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I pazzi

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Ad agosto Roma si riempie di pazzi.
O perlomeno così li chiamano. Dicono che è il caldo, oppure il fatto che quando la gente diminuisce si notano di più.
Pare che tutti li evitino, i pazzi. Che ne abbiano orrore. Che non riescano proprio a sopportare il fatto che uno se ne vada in giro parlando da solo, o indossando una maschera da sub, o ballando con due cuffiette sulle orecchie.
Non è una questione di pericolo. Né di schifo per la possibilità di beccarsi uno sputo. Niente di tutto questo. E' proprio la paura di guardarli, di ascoltare quello che dicono, di camminarci accanto.
Dev'essere la logica, che li terrorizza. Il capovolgimento delle regole che conoscono, che applicano tutti i giorni, che finiscono per diventare l'unico riferimento concreto a cui appoggiarsi. Non ci si rivolge agli sconosciuti. Non si grida. Non si ride da soli davanti a tutti, perdio. Altrimenti viene giù tutto. E se viene giù tutto per una cazzata del genere, semplicemente perché viene violata una norma non scritta così insignificante come quella che impone di mettersi due scarpe dello stesso colore, allora quel tutto che valore ha? Poco. Pochissimo. E così la vertigine diventa un baratro insopportabile e forse è meglio cambiare marciapiede altrimenti non si sa mai, chissà quante altre cose di quelle che facciamo tutti i giorni quasi senza pensarci rivelerebbero l'equilibrio precario sul quale si fondano, il niente che le legittima, il vuoto pneumatico che le sostiene. Ad agosto Roma si riempie di pazzi.
E a volte quelli che li evitano come la peste mi fanno più paura di loro.

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