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giovedì 23 giugno 2011

Un sacchetto per amico

È una storia strappalacrime quella che verrà raccontata oggi dalle pagine di notiziedelfuturo. Ciro (nome di fantasia) è sempre stato un bambino disadattato nella Napoli dei nostri giorni, visto che non nutre nessuna ammirazione per la squadra di calcio di De Laurentis, che non riconosce la divinità di Maradona (ma neanche di Cavani o Lavezzi), che odia i neomelodici, che adora leggere e che pensa che i camorristi non siano persone perbene. Il risultato di tali opinioni è sempre stato scontato: non ha mai avuto amici.
Sacchetti con bambino a Napoli
«Fino a poco tempo fa, ma da poco ho conosciuto Etto, che è subito diventato il mio migliore amico», ci dice con le lacrime agli occhi il piccolo Ciro.
«Etto è il diminutivo di "sacchetto", è una capiente busta nera alta più o meno quanto me (un metro e venti) che ha vita propria come in un film d'animazione di quelli che vanno al cinema, ma in questo caso la fantasia supera la realtà».
«Con Etto abbiamo un patto: io lo difendo dalla gente che vuole bruciarlo o schiacciarlo con la macchina e lui mi difende dagli altri bambini prepotenti, sputando parte del suo contenuto».
«Sono contento di avere un amico come lui, mi fa sentire meno solo, anche se ha un po' la puzza sotto il naso, visto che è colto ai limiti della saccenza (forse contiene testi universitari, visto che l'ho trovato fuori alla Federico II). Comunque, ci sa fare, anche se poi l'unica vera puzza che mi interessa è quella che emana, riuscendo così ad allontanare tutti i malintenzionati che provano ad avvicinarmi per farmi andare a comprare un po' di droga».
«Non so bene quando ho acquisito una coscienza (in tal senso, la Chiesa non si è ancora espressa), ma penso che si dovrebbe trovare il modo di addivenire ad una convivenza pacifica tra umani e rifiuti nella Regione Campania, visto che si sa benissimo che un'emergenza rifiuti che dura da tanti anni non può essere più considerata tale, per cui urge ripensare il rapporto tra cittadini, spazzatura e camorra», dichiara in uno slancio ecumenico l'eroico e lucido Etto.

martedì 21 giugno 2011

Piccole memorie di una sciacquetta - Capitolo IV

La mia migliore amica si chiamava Inga, ma tutti la chiamavano Vichinga, visto che aveva i capelli biondissimi e gli occhi azzurrissimi.
I suoi tratti somatici erano tipicamente padani, mentre i miei erano quelli di una bella e formosa adolescente magrebina, adottata all'età di 3 anni da una facoltosa famiglia del Sud Italia.
Le differenza tra noi, però, non erano limitate all'aspetto fisico: io sapevo cantare, ballare e far sparire cetrioli in posti impensabili, mentre lei era semplicemente una buona a nulla. La sua timidezza sembrava derivare dal fatto che, tra l'altro, dal giorno della sua entrata al DoppiaM al compimento del quindicesimo anno di età, la pubertà quasi non l'aveva sfiorata: era alta non più di un metro e sessanta, circostanza che la faceva assomigliare ad un'adorabile bambina vista la sua mancanza cronica di seno.
Io ero diventata sua amica per un motivo molto semplice: quando ero al suo fianco, mi sentivo una vera stella. In fondo, l'amicizia funzionava così, era il meccanismo un po' Disney de "La Bella e la Bestia", solo che in questo caso l'amore non giocava nessun ruolo. Due amiche si riflettono l'una nell'altra: una per ammirarsi, l'altra per ammirare. La frase preferita di Inga era infatti «Ma come fai ad avercele così grandi?!? Non sai quanto mi piacerebbe averle anch'io così»: esprimere tanta ammirazione per qualcosa che era stata donata da madre natura mi faceva sentire veramente bene, mi faceva pensare all'inutilità dello sforzo nella vita quotidiana per ottenere quello che si voleva.
Un giorno, mentre facevamo le ultime lezioni che fungevano da introduzione al ballo di fine corso, che ci avrebbe lanciato nella vita vera, ha iniziato ad avere le convulsioni, durate pochi secondi fino a quando si è accasciata: la diagnosi era stata "overdose da estrogeni", una sorta di suicidio, anche se doveva essere considerata una morte accidentale, dovuta all'ansia di recuperare la sua femminilità perduta o mai nata.
Alcuni giorni dopo la Madre Superiora Maria Vagina Addolorata mi prese da parte: «So che era amica tua, riponevo grandi speranze nella vostra amicizia: insieme avreste potuto conquistare il mondo. Vichinga voleva sentirsi più donna, ma si sbagliava di grosso: era questione di tempo ed avrebbe ottenuto quello che voleva. Il leader di un partito che prenderà tanti voti alle prossime elezioni le aveva messo gli occhi addosso: i suoi tratti infantili risvegliavano l'appetito sessuale di molti uomini, che cercano giovani donne dal profilo teen per evitare future accuse di pedofilia, tenendo a bada anche la propria coscienza. Il futuro era suo, se solo avesse saputo aspettare l'uomo fatto apposta per lei, il tipico che adora le biondine senza tette».


COMUNICAZIONE DI SERVIZIO

Questo è un racconto in cinque puntate, scritto nella notte del 17 giugno 2011.
Un avviso è d'obbligo: ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti o esistiti è puramente casuale.
Sarà facile trovare le varie puntate, semplicemente cercando e cliccando sulla tag piccole memorie sciacquetta.
Non sarà possibile commentare, visto che durante questi giorni sarò assente (l'ultima puntata, quella del 22 giugno, si potrà commentare).
Se ti piace quello che leggi, ti suggerisco di copiare ed incollare il link di questo pezzo (o di uno che ti è piaciuto) in un'email da mandare a persone con una sensibilità affine alla tua (alla nostra, diciamo) o semplicemente farlo girare sulle reti sociali. Ovviamente, se avvisate qualche editore, ancora meglio.
In poche parole, vorrei essere presentato a persone che forse potrebbero apprezzare le cose che scrivo.
Faccio affidamento, in particolare, sulle persone (followers e non) che mi seguono tutti i giorni in questa ennesima avventura pseudo-letteraria (chi vuole può leggere il precedente racconto in sette puntate "La solitudine dei responsabili primi", facilmente rintracciabile all'interno del blog con la tag solitudine responsabili primi).
Grazie,