Quest'anno saranno 70.
Tre classi. Nella più numerosa, ovviamente quella dei primini, Castagna avrà un'ora sola a settimana.
E 3, forse 4 insegnanti di sostegno. L'Inutile, lo Stronzo, il Terrore dei Sette Mari, di sicuro. Poi magari, se rimane un ciccinin di compassione al Buddha Manjushri, l'Impeccabile.
Un bel pacchettino mi hanno confezionato. Poi vi esplico perché me lo aspettavo. Diciamo che agli orali ho avuto una bella sorpresa, del genere candelotto di dinamite "anonimamente" recapitato nel posteriore, da parte di due esimie colleghe. Per cui mi sono presa platealmente a cornate in sede d'esame con la commissaria che, ovviamente, era la neotrasferita preside C.
E indovinate chi ha preso la reggenza quest'anno...
Eh già.
Paesino di Sogno fa la festa patronale con sagra, marcia non competitiva, orchestrine e fuochi d'artificio. Castagna ha spiegato alla Princi il motivo per cui, soprattutto assente l'Uomo, non ci può andare. Ripiegheranno, presente l'Uomo, sulla festa di Piccola Svizzera dove Punta di Diamante le ha caldamente invitate.
Il campanile barocco è sempre stupendamente lì che si staglia in cima alla collina e Castagna lo vedrà di nuovo dalla sua aula, cioè da una delle tre. Che si trovano, con assoluta coerenza, in tre diversi corridoi.
Sarà un anno molto lungo.
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lunedì 31 agosto 2015
giovedì 4 aprile 2013
L'altra faccia del mobbing
Dal Dizionario Italiano Sabatini Coletti (con un pensiero di stima allo splendido Coletti che teneva lezioni entusiasmanti sul lessico poetico di Montale e che ha portato fisicamente agli studenti Travaglio quando ancora non era "Travaglio", e la Guzzanti quando Berlusconi era da poco diventato "Berlusconi")
MOBBING Molestie, mortificazioni inflitte a un lavoratore per emarginarlo, per ostacolarne la carriera, il successo, per screditarlo; le patologie che ne derivano nelle vittime
Il mobbing, è noto, si fa a un lavoratore capace che ti sta in culo, piuttosto che a un incapace, che sicuramente si mette da solo nella condizione di attirarsi problemi e anche provvedimenti. Quindi, per definizione, il mobbing, se devi farlo a qualcuno, richiede che tu sia intelligente, sottile, attento.
Possibilmente, dovresti essere più intelligente del lavoratore cui fai mobbing. O almeno tanto quanto.
Altrimenti finisce che fai qualcosa di stupido.
E allora si verificano cose come quella di stamattina.
Per cui una solitamente sorridente e accomodante Castagna, che di recente, consapevole di avere per certe cose la coda di paglia sul lavoro, e per altre gli occhi di certi colleghi addosso, andava a lavorare con la gastrite e il senso di svenimento, stamattina invece è scesa dal letto e, senza il minimo accenno di disturbo psicosomatico, ma anzi con una bella espressione combattiva da guerriera irlandese e gli occhi pieni di vita, si è fiondata nel tuo ufficio e si è tolta diverse soddisfazioni.
Tipo ricordarti con abili e inequivocabili giri di parole i concetti di:
scelta didattica,
professionalità,
libertà di organizzare l'insegnamento in base a parametri personali all'interno del programma,
esperienza sul campo,
diritti dei lavoratori,
leggi che tutelano le persone che, pur mantenendo il posto di lavoro, hanno situazioni familiari da risolvere.
Poi (e questa era la parte che pregustavo fin da ieri pomeriggio) è andata a cercare la tua complice e compagna di intrighi Bestia Nera e le ha detto in faccia diverse cosine, usando espressioni ancora meno equivocabili però, e sentendo, oh con quanto piacere, tutti quei fastidiosi sassolini acuminati che scivolavano finalmente fuori dalla scarpa.
Perché, cara C., cara BN, quello riportato sopra è solo il SECONDO significato della parola mobbing.
Il primo è
in etologia, l'insieme dei comportamenti di minaccia esibiti dagli uccelli di fronte all'attacco di un predatore
E siccome la BN scema non lo è, brutta dentro sì ma scema, glielo riconosco, no, tra me e lei la partita si gioca esattamente dal primo settembre 2006, quando io sono entrata nella scuola, tra l'altro, preceduta da un'ottima pubblicità che a mia insaputa mi aveva fatto una collega con cui avevo lavorato prima, e la BN in pochi secondi ha capito di trovarsi di fronte a un predatore. Io, che tendo a entrare in ambienti nuovi con il massimo della disponibilità, e che comunque ero più giovane, invece ci ho messo un po' di più a capire di avere di fronte un'arrogante ducetta fondamentalista. Mi ci sono voluti, direi, tre o quattro giorni. Da allora lei fa versi, agita le ali, zampetta mimando colpi di becco, e io regolarmente in sua presenza tiro fuori tre generazioni di batusaggine genovese, non mi scosto di un millimetro, e lascio partire la piega della bocca e il sopracciglio sinistro, che vadano dove la natura li porta.
Comunque, quando si lavora con certi stronzi, e si aspetta per anni il momento giusto per reagire, si arriva addirittura a ringraziarlo, il mobbing, per le soddisfazioni che ci si possono togliere a un certo punto.
MOBBING Molestie, mortificazioni inflitte a un lavoratore per emarginarlo, per ostacolarne la carriera, il successo, per screditarlo; le patologie che ne derivano nelle vittime
Il mobbing, è noto, si fa a un lavoratore capace che ti sta in culo, piuttosto che a un incapace, che sicuramente si mette da solo nella condizione di attirarsi problemi e anche provvedimenti. Quindi, per definizione, il mobbing, se devi farlo a qualcuno, richiede che tu sia intelligente, sottile, attento.
Possibilmente, dovresti essere più intelligente del lavoratore cui fai mobbing. O almeno tanto quanto.
Altrimenti finisce che fai qualcosa di stupido.
E allora si verificano cose come quella di stamattina.
Per cui una solitamente sorridente e accomodante Castagna, che di recente, consapevole di avere per certe cose la coda di paglia sul lavoro, e per altre gli occhi di certi colleghi addosso, andava a lavorare con la gastrite e il senso di svenimento, stamattina invece è scesa dal letto e, senza il minimo accenno di disturbo psicosomatico, ma anzi con una bella espressione combattiva da guerriera irlandese e gli occhi pieni di vita, si è fiondata nel tuo ufficio e si è tolta diverse soddisfazioni.
Tipo ricordarti con abili e inequivocabili giri di parole i concetti di:
scelta didattica,
professionalità,
libertà di organizzare l'insegnamento in base a parametri personali all'interno del programma,
esperienza sul campo,
diritti dei lavoratori,
leggi che tutelano le persone che, pur mantenendo il posto di lavoro, hanno situazioni familiari da risolvere.
Poi (e questa era la parte che pregustavo fin da ieri pomeriggio) è andata a cercare la tua complice e compagna di intrighi Bestia Nera e le ha detto in faccia diverse cosine, usando espressioni ancora meno equivocabili però, e sentendo, oh con quanto piacere, tutti quei fastidiosi sassolini acuminati che scivolavano finalmente fuori dalla scarpa.
Perché, cara C., cara BN, quello riportato sopra è solo il SECONDO significato della parola mobbing.
Il primo è
in etologia, l'insieme dei comportamenti di minaccia esibiti dagli uccelli di fronte all'attacco di un predatore
E siccome la BN scema non lo è, brutta dentro sì ma scema, glielo riconosco, no, tra me e lei la partita si gioca esattamente dal primo settembre 2006, quando io sono entrata nella scuola, tra l'altro, preceduta da un'ottima pubblicità che a mia insaputa mi aveva fatto una collega con cui avevo lavorato prima, e la BN in pochi secondi ha capito di trovarsi di fronte a un predatore. Io, che tendo a entrare in ambienti nuovi con il massimo della disponibilità, e che comunque ero più giovane, invece ci ho messo un po' di più a capire di avere di fronte un'arrogante ducetta fondamentalista. Mi ci sono voluti, direi, tre o quattro giorni. Da allora lei fa versi, agita le ali, zampetta mimando colpi di becco, e io regolarmente in sua presenza tiro fuori tre generazioni di batusaggine genovese, non mi scosto di un millimetro, e lascio partire la piega della bocca e il sopracciglio sinistro, che vadano dove la natura li porta.
Comunque, quando si lavora con certi stronzi, e si aspetta per anni il momento giusto per reagire, si arriva addirittura a ringraziarlo, il mobbing, per le soddisfazioni che ci si possono togliere a un certo punto.
giovedì 3 gennaio 2013
Rientrare, e come rientrare: questo è il problema
Diciamo che, scazzi in famiglia a parte, quando mi lasciano nel mio guscio sereno, fatto di nebbia, gatti e libri, io le vacanze non è che me le godo: è che proprio risucchio dalla terra le forze primordiali che rigenerano tutto il mio essere. Come una pianta: immobile come una pianta, verde come una pianta, piena di ossigeno come una pianta.
Quest'anno, in tal senso, è andata proprio bene.
Il marito non ha rotto nemmeno le balle per andare da qualche parte, e soprattutto con qualcuno, per fare il Capodanno. Cenetta noi due, di produzione casalinga, e, con mio sommo trionfo, ha anche incontrato nel pomeriggio non uno ma due tizi di sesso maschile che, avendo invece in programma la serata da amici o in un locale, alla frase "Ce ne stiamo io e lei, ci siamo preparati una cenetta a casa", hanno risposto ammirati: "Che figata!". Questa per me è stata una rivincita notevole: non so se avete presente la guerra senza quartiere che io conduco da 36 anni nei confronti del Capodanno. In effetti, se devo considerare quante volte nella mia vita mi sono divertita la sera del 31 dicembre, il conto è rapido: due. Una volta avevo 14 o 15 anni (tennis club in campagna) e l'altra 18 (serata galeotta a Recco, l'unico Capodanno in cui ho fatto le SETTE di mattina). Finito.
In questi giorni ho goduto della vita che amo fare quando posso starmene un po' a casa: dormite, letture, bucati, non troppo Internet, tanto studio, coccole, decluttering, maglia, buon cinema in dvd...
Con l'ottima aggiunta del fatto che praticamente io e l'Uomo siamo stati inseparabili, e anche avere il tempo per questo, a casa mia, è una bella novità.
A pochi giorni dal rientro al lavoro, esamino la situazione con una certa agitazione. Come dico da diverso tempo, sono un po' in crisi con la mia professione.
Anche se a correggere i temi rido e piango come davanti a un bel film, a volte.
Anche se ieri sera nel film "Cose dell'altro mondo" (che vi consiglio fortemente: Mastandrea, sono giunta a concludere ultimamente, è fico dentro, fuori, intorno, attraverso, per di su e per di giù, è TROPPO bravo) la Lodovini, che fa la parte di una maestra, camminava per la strada con tre alunni e per scherzo tirava su il cappuccio del giaccone a due di loro, e a me veniva tenerezza, perchè lo faccio sempre anche io.
Anche se, in caso di fine del mondo, a me sarebbe andato benissimo che il meteorite dei Maya, l'implosione del pianeta, o quel che doveva essere, fosse capitato mentre io ero in aula computer con la mia ingestibile e meravigliosa II A.
Però ci sono diverse cose che non vanno e non mi riferisco solo alla gigantesca pila di roba che ancora aspetta la mia penna rossa in cameretta. Quella, com'è come non è, sappiamo che io in qualche modo me la gestisco, ogni volta. Ma io non sto lavorando bene.
Diciamo anche che nella mia scuola, ultimamente, le questioni spinose sono abbastanza precipitate verso veri e propri casini.
La Stronza di Arte è sempre più strana, strisciante, malmostosa e riottosa, specialmente da quando abbiamo definitivamente sospeso le gite scolastiche per protesta contro i tagli.
Quello Stronzo di Sostegno ha tirato su un casino disciplinare talmente complesso che non ve l'ho nemmeno raccontato, per rifarsi di anni di invidia e ripicche contro gli altri uomini abili e arruolati della scuola (significativo, direi, che se la prenda con Celhoduro e con il Gigante, invece che con il Grande Puffo che è anziano, con Orsetto Lavatore che è un mezzo prete e tutto ispira fuorchè un minimo di istinto sessuale, o con il giovane e bellissimo collega di tecnica che è perdutamente gay).
La Bestia Nera è sempre nera. Come l'inferno. La aborro così tanto che non voglio neanche parlarne.
Ma in generale negli ultimi due anni quel che poteva andare storto c'è andato, tra prof di inglese ipocondriache, prof di lettere incasinate con la salute/ la famiglia/ le proprie personali stranezze, prof di matematica sempre più chiuse nei loro famosi universi paralleli.*
[*Una precisazione. Da studentessa, ero convinta, come tutti quelli che di matematica non ci capiscono una mazza, che le prof di matematica fossero tutte pazze. Tranne la mia delle medie, per la quale mi sarei lanciata nel fuoco o giù da una rupe, su richiesta. Da insegnante, fin dal tirocinio e dal periodo come prof di sostegno, ho incontrato un secco 93 per cento di professoresse di matematica che erano al tempo stesso persone normali, in gamba, brave a spiegare, simpatiche e abbastanza umane coi ragazzi. Diciamolo, che essendo alle medie erano quasi tutte laureate in biologia e non in matematica pura. Però in genere io sono famosa per andare d'accordissimo con le mie colleghe di Scienze MFN e fare progetti a quattro mani con reciproca soddisfazione. Addirittura, la temutissima collega della sezione A di ScuolaFica dei QuartieriAlti, un metro e quarantacinque di generalissimo che terrorizzava interi corridoi con un solo sguardo, quando è finita la mia supplenza si è messa a piangere. Vero è che avevo 30 anni e bene come quell'anno forse non ho mai lavorato nè prima nè dopo. Comunque, di matematica da noi ce ne sono tre: la Compagna Collega, la cui frase archetipica è "A me di queste cose non me ne frega un cazzo", la collega F. che io molto amo e stimo ma che è pericolosa come Andreotti perchè, essendo una colonna portante dell'istruzione della Valle, può fare esattamente quel che vuole, quando vuole, come vuole e senza parere, e la Brava Crista che è quanto di più corretto e gradevole si possa chiedere come collega. Però ecco, due su tre, recentemente, sono proprio partite per un loro mondo, beate loro.]
Quindi non so. Se penso alla scuola, vedo come una carta tematica tutta colorata: nella pianta dell'edificio ci sono parti colorate in rosa pesca, in rosso sangue, in blu elettrico, in verde acido, in giallo sole, in marrone fangoso. Sono rosa pesca l'aula di II A, il parcheggio dal quale guardo i ragazzi scendere dai pullmini, l'aula computer. La III C tende al fango, con qualche sprazzo giallo di entusiasmo purtroppo passeggero. Gli altri colori indicano le zone ad alto rischio di ansia, collisione, conflitto o semplice fatica bruta. Anche lo stanzino del caffè, apparentemente luminoso e caldo, può contenere insidiose voragini piene di spine. Quindi io entro e, per arrivare alla porta della II A, che è dove io realmente voglio andare quando mi sveglio la mattina, passo attraverso tutte queste zone di altri pericolosi colori. Una volta vorrei avere addosso un apparecchietto di quelli che registrano il tracciato cardiaco, per vedere le alterazioni dei tratti del mio elettrocardiogramma durante i pochi passi dalla porta principale alla fine del corridoio est.
In conclusione, dato che il mio lavoro è vedere il picco di intelligenza pura negli occhi di Winnie Pooh, ma anche correggere montagne di errori di italiano di Muy Lejos; spiegare Dante o Petrarca in un silenzio da cattedrale, ma anche scuotere continuamente le coscienze dei miei ragazzi di terza così impenetrabili; riempire lavagne di collegamenti linguistici e storici ma anche scrivere noiose relazioni, programmazioni etc; avere a che fare con giovani anime piene di domande e di emozioni ma anche con vecchie e intristite bigotte, eminenze grigie, pazze paranoiche, umorali dedite allo sbalzo d'umore vertiginoso (me inclusa) e sfiduciati nullafacenti (per tacere di vipere, ragni velenosi, tenie, vibrioni del colera e altre forme di vita che annovero tra i miei colleghi): devo trovare un modo nuovo, un sistema nuovo. Sono anni che lo dico. Ci devo arrivare.
Quest'anno, in tal senso, è andata proprio bene.
Il marito non ha rotto nemmeno le balle per andare da qualche parte, e soprattutto con qualcuno, per fare il Capodanno. Cenetta noi due, di produzione casalinga, e, con mio sommo trionfo, ha anche incontrato nel pomeriggio non uno ma due tizi di sesso maschile che, avendo invece in programma la serata da amici o in un locale, alla frase "Ce ne stiamo io e lei, ci siamo preparati una cenetta a casa", hanno risposto ammirati: "Che figata!". Questa per me è stata una rivincita notevole: non so se avete presente la guerra senza quartiere che io conduco da 36 anni nei confronti del Capodanno. In effetti, se devo considerare quante volte nella mia vita mi sono divertita la sera del 31 dicembre, il conto è rapido: due. Una volta avevo 14 o 15 anni (tennis club in campagna) e l'altra 18 (serata galeotta a Recco, l'unico Capodanno in cui ho fatto le SETTE di mattina). Finito.
In questi giorni ho goduto della vita che amo fare quando posso starmene un po' a casa: dormite, letture, bucati, non troppo Internet, tanto studio, coccole, decluttering, maglia, buon cinema in dvd...
Con l'ottima aggiunta del fatto che praticamente io e l'Uomo siamo stati inseparabili, e anche avere il tempo per questo, a casa mia, è una bella novità.
A pochi giorni dal rientro al lavoro, esamino la situazione con una certa agitazione. Come dico da diverso tempo, sono un po' in crisi con la mia professione.
Anche se a correggere i temi rido e piango come davanti a un bel film, a volte.
Anche se ieri sera nel film "Cose dell'altro mondo" (che vi consiglio fortemente: Mastandrea, sono giunta a concludere ultimamente, è fico dentro, fuori, intorno, attraverso, per di su e per di giù, è TROPPO bravo) la Lodovini, che fa la parte di una maestra, camminava per la strada con tre alunni e per scherzo tirava su il cappuccio del giaccone a due di loro, e a me veniva tenerezza, perchè lo faccio sempre anche io.
Anche se, in caso di fine del mondo, a me sarebbe andato benissimo che il meteorite dei Maya, l'implosione del pianeta, o quel che doveva essere, fosse capitato mentre io ero in aula computer con la mia ingestibile e meravigliosa II A.
Però ci sono diverse cose che non vanno e non mi riferisco solo alla gigantesca pila di roba che ancora aspetta la mia penna rossa in cameretta. Quella, com'è come non è, sappiamo che io in qualche modo me la gestisco, ogni volta. Ma io non sto lavorando bene.
Diciamo anche che nella mia scuola, ultimamente, le questioni spinose sono abbastanza precipitate verso veri e propri casini.
La Stronza di Arte è sempre più strana, strisciante, malmostosa e riottosa, specialmente da quando abbiamo definitivamente sospeso le gite scolastiche per protesta contro i tagli.
Quello Stronzo di Sostegno ha tirato su un casino disciplinare talmente complesso che non ve l'ho nemmeno raccontato, per rifarsi di anni di invidia e ripicche contro gli altri uomini abili e arruolati della scuola (significativo, direi, che se la prenda con Celhoduro e con il Gigante, invece che con il Grande Puffo che è anziano, con Orsetto Lavatore che è un mezzo prete e tutto ispira fuorchè un minimo di istinto sessuale, o con il giovane e bellissimo collega di tecnica che è perdutamente gay).
La Bestia Nera è sempre nera. Come l'inferno. La aborro così tanto che non voglio neanche parlarne.
Ma in generale negli ultimi due anni quel che poteva andare storto c'è andato, tra prof di inglese ipocondriache, prof di lettere incasinate con la salute/ la famiglia/ le proprie personali stranezze, prof di matematica sempre più chiuse nei loro famosi universi paralleli.*
[*Una precisazione. Da studentessa, ero convinta, come tutti quelli che di matematica non ci capiscono una mazza, che le prof di matematica fossero tutte pazze. Tranne la mia delle medie, per la quale mi sarei lanciata nel fuoco o giù da una rupe, su richiesta. Da insegnante, fin dal tirocinio e dal periodo come prof di sostegno, ho incontrato un secco 93 per cento di professoresse di matematica che erano al tempo stesso persone normali, in gamba, brave a spiegare, simpatiche e abbastanza umane coi ragazzi. Diciamolo, che essendo alle medie erano quasi tutte laureate in biologia e non in matematica pura. Però in genere io sono famosa per andare d'accordissimo con le mie colleghe di Scienze MFN e fare progetti a quattro mani con reciproca soddisfazione. Addirittura, la temutissima collega della sezione A di ScuolaFica dei QuartieriAlti, un metro e quarantacinque di generalissimo che terrorizzava interi corridoi con un solo sguardo, quando è finita la mia supplenza si è messa a piangere. Vero è che avevo 30 anni e bene come quell'anno forse non ho mai lavorato nè prima nè dopo. Comunque, di matematica da noi ce ne sono tre: la Compagna Collega, la cui frase archetipica è "A me di queste cose non me ne frega un cazzo", la collega F. che io molto amo e stimo ma che è pericolosa come Andreotti perchè, essendo una colonna portante dell'istruzione della Valle, può fare esattamente quel che vuole, quando vuole, come vuole e senza parere, e la Brava Crista che è quanto di più corretto e gradevole si possa chiedere come collega. Però ecco, due su tre, recentemente, sono proprio partite per un loro mondo, beate loro.]
Quindi non so. Se penso alla scuola, vedo come una carta tematica tutta colorata: nella pianta dell'edificio ci sono parti colorate in rosa pesca, in rosso sangue, in blu elettrico, in verde acido, in giallo sole, in marrone fangoso. Sono rosa pesca l'aula di II A, il parcheggio dal quale guardo i ragazzi scendere dai pullmini, l'aula computer. La III C tende al fango, con qualche sprazzo giallo di entusiasmo purtroppo passeggero. Gli altri colori indicano le zone ad alto rischio di ansia, collisione, conflitto o semplice fatica bruta. Anche lo stanzino del caffè, apparentemente luminoso e caldo, può contenere insidiose voragini piene di spine. Quindi io entro e, per arrivare alla porta della II A, che è dove io realmente voglio andare quando mi sveglio la mattina, passo attraverso tutte queste zone di altri pericolosi colori. Una volta vorrei avere addosso un apparecchietto di quelli che registrano il tracciato cardiaco, per vedere le alterazioni dei tratti del mio elettrocardiogramma durante i pochi passi dalla porta principale alla fine del corridoio est.
In conclusione, dato che il mio lavoro è vedere il picco di intelligenza pura negli occhi di Winnie Pooh, ma anche correggere montagne di errori di italiano di Muy Lejos; spiegare Dante o Petrarca in un silenzio da cattedrale, ma anche scuotere continuamente le coscienze dei miei ragazzi di terza così impenetrabili; riempire lavagne di collegamenti linguistici e storici ma anche scrivere noiose relazioni, programmazioni etc; avere a che fare con giovani anime piene di domande e di emozioni ma anche con vecchie e intristite bigotte, eminenze grigie, pazze paranoiche, umorali dedite allo sbalzo d'umore vertiginoso (me inclusa) e sfiduciati nullafacenti (per tacere di vipere, ragni velenosi, tenie, vibrioni del colera e altre forme di vita che annovero tra i miei colleghi): devo trovare un modo nuovo, un sistema nuovo. Sono anni che lo dico. Ci devo arrivare.
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martedì 4 dicembre 2012
Begli incontri
Psicologa del consultorio: “Quindi, noi strutturiamo il lavoro in due incontri, il primo lo faccio io da sola ed ha una durata di un’ora e mezza, massimo due. Voi che orario fate?”
Castagna: “Otto - tredici e trenta.”
PdC: “In ore di sessanta minuti?”
Castagna (con sopracciglio divertito): “No, di cinquantacinque. Quindi sono sei unità orarie al mattino, perciò, se sono tre terze potrebbe fare due ore, due ore e due ore.”
PdC (seccata): “Beh no, un momento, tutte nella stessa mattina?”
Castagna: “Ah non so, io lo dicevo per lei, visto che mi dice che non avete molta disponibilità per spostarvi dall‘ASL, almeno così riducevate le uscite.”
PdC (sostenuta): “E però insomma, sono sei ore, voglio dire, seguire dei lavori di gruppo, no, io penso anche alla nostra salute mentale. No no, bisogna che io faccia due classi una mattina e la terza un altro giorno.”
Primo piano di Castagna (occhi verdi fissi sulla psicologa, con palpebra immobile)
PdC: “Vediamo la disponibilità sulle singole classi, per prevedere i giorni utili.”
Il Troll: “Sì, guardi, per facilitare le cose e non dover fare tanti scambi d‘ora coi colleghi, io per esempio con la III B ho tre ore di seguito il giovedì. O altrimenti, ho le prime due al martedì.”
PdC: “Ah però io alle otto non posso esserci, perché noi comunque dobbiamo prima passare di qui, comunque.”
Castagna (rivolge un pensiero all’incubo dell’ora di timbratura del cartellino che ha condiviso con sua madre, dipendente ASL, per diciassette anni, e infatti tace e guarda il tavolo)
Bionda Svampita: “Ah quindi lei dice magari meglio partire dalle nove? Bene, allora guardi, nella III A io il mercoledì ho le ultime due ore, se magari…” (e forse voleva dire qualcosa sul fatto di fare prima le ore dal Troll o da Castagna e passare in coda nella sua classe, ma non ci arriva)
PdC (espressione crucciata): “Mm. Sì… ma magari le ultime due ore, i ragazzi, voglio dire, l’attenzione potrebbe essere minore…”
Castagna (incolla gli occhi alla faccia della psicologa, palpebra fissa, sopracciglia in posizioni acrobatiche, labbra strette a fessura, ostilità visibile in tutto l’atteggiamento del corpo, e, mentre mentalmente ripassa i molti colloqui con psicologi, psicoanalisti e psicoterapeuti della sua esistenza, gioisce con ferocia di sapere che la psicologa, per mestiere, sa perfettamente cosa lei stia trasmettendo in questo momento. Le pare quasi di vedere le lettere luminose e colorate che si disegnano in stampatello nell’aria sopra il tavolo: M, A, V, A, I, A, F,,,)
Ma forse non dovevo essere così negativa. Quanto meno, costei non sarà una di quelli che sostengono che fare lezione agli adolescenti per un’intera mattinata non è un vero lavoro.
Oh, sì, in effetti questo proprio mi consola.
Castagna: “Otto - tredici e trenta.”
PdC: “In ore di sessanta minuti?”
Castagna (con sopracciglio divertito): “No, di cinquantacinque. Quindi sono sei unità orarie al mattino, perciò, se sono tre terze potrebbe fare due ore, due ore e due ore.”
PdC (seccata): “Beh no, un momento, tutte nella stessa mattina?”
Castagna: “Ah non so, io lo dicevo per lei, visto che mi dice che non avete molta disponibilità per spostarvi dall‘ASL, almeno così riducevate le uscite.”
PdC (sostenuta): “E però insomma, sono sei ore, voglio dire, seguire dei lavori di gruppo, no, io penso anche alla nostra salute mentale. No no, bisogna che io faccia due classi una mattina e la terza un altro giorno.”
Primo piano di Castagna (occhi verdi fissi sulla psicologa, con palpebra immobile)
PdC: “Vediamo la disponibilità sulle singole classi, per prevedere i giorni utili.”
Il Troll: “Sì, guardi, per facilitare le cose e non dover fare tanti scambi d‘ora coi colleghi, io per esempio con la III B ho tre ore di seguito il giovedì. O altrimenti, ho le prime due al martedì.”
PdC: “Ah però io alle otto non posso esserci, perché noi comunque dobbiamo prima passare di qui, comunque.”
Castagna (rivolge un pensiero all’incubo dell’ora di timbratura del cartellino che ha condiviso con sua madre, dipendente ASL, per diciassette anni, e infatti tace e guarda il tavolo)
Bionda Svampita: “Ah quindi lei dice magari meglio partire dalle nove? Bene, allora guardi, nella III A io il mercoledì ho le ultime due ore, se magari…” (e forse voleva dire qualcosa sul fatto di fare prima le ore dal Troll o da Castagna e passare in coda nella sua classe, ma non ci arriva)
PdC (espressione crucciata): “Mm. Sì… ma magari le ultime due ore, i ragazzi, voglio dire, l’attenzione potrebbe essere minore…”
Castagna (incolla gli occhi alla faccia della psicologa, palpebra fissa, sopracciglia in posizioni acrobatiche, labbra strette a fessura, ostilità visibile in tutto l’atteggiamento del corpo, e, mentre mentalmente ripassa i molti colloqui con psicologi, psicoanalisti e psicoterapeuti della sua esistenza, gioisce con ferocia di sapere che la psicologa, per mestiere, sa perfettamente cosa lei stia trasmettendo in questo momento. Le pare quasi di vedere le lettere luminose e colorate che si disegnano in stampatello nell’aria sopra il tavolo: M, A, V, A, I, A, F,,,)
Ma forse non dovevo essere così negativa. Quanto meno, costei non sarà una di quelli che sostengono che fare lezione agli adolescenti per un’intera mattinata non è un vero lavoro.
Oh, sì, in effetti questo proprio mi consola.
lunedì 12 novembre 2012
Guerra fredda. Ma neanche tanto
Se
una cosa si chiama contributo facoltativo per le spese scolastiche,
io mi rifiuto di dire ai ragazzi che DEVONO portare i soldi (tra
l'altro, da 5 euro siamo passati a 10 negli ultimi due anni). O
peggio, di dettare l'avviso con la scadenza della raccolta TOGLIENDO
APPOSITAMENTE la parola facoltativo dal testo.
Cose
che invece la Bestia Nera fa regolarmente.
Io
sono contrarissima a chiedere soldi alle famiglie per cose come
fotocopie, toner, gessetti etc.
Un
conto è far pagare la fotocopia allo stordito di turno che s'è
scordato il libro. Questo ha valore educativo, perchè i libri, che i
genitori hanno pagato, devono arrivare a scuola il giorno giusto per
essere usati, e poi evita che a inizio lezione si perdano sempre
cinque minuti buoni ad aspettare che gli storditi si
facciano fare la copia.
Invece,
quando sono incaricata di dire alle famiglie o ai ragazzi che ci
aspettiamo un aiuto, sottolineo sempre che sono a disagio nel
chiederlo, perchè in una scuola PUBBLICA le nostre necessità sono
(sarebbero, dovrebbero essere, parrebbe giusto che fossero) GIA'
pagate dalle tasse.
Comunque,
quando portano pecunia, io raccolgo. Se non portano, io non insisto.
Alla scadenza, consegno alla Bestia Nera, che, come è logico data la
sua natura luciferina, ha SEMPRE a che fare con TUTTO quello che
riguarda i marenghi, i talleri e i dobloni nella scuola, dalla mensa all'assicurazione.
Sono
caduta dal pero quando stavolta la BN ha voluto I NOMI di chi aveva versato.
Le ho fatto notare che io non me li ero nemmeno scritti, come avrei
invece fatto in caso di contributo obbligatorio (per esempio per i
soldi dell'assicurazione), perchè allora avrei dovuto chiederli e
richiederli, sincerandomi che ciascuno avesse versato il dovuto.
Poi
le ho detto che me li sarei scritti e, a raccolta finita, glieli
avrei dati. Sperando non me li domandasse più.
Quando
mi è tornata sotto, poco prima della scadenza prevista, le ho chiesto PERCHE',
se trattasi di contributo facoltativo che va ridistribuito sulla totalità dei
ragazzi, dobbiamo sapere chi ha versato e chi no: “Mica
promuoviamo o bocciamo in base a questo, no?”
“No,
però per esempio a chi li ha versati possiamo far fare le fotocopie
gratis, gli altri invece se le pagano.”
“Ma
scusa, le fotocopie, abbiamo stabilito, sono a pagamento per tutti,
infatti quelli che ne hanno bisogno se le pagano già.”
Non
ribatte.
Poi
io venerdì 9/11 (raccolta contributo facoltativo conclusasi il
giorno 31/10), sto a casa per malattia.
E
lei che fa, la brutta adoratrice di Mammona?
Sì.
Lo
fa.
Va
in terza (dove non ha materie, né coordina, né niente) e si fa dare
i nomi di chi ha versato. Che, se me li avesse chiesti a fine
raccolta, io le avrei comunque dato, pur malvolentieri.
Siccome
sono pochi, fa il mazzo per mezz'ora a tutta la classe.
Sì.
Lo
ha fatto.
E
sapete cosa dice? Che, la fotocopiatrice scordiamocela pure, ma
inoltre non avranno più accesso ai computer, alla LIM, etc etc
perchè non contribuiscono alle spese della scuola.
A
questo punto, stamattina, di fronte alle rimostranze della classe, io
spiego i due punti di vista.
Il
suo: che è un'orrenda succhiasangue di destra, che sotto sotto non
vede l'ora di lavorare in una scuola privatizzata e, possibilmente, anche di
stretta ortodossia papalina che non ce la facciamo più perchè lo
stato, il comune etc ci danno sempre meno.
Il
mio: che la mia collega è un'orrenda succhiasangue di destra che sotto sotto non vede l'ora di lavorare in una scuola privatizzata e, possibilmente, anche di stretta ortodossia papalina che il
servizio pubblico è pubblico, è vero che siamo in difficoltà, ma
finchè c'è un centesimo viene diviso tra tutti e poi, quando non ci
sarà più neanche quel centesimo, resteremo tutti senza e tu querida
presencia, comandante Che Guevara...
Giuro
sulla mia vita alla III C che, finchè io sono presente nella scuola bandiera rossa
sventolerà loro avranno esattamente tutto quello che
hanno gli altri, a parte pagarsi le fotocopie quando si scordano il
libro a casa.
E
faccio notare (ad alta voce, non lo faccio mai davanti alle classi,
ma cazzo, stavolta per farmi stare zitta ci sarebbe voluto un
elettrochoc che mi mandasse al tappeto per il resto della settimana)
che la collega è veramente in gamba a scegliere il giorno in cui io
non ci sono, per venire a fare la strategia del terrore in mezzo ai
miei studenti.
Non so. A volte, quando per un po' va tutto bene, mi dico che sono io che sono rancorosa e mi lego le cose al dito, che forse questa rivalità sotterranea costante è un parto della mia fantasia bolscevica e dei miei tragici trascorsi con il cattolicesimo. Poi no, poi vedo con chiarezza, e mi domando cosa crede di ottenere, la creatura delle tenebre, con queste sue simpatiche manovrine. Il mio trasferimento? E io invece, più fa così, più mi abbarbico, e cresco, e mi infiltro, come un cazzo di tumore comunista.
martedì 23 ottobre 2012
Le sessantaquattro arti
Posizioni assunte dalla preside sulla vexata quaestio della minorenne incinta:
1) In consiglio di classe: "Devo parlare con il consultorio, comunque mi hanno assicurato che ci mandano le psicologhe e il medico. Del resto è un bene, i ragazzi a una figura che viene da fuori possono sentirsi liberi di chiedere molte più cose."
2) Con me sola, in aula computer: "Al consultorio ieri hanno detto di parlare con le classi, tutte le classi, facendo un annuncio abbastanza asettico, cercando di non dare giudizi nè interpretazioni e dicendo che, dopo, i ragazzi avranno modo di parlare con la psicologa e l'assistente sanitaria per qualsiasi dubbio. Comunque su quando fare l'annuncio aspettiamo il loro via, ci manderanno qualcuno per preparare gli insegnanti, e comunque devono parlarne con la ragazza e la madre. Poi, in un secondo momento, ci manderanno l'intervento sui ragazzi."
3) Nel giro di una settimana, si passa a parlare di fare lezione con l'assistente sanitaria solo alle terze, data anche l'opposizione (urlata) della collega di Scienze della mia seconda e quella (sottaciuta) di altri colleghi. Poi la C. tenta di far virare l'intervento solo sulla terza direttamente coinvolta. Riesco faticosamente a convincerla (almeno apparentemente) che dato che la mia alunna, che è in III C, ha una sorellastra in III A, sarebbe bene anche estendere all'altra terza, e allora, buon peso, buttiamoci dentro anche la III B, e finito.
4) Passano alcuni giorni e io riferisco ai colleghi che vedo, che non sono certo tutti, che lei mi ha detto che dovremo dare l'annuncio nelle diverse classi, però solo dopo l'okay della psicologa che discuterà degli aspetti legati alla privacy con la madre di Occhioni e Occhioni stessa. Non succede niente per un po',e io quando vedo la preside le dico che ho riferito la procedura che ci hanno indicato, ma non a tutti, solo a quelli con cui ho potuto parlare. Lei dice: "Eh, no, sì, devo dirlo ai coordinatori, magari oggi che ci sono le riunioni per l'elezione dei rappresentanti li convoco cinque minuti prima, così ci sono tutti e lo diciamo."
5) Una bella mattina il vicepreside mi dice "La psicologa del consultorio ha detto di parlarne con le classi, oggi lo diciamo in III C, vengo anche io." (E le psicologhe che dovevano parlarne con noi prima? Non pervenute.) Lo dico ai colleghi, con alcuni dei quali si era parlato di tutelarci e deciso che dovevamo essere almeno due adulti presenti ad ogni 'annunciazione'... Cadono dal pero. La preside non ha convocato nessuno nè detto a nessuno quel che aveva detto a me. Mi ritrovo con colleghi di ogni credo, razza e colore che mi soffiano contro tipo pantere, come fosse colpa mia, io riferisco testualmente cosa mi è stato detto che lei aveva intenzione di fare, così prendiamo atto che non lo ha fatto; in quella entra il vicepreside e gli sottopongo il problema, lui dice che intanto ora lo diciamo in terza e annunciamo pure che Occhioni a novembre si ferma a casa in maternità, e allora tutti i colleghi tirano un respiro di sollievo e quella di Inglese dice: "Ah beh allora non è neanche necessario dirlo a quelli delle altre classi, se tanto se ne va a novembre." (E' lì che io perdo definitivamente la fiducia nel prossimo, e decido che farò di testa mia dove posso, e mi parerò il culo chiedendo ai genitori l'autorizzazione a parlare di argomenti relativi all'educazione all'affettività coi loro figli, cosa che peraltro ho già fatto n volte in n scuole, senza mai avere un problema. Da cui la mia decisione, puntualmente messa in pratica, di parlarne nella mia seconda non appena uno dei bambini sfiora l'argomento.)
6) Ci ritroviamo io (coordinatrice) il vicepreside (autorità) la collega di Inglese (che era lì perchè aveva l'ora di lezione) e il collega di Religione (che è un ficcanaso) a dire alla terza, che lo sapeva benissimo, che Occhioni è incinta. Il vicepreside annuncia ufficialmente che Occhioni si fermerà a casa tra qualche settimana. Io condisco il tutto dicendo loro di regolarsi con buon senso, e di essere delicati con lei, e dico anche che abbiamo preso contatti col consultorio (stessa cosa avevo detto alle pochissime madri presenti alla riunione) perchè ci aiuti un po' con del personale esperto.
7) Occhioni mi interpella e mi sottopone il problema voti e interrogazioni. Analizziamo un po' la questione. Io le ripeto (già detto a sua madre) che esiste la possibilità di continuare a seguire dopo la nascita del bambino, oppure di ritirarsi e presentarsi da privatista. Le dico che devono parlare con vicepreside e preside per informarsi su cosa possano fare e come farlo.
Questo accade venerdì. Ieri madre e figlia si presentano dalla preside, e oggi la preside mi convoca e si lamenta che io abbia detto alla bambina questa cosa. Io spiego: non ho detto che deve ritirarsi, ho solo detto che la possibilità c'è, che potrebbe considerarla visto che non sappiamo se il suo bambino sarà un angelo o un mostro che non la farà mai dormire, e di parlarne con la dirigente. La quale oggi nicchia su tutto l'universo scibile e addirittura sul fatto che la ragazza stia a casa prima del parto: essendo un'utente di un servizio e non una lavoratrice, se vuole venire può. Io le dico allora che il vicepreside ha detto ufficialmente a noi e alla classe che Occhioni si fermerà a casa, lei ripete che non ne è sicura perchè ha il dubbio che invece possa frequentare, e alla mia domanda "Dove ha preso allora quest'informazione il Gigante?" lei dice testualmente "Se l'è inventato."
In tutto questo di psicologi che vengono a scuola non si parla più, figuriamoci di ginecologhe.
Commento libero.
1) In consiglio di classe: "Devo parlare con il consultorio, comunque mi hanno assicurato che ci mandano le psicologhe e il medico. Del resto è un bene, i ragazzi a una figura che viene da fuori possono sentirsi liberi di chiedere molte più cose."
2) Con me sola, in aula computer: "Al consultorio ieri hanno detto di parlare con le classi, tutte le classi, facendo un annuncio abbastanza asettico, cercando di non dare giudizi nè interpretazioni e dicendo che, dopo, i ragazzi avranno modo di parlare con la psicologa e l'assistente sanitaria per qualsiasi dubbio. Comunque su quando fare l'annuncio aspettiamo il loro via, ci manderanno qualcuno per preparare gli insegnanti, e comunque devono parlarne con la ragazza e la madre. Poi, in un secondo momento, ci manderanno l'intervento sui ragazzi."
3) Nel giro di una settimana, si passa a parlare di fare lezione con l'assistente sanitaria solo alle terze, data anche l'opposizione (urlata) della collega di Scienze della mia seconda e quella (sottaciuta) di altri colleghi. Poi la C. tenta di far virare l'intervento solo sulla terza direttamente coinvolta. Riesco faticosamente a convincerla (almeno apparentemente) che dato che la mia alunna, che è in III C, ha una sorellastra in III A, sarebbe bene anche estendere all'altra terza, e allora, buon peso, buttiamoci dentro anche la III B, e finito.
4) Passano alcuni giorni e io riferisco ai colleghi che vedo, che non sono certo tutti, che lei mi ha detto che dovremo dare l'annuncio nelle diverse classi, però solo dopo l'okay della psicologa che discuterà degli aspetti legati alla privacy con la madre di Occhioni e Occhioni stessa. Non succede niente per un po',e io quando vedo la preside le dico che ho riferito la procedura che ci hanno indicato, ma non a tutti, solo a quelli con cui ho potuto parlare. Lei dice: "Eh, no, sì, devo dirlo ai coordinatori, magari oggi che ci sono le riunioni per l'elezione dei rappresentanti li convoco cinque minuti prima, così ci sono tutti e lo diciamo."
5) Una bella mattina il vicepreside mi dice "La psicologa del consultorio ha detto di parlarne con le classi, oggi lo diciamo in III C, vengo anche io." (E le psicologhe che dovevano parlarne con noi prima? Non pervenute.) Lo dico ai colleghi, con alcuni dei quali si era parlato di tutelarci e deciso che dovevamo essere almeno due adulti presenti ad ogni 'annunciazione'... Cadono dal pero. La preside non ha convocato nessuno nè detto a nessuno quel che aveva detto a me. Mi ritrovo con colleghi di ogni credo, razza e colore che mi soffiano contro tipo pantere, come fosse colpa mia, io riferisco testualmente cosa mi è stato detto che lei aveva intenzione di fare, così prendiamo atto che non lo ha fatto; in quella entra il vicepreside e gli sottopongo il problema, lui dice che intanto ora lo diciamo in terza e annunciamo pure che Occhioni a novembre si ferma a casa in maternità, e allora tutti i colleghi tirano un respiro di sollievo e quella di Inglese dice: "Ah beh allora non è neanche necessario dirlo a quelli delle altre classi, se tanto se ne va a novembre." (E' lì che io perdo definitivamente la fiducia nel prossimo, e decido che farò di testa mia dove posso, e mi parerò il culo chiedendo ai genitori l'autorizzazione a parlare di argomenti relativi all'educazione all'affettività coi loro figli, cosa che peraltro ho già fatto n volte in n scuole, senza mai avere un problema. Da cui la mia decisione, puntualmente messa in pratica, di parlarne nella mia seconda non appena uno dei bambini sfiora l'argomento.)
6) Ci ritroviamo io (coordinatrice) il vicepreside (autorità) la collega di Inglese (che era lì perchè aveva l'ora di lezione) e il collega di Religione (che è un ficcanaso) a dire alla terza, che lo sapeva benissimo, che Occhioni è incinta. Il vicepreside annuncia ufficialmente che Occhioni si fermerà a casa tra qualche settimana. Io condisco il tutto dicendo loro di regolarsi con buon senso, e di essere delicati con lei, e dico anche che abbiamo preso contatti col consultorio (stessa cosa avevo detto alle pochissime madri presenti alla riunione) perchè ci aiuti un po' con del personale esperto.
7) Occhioni mi interpella e mi sottopone il problema voti e interrogazioni. Analizziamo un po' la questione. Io le ripeto (già detto a sua madre) che esiste la possibilità di continuare a seguire dopo la nascita del bambino, oppure di ritirarsi e presentarsi da privatista. Le dico che devono parlare con vicepreside e preside per informarsi su cosa possano fare e come farlo.
Questo accade venerdì. Ieri madre e figlia si presentano dalla preside, e oggi la preside mi convoca e si lamenta che io abbia detto alla bambina questa cosa. Io spiego: non ho detto che deve ritirarsi, ho solo detto che la possibilità c'è, che potrebbe considerarla visto che non sappiamo se il suo bambino sarà un angelo o un mostro che non la farà mai dormire, e di parlarne con la dirigente. La quale oggi nicchia su tutto l'universo scibile e addirittura sul fatto che la ragazza stia a casa prima del parto: essendo un'utente di un servizio e non una lavoratrice, se vuole venire può. Io le dico allora che il vicepreside ha detto ufficialmente a noi e alla classe che Occhioni si fermerà a casa, lei ripete che non ne è sicura perchè ha il dubbio che invece possa frequentare, e alla mia domanda "Dove ha preso allora quest'informazione il Gigante?" lei dice testualmente "Se l'è inventato."
In tutto questo di psicologi che vengono a scuola non si parla più, figuriamoci di ginecologhe.
Commento libero.
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ahia,
facce come il culo,
fine pena mai,
poveri noi,
simpatici come l'Ebola
mercoledì 22 agosto 2012
Miscellanea meteorologica al vetriolo
Non voglio assolutamente che mi si dica qual è la temperatura PERCEPITA. Voglio fare causa a tutti i giornali, le reti tv e i siti web che osano dirmi che cosa PERCEPISCO io del caldo bastardo che fa in questi giorni.
Cazzo, c'era gente tipo Berkeley, Kant, Hegel, se non ricordo male, che BASAVA la sua filosofia sul fatto che un conto è quello che E', un conto è COME noi lo percepiamo.
E comunque, senza andare a scomodare le teorie sulla mente di filosofi e scienziati: mettiamo nella stessa stanza mio marito che sta bene, mio cugino con la tonsillite e la febbre a trentotto, la sua amica gnocca con una ciucca epocale e me con le mestruazioni, più uno scozzese prelevato a Glasgow e un tizio qualsiasi appena rientrato dallo Yemen. Secondo voi potremmo mai PERCEPIRE la stessa temperatura esterna?
Giornalisti: mavafangùl.
Inoltre.
Mia zia oggi m'ha chiamato dall'Abruzzo e si è lamentata della "terribile" escursione termica nella località dove si trova: 32 di giorno, 15 di notte.
Ora sono le 01,22, ad Asti, e io sto sudando a gocce. A gocce grosse.
Zia: mavafangùl.
Ma soprattutto. Meteorologico si scrive meteorologico, non metereologico, però i miei alunni non ci credono mai, e come per le parole aeroporto e aeroplano devo portare loro davanti il dizionario, preferibilmente etimologico, per convincerli. E i nomi alle cose si danno se hanno senso. Lo diceva bene Rodari e lo dicevano bene anche Fazio e Saviano con le parole della loro più recente trasmissione. Ci sono nomi azzeccati, a volte, sui giornali, anche se ad un attento esame non sono esatti, veritieri al 100%, ma evocativi, metaforici o veri solo in parte: pensate a primavera araba, macelleria messicana, ground zero, e altri che sono entrati nella storia, a buon diritto, come lo sono i nomi delle personalità medievali: Carlo il Calvo, Filippo il Bello, Riccardo Cuor di Leone, o di certi eventi come la primavera di Praga, la Gloriosa rivoluzione, insomma ci siamo capiti.
Invece adesso qualcuno mi spieghi che cazzo me ne fregava a me di sentir chiamare Scipione un'ondata di caldo. Che poi vorrei che quelli delle Iene facessero un sondaggio su quanti in Italia sanno oggi chi fosse Scipione, e anche esattamente cosa sia un anticiclone. Che poi era anche inesatto storicamente, avrebbe avuto più senso Annibale, Asdrubale. Ma poi abbiamo preso una piega, ma una piega. Forse proprio perchè la storia antica era troppo difficile, siamo andati a scomodare Dante. Ma povero, povero, povero Dante. Caronte. Lucifero. A casa mia si scherzava e si continuava (perchè facciamo i prof, e i prof di lettere, gran brutta razza): Farfarello, Draghignazzo...
Ma hanno superato se stessi. Perchè adesso hanno dato il nome anche all'ondata di fresco, o meglio, al calare del caldo, che è previsto tra una settimana. E come l'hanno chiamata. Povera Italia. Povero Dante. Povera me, tutti gli insegnanti di lettere e tutti gli studenti. L'han chiamata Beatrice. E scommetto che il tristo coglione che ha fatto questa bella pensata si è anche sentito fico, colto, arguto, pieno di wit, quando ha aperto la bocca per dire questa minchiata. Gesù. Che senso di fallimento, che amarezza, che trauma culturale.
E comunque, pensateci un attimo. Capisco dare il nome all'uragano, che in fondo viene una volta ogni tanto e sembra pure animato da vita propria come un essere vivente. Ma è un'americanata come solo gli americani. Scritto volutamente con la minuscola.
Se però ci mettiamo a dare i nomi ai fenomeni meteorologici come il caldo e il freddo entriamo in un tunnel di delirio senza ritorno. Allora voglio chiamare singolarmente con nomi di persona anche: ogni nebbia, ogni foschia, ogni brinata, ogni galaverna, ogni alito di vento, ogni ramata d'acqua, ogni nevicata, ogni botta d'umido... E perchè non ci mettiamo anche a battezzare ogni ciclo mestruale coi nomi, che so, delle regine di Spagna?
Queste cose mi fanno incazzare quasi quanti quelli che usano incautamente in mia presenza l'espressione "riforma Gelmini". Che è un falso storico peggio dei protocolli di Sion.
Mezze calzette di tutta Italia, in particolare quelle che non hanno continuato gli studi ma ci tengono a far vedere di essere persone di cultura: mavafangùl. Lo sapete cosa siete? CARNE DA CEPU.
(Se ve lo state chiedendo, no, non è la dieta. Ho solo molto caldo.)
Cazzo, c'era gente tipo Berkeley, Kant, Hegel, se non ricordo male, che BASAVA la sua filosofia sul fatto che un conto è quello che E', un conto è COME noi lo percepiamo.
E comunque, senza andare a scomodare le teorie sulla mente di filosofi e scienziati: mettiamo nella stessa stanza mio marito che sta bene, mio cugino con la tonsillite e la febbre a trentotto, la sua amica gnocca con una ciucca epocale e me con le mestruazioni, più uno scozzese prelevato a Glasgow e un tizio qualsiasi appena rientrato dallo Yemen. Secondo voi potremmo mai PERCEPIRE la stessa temperatura esterna?
Giornalisti: mavafangùl.
Inoltre.
Mia zia oggi m'ha chiamato dall'Abruzzo e si è lamentata della "terribile" escursione termica nella località dove si trova: 32 di giorno, 15 di notte.
Ora sono le 01,22, ad Asti, e io sto sudando a gocce. A gocce grosse.
Zia: mavafangùl.
Ma soprattutto. Meteorologico si scrive meteorologico, non metereologico, però i miei alunni non ci credono mai, e come per le parole aeroporto e aeroplano devo portare loro davanti il dizionario, preferibilmente etimologico, per convincerli. E i nomi alle cose si danno se hanno senso. Lo diceva bene Rodari e lo dicevano bene anche Fazio e Saviano con le parole della loro più recente trasmissione. Ci sono nomi azzeccati, a volte, sui giornali, anche se ad un attento esame non sono esatti, veritieri al 100%, ma evocativi, metaforici o veri solo in parte: pensate a primavera araba, macelleria messicana, ground zero, e altri che sono entrati nella storia, a buon diritto, come lo sono i nomi delle personalità medievali: Carlo il Calvo, Filippo il Bello, Riccardo Cuor di Leone, o di certi eventi come la primavera di Praga, la Gloriosa rivoluzione, insomma ci siamo capiti.
Invece adesso qualcuno mi spieghi che cazzo me ne fregava a me di sentir chiamare Scipione un'ondata di caldo. Che poi vorrei che quelli delle Iene facessero un sondaggio su quanti in Italia sanno oggi chi fosse Scipione, e anche esattamente cosa sia un anticiclone. Che poi era anche inesatto storicamente, avrebbe avuto più senso Annibale, Asdrubale. Ma poi abbiamo preso una piega, ma una piega. Forse proprio perchè la storia antica era troppo difficile, siamo andati a scomodare Dante. Ma povero, povero, povero Dante. Caronte. Lucifero. A casa mia si scherzava e si continuava (perchè facciamo i prof, e i prof di lettere, gran brutta razza): Farfarello, Draghignazzo...
Ma hanno superato se stessi. Perchè adesso hanno dato il nome anche all'ondata di fresco, o meglio, al calare del caldo, che è previsto tra una settimana. E come l'hanno chiamata. Povera Italia. Povero Dante. Povera me, tutti gli insegnanti di lettere e tutti gli studenti. L'han chiamata Beatrice. E scommetto che il tristo coglione che ha fatto questa bella pensata si è anche sentito fico, colto, arguto, pieno di wit, quando ha aperto la bocca per dire questa minchiata. Gesù. Che senso di fallimento, che amarezza, che trauma culturale.
E comunque, pensateci un attimo. Capisco dare il nome all'uragano, che in fondo viene una volta ogni tanto e sembra pure animato da vita propria come un essere vivente. Ma è un'americanata come solo gli americani. Scritto volutamente con la minuscola.
Se però ci mettiamo a dare i nomi ai fenomeni meteorologici come il caldo e il freddo entriamo in un tunnel di delirio senza ritorno. Allora voglio chiamare singolarmente con nomi di persona anche: ogni nebbia, ogni foschia, ogni brinata, ogni galaverna, ogni alito di vento, ogni ramata d'acqua, ogni nevicata, ogni botta d'umido... E perchè non ci mettiamo anche a battezzare ogni ciclo mestruale coi nomi, che so, delle regine di Spagna?
Queste cose mi fanno incazzare quasi quanti quelli che usano incautamente in mia presenza l'espressione "riforma Gelmini". Che è un falso storico peggio dei protocolli di Sion.
Mezze calzette di tutta Italia, in particolare quelle che non hanno continuato gli studi ma ci tengono a far vedere di essere persone di cultura: mavafangùl. Lo sapete cosa siete? CARNE DA CEPU.
(Se ve lo state chiedendo, no, non è la dieta. Ho solo molto caldo.)
giovedì 21 giugno 2012
Ebola
Nell'immensità del lago di cacca in cui sono piombata, e che v'ho descritto, nelle ultime settimane è emersa una certezza: c'è del marcio in Danimarca.
O meglio, mi sono accorta che proprio là dove io desideravo fortemente andare, a casa mia quella vera, a fare il mio mestiere quello vero, erano in agguato problemi non risolti cui non avevo avuto il coraggio di dare un nome.
In altre parole, andare a scuola mi causava sintomi psicosomatici sparsi. Molto chiaramente dipendeva, almeno in parte, dal fatto che io DETESTO fare il mio lavoro se non posso farlo BENE e che il mio standard di BENE è, diciamo così, eufemisticamente, altino. Altetto. Alterello. Alticchio
E' uno degli ottomila, si situa tra il K2 e l'Annapurna.
Esemplificando, oggi che cominciavano gli orali di terza media sono andata a salutare la mia classe dell'anno scorso a Scuolina Bianca di Paesino Blu, e ho trovato che la collega di quest'anno li portava tutti all'esame con tesina rilegata e mappa concettuale dei collegamenti in copertina, e tipo a mettere le mani sulla tesina intitolata "Il razzismo" mi veniva una di quelle sensazioni come quando ti accorgi di stare finalmente per baciare uno che ti piace, e da un lato hai le vertigini dalla voglia e dall'altro ti si stringe lo stomaco come se stessi male. Capito cosa voglio dire, no?
Insomma, quando lavoro io vorrei poter lavorare E BASTA, ed è inutile che mi incisti su questa posizione perchè tanto lo sappiamo che non si può. Non si potrà per anni e anni, perchè ci sarà sempre dell'altro da fare. Se il Signore mi conserva la salute, forse gli ultimi due anni prima della pensione, ma allora sarò vecchierella canuta e bianca.
Ma a parte questo, c'erano dei problemi, c'erano delle forze oscure al lavoro nella mia psiche, oddio, non che sia una novità, è da sempre che qua dentro siamo in parecchi e non andiamo d'accordo ("C'è tua madre qui con me!!!", diceva quella ragazzina con la pelle un tantino rovinata), solo che non si tratta più di lottare, da bambina inconsapevole, con sofferenze di cui non conosco l'origine, ma semplicemente di uscire da alcune dinamiche malate instauratesi sul lavoro.
Ho cercato, complici aaaaanni e aaaaanni di psicoterapia, di mettere a fuoco l'attimo in cui mi si stringeva la gola per l'ansia, e identificato due fotogrammi che mi passano sempre, sempre per la mente quando sono a quel punto: e sapete chi ho visto in queste due diapositive? Mi sembra persino ridicolo, è un non-problema rispetto alle grane che uno potrebbe avere sul lavoro, ma tant'è: ci sono distintamente due volti, la Bestia Nera e la preside.
Ciò mi suggerisce che deve esserci qualcosina da risolvere nella mia rete di relazioni sul lavoro.
Analizzeremo questo problema. Il tag apposito è "simpatici come l'Ebola" e tutti i post con questo tag sono dedicati alla Tipa che ha appena cambiato ufficio e a Silvietta che annaspa nel suo, ma anche a Cavallino e a Noise con le amatissime colleghe, alla Diavolessa che già si sente in conflitto prima ancora di metter piede nel nuovo ambiente, e a tutti quelli tra voi che hanno almeno un collega stronzo, quindi a tutti quelli che non fanno l'eremita di mestiere. Non posso dedicarli anche alla Symo perchè lei è il capo del suo ufficio e il capo, lo sappiamo, ha sempre ragione... ma sono certa che sa di cosa parlo. Chi come lei lavora con la dolce metà, e ha lavorato con buona parte del resto della famiglia, ha problemi che io non voglio neanche immaginare.
O meglio, mi sono accorta che proprio là dove io desideravo fortemente andare, a casa mia quella vera, a fare il mio mestiere quello vero, erano in agguato problemi non risolti cui non avevo avuto il coraggio di dare un nome.
In altre parole, andare a scuola mi causava sintomi psicosomatici sparsi. Molto chiaramente dipendeva, almeno in parte, dal fatto che io DETESTO fare il mio lavoro se non posso farlo BENE e che il mio standard di BENE è, diciamo così, eufemisticamente, altino. Altetto. Alterello. Alticchio
E' uno degli ottomila, si situa tra il K2 e l'Annapurna.
Esemplificando, oggi che cominciavano gli orali di terza media sono andata a salutare la mia classe dell'anno scorso a Scuolina Bianca di Paesino Blu, e ho trovato che la collega di quest'anno li portava tutti all'esame con tesina rilegata e mappa concettuale dei collegamenti in copertina, e tipo a mettere le mani sulla tesina intitolata "Il razzismo" mi veniva una di quelle sensazioni come quando ti accorgi di stare finalmente per baciare uno che ti piace, e da un lato hai le vertigini dalla voglia e dall'altro ti si stringe lo stomaco come se stessi male. Capito cosa voglio dire, no?
Insomma, quando lavoro io vorrei poter lavorare E BASTA, ed è inutile che mi incisti su questa posizione perchè tanto lo sappiamo che non si può. Non si potrà per anni e anni, perchè ci sarà sempre dell'altro da fare. Se il Signore mi conserva la salute, forse gli ultimi due anni prima della pensione, ma allora sarò vecchierella canuta e bianca.
Ma a parte questo, c'erano dei problemi, c'erano delle forze oscure al lavoro nella mia psiche, oddio, non che sia una novità, è da sempre che qua dentro siamo in parecchi e non andiamo d'accordo ("C'è tua madre qui con me!!!", diceva quella ragazzina con la pelle un tantino rovinata), solo che non si tratta più di lottare, da bambina inconsapevole, con sofferenze di cui non conosco l'origine, ma semplicemente di uscire da alcune dinamiche malate instauratesi sul lavoro.
Ho cercato, complici aaaaanni e aaaaanni di psicoterapia, di mettere a fuoco l'attimo in cui mi si stringeva la gola per l'ansia, e identificato due fotogrammi che mi passano sempre, sempre per la mente quando sono a quel punto: e sapete chi ho visto in queste due diapositive? Mi sembra persino ridicolo, è un non-problema rispetto alle grane che uno potrebbe avere sul lavoro, ma tant'è: ci sono distintamente due volti, la Bestia Nera e la preside.
Ciò mi suggerisce che deve esserci qualcosina da risolvere nella mia rete di relazioni sul lavoro.
Analizzeremo questo problema. Il tag apposito è "simpatici come l'Ebola" e tutti i post con questo tag sono dedicati alla Tipa che ha appena cambiato ufficio e a Silvietta che annaspa nel suo, ma anche a Cavallino e a Noise con le amatissime colleghe, alla Diavolessa che già si sente in conflitto prima ancora di metter piede nel nuovo ambiente, e a tutti quelli tra voi che hanno almeno un collega stronzo, quindi a tutti quelli che non fanno l'eremita di mestiere. Non posso dedicarli anche alla Symo perchè lei è il capo del suo ufficio e il capo, lo sappiamo, ha sempre ragione... ma sono certa che sa di cosa parlo. Chi come lei lavora con la dolce metà, e ha lavorato con buona parte del resto della famiglia, ha problemi che io non voglio neanche immaginare.
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