confido in un mondo che migliora, sempre, pure quando non ce ne accorgiamo, e sono convinto che prima o poi finirà la predominanza del "materiale", a cui dobbiamo il benessere in cui viviamo ma che pian piano s'è trasformato in una pietra al collo.
Soldi per far soldi per far soldi. Ma i soldi finiscono sempre, non bastano mai, sono per natura limitati, mentre la natura dell'uomo - come quella del cosmo - è frutto di eccedenza, di uno sgorgare generoso e continuo.
Finirà prima o poi l'era del voler "avere", del possedere, comincerà quella del voler sapere, del conoscere: una signoria della cultura che, come indicava Gadamer, "è l'unico bene dell'umanità che, diviso tra tutti, anziché diminuire diventa più grande".
Gli strumenti li abbiamo, un livello sufficiente per la sopravvivenza altrettanto, sta a noi instillare della conoscenza, del sapere, il desiderio, prendendo spunto dalla saggezza di Antoine de Saint-Exupéry: "Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito".
Che sia dunque l'anno di un mare di conoscenza. Vasto. Infinito.

P.S. Hans Georg Gadamer è uno dei filosofi che più mi ha affascinato e di cui ricordo a memoria un aneddoto. Quando stava giungendo alla soglia del secolo di vita e gli chiesero di presenziare a non ricordo più quale evento, rispose: "No grazie, non ho più ottant'anni".

sabato 16 dicembre 2017

La porta aperta (Natale con chi puoi)


Aggiungi didascalia
Riprendo lo spirito originario di questo spazio, cercando in poche righe di riassumere i molti pensieri di un periodo professionalmente fecondo, in cui da un lato continuo ciò che avevo intrapreso due anni or sono, dall'altro sperimento nuovi programmi.
Quello principale, avviato due mesi fa, si chiama "Via Novelli Social Club" (cliccando qui uno scorcio di trasmissione, tanto per capire cos'è) ed è realizzato grazie al contributo di ragazzi delle scuole superiori e ad un gruppo straordinario di persone che compongono il Media Center dell'Eco di Bergamo e di BgTv.
Registrando in studio capita sovente di cogliere alcune intuizioni che nella mia testa poi rimbalzano e si ripropongono quali piccoli frammenti di verità o - per stare con i piedi per terra - come spunti interessanti, stralci di un possibile prontuario di atteggiamento personale.
Prendiamo ieri. In un carosello di colleghi ospitati per dare forma ad una lunga puntata da mandare in onda il pomeriggio di Natale, tra una stretta di mano, quattro chiacchiere e il campanello che di volta in volta annunciava l'arrivo di questo o di quel personaggio, mi è venuto in mente che il Natale può essere essenzialmente questo: una porta aperta.
Al di là, anzi, al di qua del significato religioso e ancor più di quanto ci abbiamo poi appiccicato addosso, dallo scambio dei regali ai pranzi e alle cene, del Natale apprezzo l'essere un'occasione di incontro, l'opportunità di vedersi, trovando e andando a trovare, bussando e accogliendo.
La porta aperta non è un dettaglio accessorio, bensì l'immagine che voglio tenere impressa in questi giorni e condividere con chi mi è accanto.

sabato 1 luglio 2017

L come Luglio (e L'ora dei lupi)

Foto by Leonora
L'ora dei lupi. Così lo chiamava Ingmar Bergman, quel preciso istante della notte in cui si tirano le somme e non si può mentire a se stessi e ci si trova soli pure se si ha qualcuno accanto, da stringere.
A nulla in quell'istante valgono fama, gloria, denaro, potere, poiché in quell'ora si rimane nudi, vestiti soltanto del buono che abbiamo saputo cucirci addosso, voce che fa eco alla propria voce, pugni che stringono frammenti.
L'ora dei lupi m'è venuta in mente in questi giorni, incrociando di sfuggita i miei figli, in quella porta girevole che diventa ogni casa quando i bimbi che erano si trasformano in ragazzi, giovani, adolescenti.
Mi somigliano tutti e tre, pur per aspetti diversi. Anch'essi, come io alla loro età, sentono il bisogno di mutare le radici in rami, di spiegare a falcate le gambe sulle quali hanno imparato a reggersi.
La loro età dell'innocenza, me ne rendo conto, sta per terminare e non lo scrivo rammaricandomene: nella vita questo ho imparato, che sono tutte stagioni, ciascuna con i suoi frutti, insieme buoni e grami.
L'unico desiderio, se posso permettermi, è quello di saperli sereni, così che non temano alcuna ora dei lupi o l'attendano persino, sperando di averli educati alla ricerca della felicità, che non è mai legata ad aspetti materiali, ma ha sempre sede dentro sé e si nutre di generosità, di apertura, di sorrisi, di comprensione, di curiosità, di passioni, di slanci.
Questo è l'augurio per loro e per tutti coloro che passano di qua e che proprio per questo considero amici: di essere felici a momenti e di voler bene a se stessi, sempre.

sabato 16 novembre 2013

Tutto scorre (God bless America)

Foto by Leonora
Leggo Erodoto e non per tirarmela. Tanto per cominciare, mi piace moltissimo e in più è un "memento homo", un ricordare che tutto è effimero, passa, ciò che è vitale per noi non conta nell'infinità dell'universo più di un battito d'ala della farfalla. Eppure per mille cose mi batto, non dormo, resto inquieto, come se caricarsi sulle spalle tutti i crucci potesse spostare di una virgola il mondo a cui appartengo o determinare in meglio o in peggio il destino. Non la forza tuttavia giova allo scopo, né l'astuzia, la potenza, il denaro. Piuttosto la conoscenza, la saggezza, la fortuna, la capacità di intuire e perseguire le cose che contano, alzando lo sguardo e rallentando, invece di tenere il naso schiacciato a terra e correre come un forsennato.
Un pro memoria personale e anche per il Paese in cui vivo, sempre più diviso, conflittuale, confuso, intimorito. Tutti tratteniamo il fiato, come sperando che alla fine tutto si risolva, i nodi si sciolgano e la vita a cui eravamo abituati torni di nuovo. E' possibile. Può darsi che si tratti di una crisi di sistema profonda ma passeggera, come ce ne sono state molte, nel 1929, nel 1974, nel 1987... Magari invece è un infarto più profondo, l'inizio di uno degli infiniti ribaltamenti negli equilibri del mondo, con la civiltà occidentale giunta al capolinea e l'alba di una nuova era, con tutte le sorprese e le incertezze del caso.
Lapidaria ed efficace in questo senso è la frase che si trova all'inizio delle Storie proprio di Erodoto: "Proseguirò la mia narrazione, trattando delle città degli uomini, senza differenza, sia piccole sia grandi. Poiché quelle che un tempo erano grandi, ora per lo più sono diventate di scarsa importanza; mentre quelle che ai tempi miei sono grandi, prima erano trascurabili. Essendo persuaso che la prosperità umana non rimane mai fissa nello stesso luogo, io ricorderò allo stesso modo sia le une sia le altre".
P.S. A questo proposito, mi ha emozionato un brano (qui il video) tratto dalla serie televisiva "The newsroom" ("La redazione") in cui un giornalista parla a un gruppo di studenti, attacca pesantamente la presunta superiorità americana e in genere occidentale, concludendo poi così: "Non c'è alcuna evidenza che siamo la più grande nazione al mondo. Siamo settimi nell'alfabetizzazione, ventisettesimi in matematica, ventiduesimi in scienze, quarantanovesimi nelle aspettative di vita, centasettantottesimi per la mortalità infantile (...). Siamo primi al mondo in tre categorie: numero di detenuti pro capite, numero di adulti che credono che esistono gli angeli e nelle spese per la difesa, dove investiamo più della somma delle spese delle 26 nazioni che ci seguono in classifica, di cui per altro 25 sono alleate(...). Certo, eravamo la più grande nazione del mondo. Difendevamo quello che era giusto, combattevamo guerre per ragioni etiche, facevamo la guerra contro la povertà, non ai poveri. Ci sacrificavamo, ci preoccupavamo dei nostri vicini, eravamo sinceri e coerenti e non ci lamentavamo. Costruivamo grandi cose, facevamo grandi progressi tecnologici, esploravamo l'universo, avevamo grandi artisti e la più grande economia del mondo. Arrivavamo alle stelle comportandoci da uomini. Aspiravamo all'intelligenza, non la disprezzavamo: non ci faceva sentire inferiori; non ci definivamo secondo chi avevamo votato e non eravamo spaventato così facilmente. Eravamo tutto ciò perché eravamo informati (...) da dei grandi giornalisti, da dei grandi uomini, uomini che erano rispettati e venerati. Il primo modo per risolvere un problema è riconoscere che c'è un problema. L'America non è più la più grande nazione al mondo".