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venerdì 21 agosto 2020

Come la scaletta di un pollaio

 Non ricordo più chi fosse, qualcuno mi insegnò questo detto: "La vita è come la scaletta di un pollaio, corta e piena di merda". 


Ogni tanto mi torna in mente.

Chiariamo: non mi sto lamentando.  Sto considerando i fatti. 


Gennaio: tutto regolare. Cioè, a parte che una mia vecchia conoscenza ha un incidente in auto e io, CHE NON LO SAPEVO, passo una settimana a lamentarmi di dolori a collo e schiena e a essere nervosa e piagnucolante. Questa fin qui la sapevano in pochi. 

Febbraio: pandemia. Caracas rischia di morire. 

Marzo: pandemia, scuole chiuse, lockdown, ci ammaliamo in 2 su 3. Guariti con poco danno (ma a me l'olfatto per intero è tornato a luglio). Caracas inizia a curarsi seriamente. 

Aprile: ancora lockdown. Riusciamo a non dare di testa, ma non è facile.

Maggio: non riaprono le scuole, figlia terrorizzata all'idea di uscire, pian piano la supera. Rivedo mia madre. 

Giugno: sta male, all'improvviso e seriamente, mio suocero. Panico anche organizzativo, l'Uomo viene risucchiato a Milano per un po'. Alla Fraulein trovano un cancro, anche brutto e anche raro. Glielo dicono il giorno in cui io sono arrivata a riprenderla a Città con la Torre Pendente. Gestiamo la cosa io e Dolce Cugino (cugino suo corretto ed affettuoso, pure un po' sexy, con cui vado subito d'accordo, peccato conoscersi così). Poi la riporto a casa e passo 3 settimane tra medici e  telefonate con nipote, cugino e amiche che devono gestirla insieme a me. E con lei, che è terrorizzata. Intanto alla Princi hanno fatto un intervento in bocca e insorgono complicazioni. 

Luglio: arriva mia madre e corriamo in pronto soccorso perché la Princi è peggiorata, poi a Milano per secondo intervento. 

Agosto: la Fraulein comincia la chemio.  A mia madre capita un episodio cardiaco, non grave da ospedale, ma abbastanza grave da interompere di botto la sua vacanza in montagna e venire qua a fare un giro di controlli. A mia suocera compaiono preoccupanti sintomi di smemoratezza. Marito verrà risucchiato tra visite neurologiche, Paesino sulla Costa e Paese in cima ai Bricchi, a breve, lasciandoci qua tra nausea della Fraulein e ansie della Mater. 

In tutto questo io sono stata tre settimane per i fatti miei a gestire i lavori a Via del Golf 13 e ho dato segnali abbastanza evidenti di essere esaurita. Ma mi sono presa cura di me. In pubblico ho pianto (e tanto) solo la volta in cui ho dovuto salutare la Fata Romena, che se ne tornava per sempre in Valacchia. In privato, beh, quella è un'altra storia. Ma perché cambiare costa fatica, e paura. Parleremo anche dei supermegacorsi che sto facendo e vedrete che c'è un motivo se annaffio di abbondanti lacrime le mie povere ostinate radici. 


E, tuttavia, anche dalla scaletta di un pollaio è possibile guardare il cielo, e io lo faccio. Ieri sono stata inserita, dall'Orsone, sempre sia benedetto, nel gruppo Whatsapp di Scuola Vintage. Devo andare a svuotare il cassetto a Scuolina Rosa, e sarà dura, ma sono così contenta della nuova vita che mi aspetta che ho riguadagnato la taglia di pantaloni numero 44. Traguardo a cui avevo praticamente rinunciato. Eh beh. Sono momenti. 

 




sabato 16 maggio 2020

Per darvi un'idea, anche approssimata

Ho deciso di postare qui, commentandolo pezzo per pezzo, il testo che stamattina (sabato) 16 maggio alle ore 7 (sì, alle 7, ero sveglia da 40 minuti ed era inutile restare a letto con i pensieri) ho postato sulla piattaforma che usiamo con la mia classe terza. In corsivo quel che vorrei poter scrivere davvero.


"Buongiorno,"

(Ragazzi, mi mancate! State bene? Eh? Che belli che siete, lo sapete che vi mangio con gli occhi tutte le volte che comparite nello schermo? E che quando chiudo la videochiamata ho un groppo in gola?) 

Vecchia bastarda sentimentale.

"ricapitoliamo quanto fatto nelle lezioni di ieri per chi se le è perse."

(Cioè pochissimi di voi, anche se adesso un gruppo deve alzarsi "presto", perché vi vedo dalle 9. Lo sapete quanto sono contenta che non saltiate neanche una lezione, e non parlo di quelli che come l'Irresistibile o Pulcino hanno la supermamma che mette la scuola al primo posto, pioggia o neve, pandemia o terremoto.  Parlo di quelli come te, Strepitoso, lo vedo che non passa mai nessuno in quella cucina, che sei da solo in casa ad annoiarti e ti svegli sei secondi prima della lezione e arrivi spettinato e con la voce da sonno, ma spacchi il secondo e sei preparato, parlo di te Cucciolino che sei sballottato tra casa di mamma nelle campagne di Casale e casa di papà a Torino, parlo di quelli di voi che fanno fatica a scaricare i file o che mi vedono o sentono tutta a scatti, ma non mollano. Sono così fiera di voi, ragazzi. Ho sudato tanto,con tanti colleghi diversi, per farvi stare seduti nei banchi, ora mi state restituendo quasi tutti degli ometti e delle donnine attenti  e responsabili che la prendono sul serio. Mi fate scoppiare d'orgoglio.) 

Vorrei vedere la faccia dei colleghi che li hanno avuti  solo in prima, su tutti l'Orsone.

"Mi scuso per aver dovuto interrompere e rimandare il lavoro, ma questa situazione di connessione da casa ha molti inconvenienti, uno su tutti che le reti e i piani di consumo dei computer privati hanno dei limiti."

(E porca troia non sono gli strumenti tecnologici o le competenze  che ci mancano, non è vero che i docenti sono dei cavernicoli informatici, sono i giga che a stare connessi 12 ore al giorno per mettervi su voti e lezioni partono, mica tutti avevamo il wifi in casa, e non è che in tempi di Covid fosse facile farselo installare da un giorno all'altro.)

"Ieri mattina in ogni gruppo, tranne il quarto che doveva connettersi alle 12"

(quello che porca troia è saltato)

"abbiamo:
- parlato dell'elaborato finale che ciascuno di voi presenterà (recuperiamo lunedì perchè ho bisogno di chiedervi alcune cose a voce, individualmente) e delle materie che non risultano comprese nell'elaborato ma verranno portate all'esame per la breve interrogazione in videochiamata;"

Elaborato "snello", e "breve" videochiamata, su cui un team ristretto composto dalla qui scrivente Castagna, dal Genuino, dalla Pallida, dall'Impeccabile e da Undici lavora da giorni senza più orari, per gestire a  insaputa dei ragazzi il proprio lavoro in 6 materie (di cui 3 mie, così, meglio dirlo) e quello dei colleghi nelle altre, per mezzo di una cosa che ho proposto io, la "madre di tutte le tabelle" condivisa su Drive e aggiornata con amore possessivo da noi tre di lettere, matematica e inglese,  senza permettere agli altri docenti di toccarla, di vederla, addirittura di sapere della sua esistenza, fino a due giorni fa. Per gestire la tabella madre (o santa madre tabella,  o la madre tout court, ormai)  dal lunedì al venerdì iniziamo a scriverci sul gruppo ristretto alle 7,30 e finiamo a mezzanotte. No, meglio se lo dico, anche questo. 


"- parlato di come presentare solo all'orale un argomento del programma di Letteratura (guardate nel sottogruppo Italiano, vado tra un attimo a scrivere le indicazioni e aspettate di aver parlato con me lunedì per decidere quale argomento portare)
- terminato il programma di Letteratura con la spiegazione delle "Operette morali" di Leopardi e con cenni su Positivismo, Naturalismo, Verismo, Simbolismo e Decadentismo (guardate sotto Italiano, entro lunedì avrò caricato tutti i file audio con le spiegazioni, gli appunti e gli esempi)."

Il che significa che ho ripetuto la stessa lezione a tre gruppi (ma dovevano essere 4) quasi con le stesse parole, per una maniacale angoscia di non dare a tutti la stessa preparazione, e adesso nel weekend la ripeterò ancora per registrarla e metterla a disposizione degli assenti. È una roba che,  a metà del terzo giro, fa sentire in trance, come un disco troppo usato, e al tempo stesso da Dio, perché una cosa che mi è successa in questo periodo è stato di rimanere sola con le mie materie, con la mia voce che spiega, e intanto pensare: ma che materie meravigliose insegno?

"Inoltre: guardate nel sottogruppo Storia / Geografia per il quiz su comunismo, fascismo e nazismo e troverete anche nei prossimi giorni l'ultima lezione di Geografia e l'ultimo argomento di Storia."

È  che ne insegno un po' tante, di materie. E anche quest'anno, addirittura  così,  con la pandemia e la didattica a distanza, le ricerche da visionare sono NOVANTASEI. E non me le portano neppure all'orale, perché all'orale c'è il fottuto elaborato.

(E quanto odio scrivere ultimo argomento e ultima lezione, ragazzi. Perché lo avrei detto in classe, e a uno di voi sarebbe scappato detto "Prof, siamo alla fine delle medie, ma ci pensa?". E io avrei fatto quella brusca che non si perde in sentimentalismi e dice "ecco appunto, quasi alla fine, vediamo di arrivarci intanto eh, poi se proprio ci tenete potete rifare l'anno"... e voi siete quel tipo di classe in cui qualcuno avrebbe detto anche "e se ci facciamo bocciare tutti insieme, così stiamo ancora un po' qua?") 

"Nella lezione di lunedì ci occuperemo di finire i giri di interrogazione, prendere gli ultimi accordi per l'elaborato d'esame e andare avanti con i Promessi Sposi."

Perché l'Irresistibile, dopo aver preso un 9 di interrogazione a tappeto sulla guerra mondiale,  alla domanda di un compagno "prossima volta cosa facciamo?" ha deciso che la volta dopo leggevamo i Promessi. E va bene, poi voglio dire, se si chiama Irresistibile ci sarà un perché,  infatti ho detto subito di sì.  

Il culo che mi sono fatta per questa classe. E come ricomincerei domani, dal giorno uno della loro prima media, se potessi. L'ultima classe di Scuolina Rosa, quella che per amore contraccambiato sta al numero 2,  subito sotto l'inarrivabile prima classe in cui ho lavorato lì,  a trent'anni,  e a pari merito con la stupenda terza C degli scompleanni. I miei ragazzi.  Il lato bellissimo è che, lavorando in centro città, molti  li vedrò quando arriveranno o andranno via dalle superiori. Magari per allora non avremo più le mascherine e potremo abbracciarci stretti,  e alcuni di loro mi sovrasteranno con la testa, perché io sarò la solita prof di sempre e loro saranno diventati grandi.




mercoledì 9 maggio 2018

Dagli archivi segreti di auleintempesta - Ancora 2010

Luglio 2010 

Poi dice che sono sempre nervosa

Bene, abbiamo assodato alcuni punti.
Primo, che l'Uomo lavorerà a Autogrill, se non trova un'assegnazione provvisoria sulle superiori.

Dicesi Autogrill una scuola media di un paesino vicinissimo a Asti, che ha il difetto di sorgere attaccata all'autostrada per Torino. Dice il vicepreside che quando un TIR frena rumorosamente si voltano tutti verso la finestra, nel dubbio di vederselo arrivare in classe.
Spero sia una battuta.

Comunque potrebbe andare peggio, il paesino è comodo da raggiungere e il preside è lo stesso che l'Uomo aveva già, conosciamo anche diversi colleghi.
E poi ci sono le assegnazioni, con le quali l'Uomo potrebbe giungere alle superiori, cosa che lo renderebbe felice.

Quanto a me, per il momento l'unica notizia di rilievo è che la collega di cui occupavo provvisoriamente il posto è stata definitivamente trasferita a Finale Ligure (brutto eh, fare la prof in riviera?), quindi a questo punto l'unica persona in grado di vantare una precedenza sulle cattedre di lettere in ruolo a Scuolina Rosa sono io, Castagna.
Peccato che quest'anno ci sarà, a essere ottimisti, solo una cattedra a supplenza annuale. Che quindi non conta per il ruolo.
Bene, intanto aspettiamo le assegnazioni provvisorie, poi vedremo.
Costigliole sappiamo dov'è, nel caso serva.

Parentesi poetica.
La madre or sol, suo dì frenetico traendo con gli enigmisti in quel di Ceresole Reale, mantiene il silenzio radio.
Il caldo infuria, il pan ci manca (nel senso che cucino io, quindi passa la fame a tutti) e mio padre non dorme, anche se gli ho fatto il letto nella stanza con l'aria condizionata.
Nè più mai toccheremo le sacre sponde di Santo Stefano al Mare. O meglio, le toccheremo in agosto, visto che quelli del residence sono stati tanto gentili e tanto onesti da proporci un cambio di settimana.

Se non altro, finalmente io e l'Uomo ieri sera tardi ci siamo ricongiunti nella casa di Genova. Per modo di dire, ricongiunti.
Nella pratica lui è sceso dalla macchina alle undici passate e mi ha passato un trasportino puzzolente con dentro una gattina rossa tutta inzuppata di pipì.
Quindi è seguita una scena in cui Matilda è stata insaponata e sciacquata nel bidet come un infante (e per fortuna come un infante si è lasciata lavare, senza usare le unghie), poi io ho girato casa con stracci e ammoniaca, la maglietta bagnata e un braccio occupato da un fagotto di asciugamani umidi dal cui interno proveniva la seguente cantilena:
"Meeeeeeaaaaaau meeeeau miauuauu miauauauauauau meeeaaao meeeeaooo meouau mmeaooauauau meeeau mmmeeeaaaaaaauuuuuuuu"
Con delizia dei vicini, visto che ormai era mezzanotte e Matilda ha dei polmoni che potrebbe fare la professoressa alle medie.

Premonizioni tibetane e avvisi per la navigazione

Usciamo abbracciati per una colazione al bar, col cane al guinzaglio.
Tempo dieci minuti siamo al bar, io con il ghiaccio su un piede e le lacrime agli occhi.

Niente, è solo che il cane ha inchiodato in mezzo a un attraversamento, rischiando di farsi investire, io mi sono girata mentre la tiravo via e mi sono spezzata l'unghia dell'alluce dando un calcio secco al marciapiede.

Ho visto la Madonna, Nosso Senhor do Bonfim e il Dalai Lama che mi ballavano davanti una specie di tarantella. Menomale che c'era l'Uomo perchè praticamente ho smesso di respirare per qualche secondo.
Poi mentre, lacrimando e tenendo il piede sotto un sacchetto pieno di ghiaccio, mangiavo la mia brioche, ho guardato il mio calendarietto tibetano. Giorno di fuoco e acqua, sfavorevole, attenzione alla salute.
Ma vaff...

Un paio di avvisi.
Oggi è il settantacinquesimo compleanno del Dalai Lama, Sua Santità Tenzin Ghyatso.

Noi andiamo in montagna quattro o cinque giorni. Non ci portiamo il pc stavolta, quindi auleintempesta è momentaneamente sospeso per sopraggiunte (e tanto agognate) ferie.

Vi ricordo che, conformi ai dettami di Sua Maestà il Sovrano di Grande Inverno (Sanguedelmiosangue, che impartisce ordini dal suo blog), DOVETE DIMAGRIRE, CHIATTONI. Scusate, niente di offensivo, è solo che il prossimo arrivo in montagna mi porta a ribadire l'imperativo del 2010, che Sanguedelmiosangue ha messo come unica regola del suo entourage (che poi siamo sostanzialmente io e la Diavolessa) - unica, a parte quella di venerarlo e offrirgli continui olocausti di mazzancolle impanate e maschere di bellezza allo yogurt.
Io vado a camminare come una pazza in giro per i monti e stanotte (scusate ma lo devo scrivere) DORMO CON LA COPERTA... Goduria...

Passatevela bene.
A presto, disse, mentre si allontanava zoppicando vistosamente.

Agosto 2010

Un anno di auleintempesta


Ed eccoci. Finalmente a casa.
Da ieri mattina. Alle nove e mezza mi ero già riappropriata dei miei libri. Alle dieci e mezza dei miei cd, annunciando il mio rientro alla piazza con finestre spalancate e Green Day a bomba.

Ovviamente ho già fatto due lavatrici e un giro di ricognizione al supermercato.

E puntualmente è arrivata la prima grana lavorativa.
Grazie a Orsetto Lavatore, il collega di Religione che tutto sa e tutto origlia, mi viene riferito che stan cercando di smembrarmi le ore della III B. Togliendomi Geografia per darla alla collega Veterana. Che, tra l’altro, essendo la più anziana, se non le va bene può semplicemente dire di no. E che con me va d’accordo. La cosa non mi agita particolarmente, ma c’è un dettaglio: tra le righe, Orsetto Lavatore ha chiarito che questa telefonata lui me l’ha fatta perché il Gigante gli ha riferito di nascosto questa possibilità, discussa con la preside.
Il Gigante la settimana prossima è in ferie. Ho capito che ha parlato con Orsetto Lavatore perché voleva che io fossi avvisata. E il Gigante queste cose non le fa se non c’è effettivo rischio che si stiano elaborando grosse porcate.

Umm. Va bene.
Ora vediamo.
Per il momento non ho voglia di entrare di nuovo a capofitto in questi rigiri di telefonate segrete e sussurri tra i corridoi del palazzo. E non intendo dissotterrare l’ascia di guerra proprio subito. Aspetto di incontrare la Bestia Nera, che come sempre me la farà sfoderare nel giro di venti secondi.
Mi limito a tenere gli occhi ben aperti.

Intanto auleintempesta sta per compiere un anno.

E, mi dico già da qualche tempo, i contenuti di questo blog non corrispondono realmente alla sua didascalia. Non si parla affatto solo di scuola, qui, ma moltissimo di me, dei fatti miei, del mio percorso umano, personale e spirituale.
Leggere i blog di altri professori e quelli delle altre donne (molte, mamme che parlano soprattutto di famiglia) mi ha fatto capire che questo giornale di bordo scolastico è anche diventato, strada facendo, un diario intimo.
Il che, se ci penso bene, è molto, molto adeguato al mio reale modo di lavorare, che non è scindibile dal mio modo di essere.
Senza volere, con certe pagine di confessione ho dato un quadro molto più completo di me come insegnante che di me come persona, perché ci sono tante cose di cui qui non mi sento di parlare, a livello privato.

Comunque, rifletterò se cambiare la didascalia.

Per il momento, un grazie alla Frenci, che mi ha fatto scoprire questo modo di esprimersi.
Un grazie a chi ha letto, e anche di più a chi ha letto tra le righe. Un grande abbraccio a chi ha capito e a chi è stato qui vicino anche se non capiva.

E un invito, a molti e in particolare alla Tipa: scrivete un blog, fa bene. Non importa se vi leggono, anche se un commento spesso aiuta, scalda il cuore in una giornata invernale o suggerisce uno spunto. Importa molto di più leggere i blog degli altri, fa sentire molto ma molto meno soli.
Però importa che si possa prendere una mezz’ora al giorno per guardarsi allo specchio e dirsi le cose con calma, in solitudine, in silenzio.
A me ha chiarito tante cose. Ho il dubbio se avrei capito ugualmente quel che mi succedeva, senza queste pagine online, se avrei saputo elaborare sconfitte, cambiamenti, successi. Penso che non ci sarei riuscita così.

E ora è il momento della commozione.
Fuori i Kleenex.

Ci sono persone da abbracciare forte forte.

Prima di tutto, le mie amiche di sempre. Cavallino, la Tipa, la Frenci. Che sono state presenti qui tante volte, come sono state presenti in tutte le cose importanti della mia vita. Perché ci sono cose che NON SI DISCUTONO.
Punto.
Come il culo di Edo alle superiori (o il naso di Lorenzo, direbbe la Piccolina).

Poi subito dopo in ordine di blogimportanza (e non solo) Sanguedelmiosangue e la Diavolessa, le mie amate mine vaganti, queer, queen, tossici, sinceri, autodistruttivi, immensamente nobili d’animo, raffinati nei gusti letterari e eleganti nello stile (anche nei momenti più trash …tipo “UNA NOTTE A NAAAPOLIIII“, per capirci). Perché siamo telluricamente fratelli nei nostri complicati rigiri sentimentali, e coi loro blog si è instaurata una buffa, profonda e a volte sconvolgente comunicazione a tre, che non ha interrotto le centinaia di messaggi, le chiacchierate e le camminate. E questa specie di strana seconda adolescenza che la Diavolessa ha portato nella mia esistenza.

Poi tanti che non conosco di persona ma che di qui passano, o che si raccontano un po’ più in là nel blogmondo.
Con menzione speciale a Minerva, la più assidua lettrice e una delle più profonde analiste del mondo delle emozioni (nonché una delle poche adolescenti che sanno usare la lingua italiana senza farne scempio, anzi con classe). A My, che mi somiglia in modo impressionante nei ragionamenti. A Wonderland, che mi fa ribaltare dal divano dalle risate. A LGO, lanoisette, Perboni e altri prof dallo sguardo acuminato e senza peli sulla lingua. A Soleil, a Bianca, a B Stevens, a tante altre blogmamme, blogfate, blogsorelle, blogregine di questo mondo enormemente femminile, come tutti i mondi intimi e nel contempo sociali. A ziacris, dall’animo indomabile, che è la vera ispiratrice, insieme allo spirito inquieto e mai defunto di mia nonna, del romanzo che sto scrivendo (ops, questo non ve l’avevo ancora detto, eh? Eh… beh. Se ne riparla se lo finisco.)

Ma anche a quelle che scrivono troppo poco e mi piacerebbe leggerle di più: Symosymo, Donna Popcorn, la stessa Frenci (per cause di forza molto maggiore, lo so). E a quelli che non leggono qui ma mi piacerebbe che lo facessero: Musica, il Pagliaccio, la Piccolina, e la coprotagonista invisibile delle mie giornate lavorative, l’Inflessibile, che mi dà più di quanto riuscirò mai a spiegarle, con la sua spigolosa, spesso scomoda ma incrollabile presenza, e con le risate da ragazzina che io, tra pochi eletti, ho il privilegio di vederle fare.

E così.
Buon compleanno, auleintempesta, mia amata, egoriferita creazione, dai vicoli oscuri che nemmeno io conosco tutti, con improvvise uscite sul mare, con finestre nascoste da cui respirare l’odore delle colline, con trapunte calde sotto cui nascondersi nelle giornate di gelo.

Lunedì si ricomincia.

Settembre 2010

Sorsate


Ve lo ricordate quel libro: "la prima sorsata di birra e altri piaceri della vita"?

Leggete qua...

Esercizio: 10 cose magnifiche e assolutamente gratuite che ti rendono la vita più bella

Un buon libro
(Chiara, 15 anni)

Cercare costellazioni
(Manuela, 14 anni)

Quando guardo la partita di mio fratello e lui fa goal 
(Daniela, 14 anni)

Guardare il diario e vedere che non ci sono compiti
(Stefania, 14 anni)

Passare ogni minuto della mia vita a fare del bene a tutti
(Fabiano, 14 anni)

Mangiare la polenta in montagna
(Maurizio, 14 anni)

Il venerdì pomeriggio
(Arianna, 14 anni)

Quando c'è tanto vento prenderlo tutto e sognare di poter volare via
(Elisa, 14 anni)

Abbracciare una sequoia di mille anni
(Alessandro, 14 anni)

Essere capiti senza parlare
(Anxhela, 14 anni)

martedì 18 ottobre 2016

Heart keeps beating

Hanno messo il mio cane in una busta con il disegnino del rischio biologico. Una busta bianco crema. Con la cerniera. E giù nella terra. E poi ha piovuto e io ho pensato alla terra bagnata che si assestava intorno alla busta. E alla mia piccola povera mummietta di cane tutta fasciata nelle traversine bianche. Piccolo chien. Che è morto lontano da casa, e io mi sveglio di notte e non mi perdono perché non c'ero.
Io poi non lo so perché i miei animali, così ben tenuti e amati e coccolati, vanno a finire in modi così orrendi, che per guardarli senza svenire ci vuole uno stomaco da chirurgo di guerra, perché proprio loro sviluppano tutti dei tumori strani che i medici vogliono studiare e che guariscono, in modi assurdi, e poi però il mio gatto e il mio cane a conti fatti muoiono lo stesso.

I veterinari geniali, giovani e boriosi, che ho conosciuto curando il cane, mi sono costati una fortuna, mi hanno trattato malissimo, hanno coccolato il mio povero botolo malato in modo commovente e mi sono rimasti in mente tutti, quello figo e impossibile da gestire a livello di maleducazione e asocialità (una sindrome di Asperger?) che era lì quando la Daisy è morta, quello meno figo e gentile che aveva voglia di parlare del suo lavoro e staccava le foglie profumate dell'erba limoncina, per portarsele al naso con le dita lunghe e delicate, quella castana con lo sguardo buono e il sorriso amaro, tutti gli altri. Un giorno, quando sarò meno ammaccata dal dolore, vi racconterò.

Guardo la gatta e non ne ho mai abbastanza di prenderla in braccio e stringere il suo bel corpicino caldo e morbido, e sentirla miagolare. Sta sempre con me quando sono in casa. Si è presa il centro del divano e le ciotole della cucina, si è adattata, ma quando vede uno di noi sulla porta, con una borsa o una valigia in mano, va in ansia. E te credo. Da questa casa sparisce la gente, non si sa mai se chi passa la porta tornerà. Cioè, tranne me. Io è chiaro che torno. Prima o poi. Sempre più stanca, e triste, e sola. Ma torno. E ricomincio da capo. Ogni giorno. Ogni notte.

La figlia è di nuovo fidanzata e sta di nuovo facendo fatica a studiare e dice di nuovo che vuole lasciare il nuoto e andare in palestra a fare pesi. E ci fa sudare e litiga con le sue psicologhe e rompe con la sua migliore amica e adesso mangia solo roba salata a colazione. E io scendo dal letto la mattina, e le preparo la frittata, il toast, la quiche, il panino. Sempre più sfiduciata, e scoglionata, e sola. E ricomincio da capo. Ogni mattina.

Il marito si è finalmente tagliato i riccioli disordinati, è diventato fiduciario del plesso dove insegna, sta lavorando a un progetto per creare un nuovo indirizzo scolastico professionale, dice che qui si sta tanto bene, nell'Astigiano. Era lì quando abbiamo seppellito il cane, è venuto con me a visitare una chiesa romanica dell'undicesimo secolo aperta apposta per noi ed è inorridito di fronte alla pila di scheletri e teschi nel vano sottostante, illuminata con la torcia del cellulare, mentre io mi incantavo all'idea di guardare dei veri corpi di gente morta quattrocento anni fa di peste bubbonica. (Eh, lo so. E' che una che insegna storia, poi, quando queste cose le vede coi suoi occhi, ha un momento profondissimo di quella cosa, quella cosa che succede solo a chi ha la fissa di studiare storia. E poi era molto più macabro il corpo del cane con la testa scalottata per l'esame autoptico, altro che cazzi.) Dopo, l'Uomo è andato via perché doveva andare, che novità, ma io adesso lo guardo andare e riesco a morire un pochino di meno, perché alla sera mi racconta del calcio, del festival, a pranzo ci parla della scuola, e trova buono il cibo e bello il cielo, e c'è, e quando non c'è so sempre quando torna, e allora preparo da mangiare, metto in ordine, mi alleno, lavoro, mi tengo bene e cerco di stare serena. Poi arriva il momento in cui siamo in camera dopo cena insieme e chiudiamo fuori tutto il mondo, e quel momento ripaga di ogni frustrazione e insicurezza e dubbio, pur in questa situazione assolutamente, totalmente di merda, quello permette di farcela, di ricaricare le pile. E ricomincio da capo. Ogni sera.

La Bionda Svampita povera donna ha seppellito il marito a febbraio, e adesso le si è ammalata la mamma. La Fräulein è stata a casa con una brutta influenza. E nella loro classe è arrivato un nuovo tizio di sostegno che sembra una guida del CAI. Barbuto come Babbo Natale, e con lo zaino e la giacca a vento. Forse pensava che Paesino di Sogno fosse in cima al Monviso. Non abbiamo idea da dove venga.

Il Genuino e il Pennellone, i due colleghi nuovi di matematica, si stanno ambientando. Il Pennellone per ora mi sta sulle balle, il Genuino è chiaramente un lavoratore, e un caro ragazzo, ma un po' bisognoso di rassicurazione. La Nuova di Inglese, la Spessa di Tecnica e il Magnifico di Sostegno si muovono con maggiore naturalezza. Sembrano in gamba. La Pianista barcolla, con occhiaie grandi come posti auto. Sono diventata tutor della Secca che è nell'anno di prova. Il Gigante e la Bestia Nera mi stanno mandando al posto loro a trattare con le superiori, in alcuni casi, per il percorso antidispersione.

La Preside Chic mi stordisce sempre con la sublime, ineffabile eleganza dei suoi abbinamenti e sto sviluppando un morboso bisogno di nascondermi nel bagagliaio della sua auto e arrivare di nascosto a casa sua, per andare a godere di intensi momenti di soddisfazione prettamente sessuale davanti al suo armadio delle scarpe. Ha un parco scarpe, fondato su intramontabili pilastri di finezza, che fa scomparire la Preside C., la stragrande maggioranza delle donne eleganti di Asti, tutte le colleghe infighettate di Scuolina Bianca, e darebbe del filo da torcere persino a Noisette. Al primo collegio docenti aveva un tubino e delle décolletées così indiscutibili che Coco Chanel le avrebbe stretto volentieri la mano con un sorriso complice. Poi è in gamba. Tanto in gamba che secondo me i tre quarti dei colleghi non capiscono quel che dice, perché è troppo intelligente e smart. Una femmina alfissima, peraltro. Una Donna di Classe se mai ne ho vista una. Andiamo anche d'accordo, direi. Ora sono curiosa di vederla in consiglio di istituto.

I ragazzi sono storditi. Hanno la testa nel culo, fanno poco e male quello che gli dici, sembra che non ascoltino, prendono iniziative che nessuno ha chiesto, poi però non seguono le istruzioni più semplici. Sto castagnizzando la seconda, che l'anno scorso vedevo per un'ora alla settimana di geografia e ora tartasso di grammatica, letteratura, antologia, scrittura, Invalsi, ortografia, e geografia. Sono dei selvaggi, io li civilizzo a suon di ramanzine feroci e gli faccio fare i balletti quando uno di loro azzecca l'analisi verbale, passo con nonchalance dallo spiegare l'Eneide scrivendo in latino sulla lavagna al ficcare note sul diario perché mangiano in classe, dal tenerli mesmerizzati a sentire per mezz'ora di fila la storia della Politkovskaja al controllare che non abbiano di nuovo pisciato per terra nel bagno dei maschi. Fatica. La terza è pressoché uguale, con la differenza che in seconda fino alla settimana scorsa gridavo, in terza mi basta lo sguardo. Ma non dovrebbero essere così storditi, sono in terza, santiddio, tutto questo lavoro l'avevamo già fatta lo scorso anno. Non lo so. Arrivo al mattino nel parcheggio con gli occhi gonfi di stanchezza, inizio lezione che ho già preso tre volte il caffè e fumato una Marlboro, io che non fumo mai di mattina. Mi scrollo di dosso i pensieri, che restano in macchina a ringhiare, per poi saltarmi addosso quando riapro la portiera alle due meno venti. E ricomincio da capo. Ogni giorno.

Le foglie sono gialle e rosse, le montagne luccicano imponenti sotto il sole che scioglie la neve, e i tre melograni della casa in campagna, che mio padre aveva espressamente proibito al giardiniere di tagliare perché io li adoravo, hanno già i frutti, ancora verdolini. E' di nuovo autunno e io mi stupisco di esserci, quest'anno, a vederlo.
























domenica 3 aprile 2016

Almayer

C'era una volta un'isola, solo che non era un'isola. Era rosa e affiorava appena su un mare di erba verde.
Ogni mattina alcune persone si traghettavano su quest'isola, percorrendo le onde delle colline, approdavano nel fango della riva e si portavano in salvo per sei o sette ore, quando potevano anche di più. Sull'isola nessuno sapeva delle navi perse al largo nella tempesta, nessuno sapeva delle notti buie, nessuno sapeva delle lacrime che cadono copiose nel lavello della cucina, sopra le verdure, tutte le volte che bisogna cucinare solo per due. Sull'isola la donna castana, le donne bionde, il grande uomo dalla barba brizzolata e dagli occhi buoni erano al sicuro, ma anche l'isola poteva essere spazzata dalle mareggiate.

Il  popolo dell'isola era strano, seminomade, diviso da conflitti interni e legato da una sorte comune. Ogni giorno arrivavano sull'isola e univano le forze per produrre qualcosa di buono, con risultati non sempre felici. Spesso sorprendevi uno dell'isola che guardava la riva, le auto attraccate sotto gli alberi, e capivi che nella sua testa c'era il desiderio di non ripartire. Talvolta, uscendo sul bagnasciuga, si confessavano che preferivano mangiare un boccone veloce al solito baretto da camionisti, il loro pontile tra l'isola e il vasto mare intorno, piuttosto che tornare subito a casa, e poco per volta avevano preso l'abitudine di andare a pranzo in due o in tre, per non sentirsi troppo soli al momento di volgere la prua verso il mare aperto.

L'isola non era una fortezza invulnerabile: era un piccolo mondo sereno, i cui dolci colori rendevano meno difficile sopportare l'ululato continuo del vento, ma talvolta anche le isole tremano. Quando accadeva, il popolo dell'isola si riuniva, si chiamava col tam tam di whatsapp da una riva all'altra: ma questo faceva ancor più sentire la fragilità, soprattutto di fronte a una convocazione, la domenica sera, per stringersi intorno a una delle donne bionde, colpita da un dolore cattivo, spietato, ingiusto. Si scrissero per chiedersi: vieni con me? Ti passo a prendere? La prendi tu la Fraulein che non può guidare? La riporto io, ok?

Perché lo sapevano come sarebbe stato. E volevano qualcuno accanto, qualcuno che sapesse che il giorno dopo ci sarebbero state lo stesso le reti da buttare, i campi da coltivare, sull'isola. Come due anni prima, quando un'onda anomala, nera, sanguinaria, si era portata via con un morso secco un pezzo intero di costa, fendendo in due la roccia, e loro avevano cercato di salvare il salvabile, facendosi strada in mezzo ai ragazzi in lacrime. E guardandosi l'un l'altro con gli occhi vuoti, nei giorni successivi, lentamente si riconoscevano, una quindicina di persone che si passano la stessa bottiglia d'acqua, tenendo acceso con gesti lenti il fuoco, senza parlare.






             

mercoledì 16 marzo 2016

Bollettino (di guerra) dalla Valle delle Meraviglie parte seconda

La seconda C mi sta uccidendo; mi sta uccidendo con amore, ma mi sta uccidendo.

Peter Pan ha tirato un pugno in faccia a Mickey Mouse, o Topolino che dir si voglia, e 5 giorni dopo Topolino ha ancora la faccia gonfia ed è stato refertato in ospedale.

Il vero casino è che non lo hanno detto subito, com'è andata.

Castagna, coordinatrice, incazzata nera:
"Topolino, perché stamattina il vicepreside mi ha detto una cosa che io dovrei sapere da tre giorni???
E soprattutto. Perché tu a me hai detto di aver sbattuto la faccia sul banco, quando hai chiesto il ghiaccio, e invece alla collega Pianista hai detto di aver preso un pugno?"

Sulla faccia di Topolino passa la stessa identica espressione che fa la Princi, quando credeva di aver fregato uno di noi due e scopre di non esserci riuscita. L'espressione che viene al bambino che certe cose le dice alla mamma ma non al papà, perché la mamma capisce il papà punisce, o simili.

Castagna, sempre coordinatrice, sempre incazzata nera: "...allora, Topolino?"
Topolino piange.

Quanto a Peter Pan sono due giorni che non viene a scuola e non sappiamo se la famiglia sia informata dei fatti. Peter Pan è la luce dei miei occhi per quanto riguarda alcune cose, per esempio Storia, però è anche lo stesso che ha tirato una gomma in fronte a una compagna lasciando l'impronta della gomma come fosse un tatuaggio, tempo fa, e per questo ha preso una nota che adesso rimpiango di aver messo solo sul diario.

Oggi chiamo quindi la napoletanissima, e molto severa, mamma di Peter Pan. Che non ha sgridato il figlio. Lo ha fatto a pezzi. Il bambino ha iniziato a vomitare bile ed è andato avanti 2 ore con la testa nel water. Immagino che oggi, quando le ho detto che i genitori di Mickey, al 4 giorno di guancia gonfia, avevano pensato bene di controllare in ospedale se per caso avesse la mandibola rotta, il povero Peter abbia generosamente fatto il bis.



mercoledì 5 agosto 2015

D(')estate

Castagna sta sperimentando la prima estate della sua vita quasi interamente passata in città.
Data la sfiga galattica che affligge i suoi spostamenti (macchine rotte/rubate/ritrovate distrutte/nuove che si guastano/sostitutive a singhiozzo) non ci giura, che la settimana prossima riuscirà finalmente a togliersi dalla rovente Padania.

Se ci riesce a livello logistico, spera di riuscirci anche a livello di testa.

Ma sappiamo tutti che anche la marmitta mentale, il carburatore psicologico, il radiatore emotivo, sono a rischio di mollarci strada facendo.

Non va bene, ecco. Continua, da troppo tempo, a non andare bene.

Non esiste più limite all'insonnia, che ormai mostra il giro completo dell'orologio. Non esiste limite ai luoghi in cui ci si può mettere a lacrimare in silenzio, ma il supermercato e il centro commerciale si confermano i più rischiosi. Non esiste una fine agli scambi di messaggi notturni con Sanguedelmiosangue che, pure lui, passa una fase di curve sentimentali niente male.

La domanda "dormi?" su Whatsapp ormai compare alle tre, alle quattro, alle sei meno venti. Stanotte anche Grande Pagliaccio, che dormiva con suo figlio durante una delicata fase di spannolinamento notturno, alle 03.17 era online, causa pipì preventiva.

Peraltro, i desolati amici di Castagna ormai stanno pian piano cedendo le armi. Il lungo viaggio dell'Uomo alla ricerca di se stesso continua, e Castagna ripete ormai all'infinito le stesse cose, per mancanza di nuovi elementi. Come aiutarla, dato che il consiglio più spesso fornito: "ma mandarlo tu a fare in culo no?" viene recisamente respinto? Come sostenerla, visto che deve per forza di cose aggrapparsi a singole frasi, a brevi gesti spesso contraddetti da tutto il resto della situazione e del comportamento? Come sollevarla da tutto il suo indefesso rimuginare, se anche dormendo il suo stanchissimo cervello PENSA? Non sogna. Pensa.

Avete presente quando andate a dormire con un problema che non avete risolto, e al mattino la soluzione è di fianco alle pantofole, subito davanti ai vostri occhi? In un memorabile, deprecabile caso, tempo fa, una notte sono andata a dormire con il dilemma di dove incontrare una persona senza compromettermi, e contemporaneamente con in testa la scaletta di un'attività scolastica da gestire il giorno dopo, e al mattino le due istanze diverse si erano incontrate, piaciute, e riprodotte, figliando una soluzione che le metteva a posto tutte e due.

Ecco, mi succede una cosa del genere. Il mio cervello si spegne come per un blackout dopo un'intera giornata di pensieri e domande, e al mattino mentre apro gli occhi il filo del discorso è già lì che prosegue. Solo che in queste mattine aride e grigie non c'è la soluzione, perché quella purtroppo non dipende da me.

O forse sì.

Il punto è. Okay. Ci siamo fatti male oltre ogni possibile perdono. Ma siamo qui a parlarne. Siamo qui, anche se tra me e lui ci sono chilometri e ore intere di silenzio: la giornata non passa mai senza un contatto. Il colpo di pinna della megattera sull'acqua. Per guidare il piccolo che la segue nelle mostruose, assordanti correnti oceaniche.
Non sappiamo se ci sia, la soluzione.
Ma io ho tre certezze, molto accartocciate e sgualcite, ma imperiture. Sono sua moglie, questa è la nostra famiglia, e non è ancora finita. Quindi su queste devo puntellarmi per non sprofondare nelle sabbie mobili.

Pertanto,

Io sono qua. Ora mi sposto qualche giorno, per riprendere le forze, e lui sai che le vorrei riprendere standogli vicino, e che ora non possiamo. Ma sono qua. Qua mi troverà. Contraddizioni, difetti, paure e sbagli compresi. Ma troverà anche quello che sono diventata, una volta messa di fronte al reale rischio di perderci.

E un'altra cosa. La Princi. La Princi sta per scendere in campo. Dopo aver mantenuto una regale, sdegnata neutralità, per settimane, ieri è sbottata.
La mia tigre.
Il mio drago dell'antica Valyria.
Se non ci riesce lei, a fargli VEDERE cosa succede, non so chi altro.

La settimana prossima saranno in vacanza loro due soli, in montagna. Davanti al grande, divino monte dal fianco geometrico che io venero da quando riesco a ricordare. Sotto i tramonti al confine francese, con il suono del vento tra i pini, con il profumo delle piante selvatiche.

Io sarò nel mio Tibet, spero. Altri colori, altro paesaggio. Vivo nel terrore che mi diano la stessa stanza dove, anni fa, abbiamo festeggiato rumorosamente, in una notte calda, il suo passaggio in ruolo. Ma sentirò la sua mancanza in ogni dove. Poco cambia, in effetti, il letto in cui dormo.

Poi torneremo qui. Chissà se uguali o cambiati. Chissà se in due, in tre, uno solo, una sola. Chissà.

L'altra sera, con la Tipa, si messaggiava di concerti degli U2 e di andarci noi ragazze quarantenni, o di mandarci Princi e Cuba Caliente (eh già... poi vi aggiorno) e di chi è possibile, ahimè, incontrare a un concerto del genere. "Ma in tutto una stadio???" inorridiva lei. E io: "Ma no dico ma ce l'HAI presente la sfiga che ho?"

La Tipa insisteva. Io le confessavo che adesso, no, ma proprio NO, sentire Bono cantare Stay, If God would send his angels, Staring at the sun, e peraltro nemmeno il repertorio precedente, With or without you, Where the streets have no name, All I want is you. Che, scherziamo? Ma se a me viene voglia di suicidarmi al solo sentire una suoneria di cellulare  o il jingle di una pubblicità.

E si parlava di gente che non si fa problemi del genere. E io dicevo che no, non esistono solo gli uomini che non si fanno problemi. (Io in particolare ho una chiarissima capacità rabdomantica di individuare solo quelli che se ne fanno troppi: un giorno vi racconterò di Bon Jovi, il mio flirtino sulla nave, quando avevo 17 anni. Fin da allora si vedeva che io, uno che si buttasse a capofitto senza paracadute, non lo avrei mai incontrato, e che dei due, nella coppia, quella che quando parte per la tangente si lancia davvero, sebbene nella quotidianità sia una palla di fobie e paturnie varie, sarei sempre stata io.)
Da lì si passava a parlare del credere nei miracoli. Celo. E nell'amore cieco. Celo. E nella passione travolgente. Celo, celo, celo.
Finchè mi usciva la seguente definizione: "Io ho scoperto che ci credo tantissimo [nell'amore]. Non come idea, proprio come forza che muove la natura. Tipo il vulcanesimo"

Sarà per quello che confido nel potere dei luoghi. Dei monti. Delle campagne toscane.

Mah. Magari resterò sola come un cazzo di inutile cane sull'autostrada, ma di certo non smetterò di avere una fervida immaginazione. Infatti ho ripreso a scrivere. Almeno quello.











venerdì 5 giugno 2015

Un post che potrebbe pigliarvi anche piuttosto male, io vi avviso


Il giorno in cui ho dato il titolo a questo blog avevo in mente un ben preciso tipo di tempesta, quella ormonale.
 
In realtà era un bel titolo, adatto a me, perchè tutta la mia vita, professionale e non, è un lungo e spesso burrascoso viaggio per mare, in cui a volte sono conciata come Pi(scine Molitor) Patel, cioè sola su un'imbarcazione di fortuna con una grossa tigre feroce, altre volte comando una grande, solida nave da crociera, qualche volta combatto su un incrociatore, e non di rado esploro continenti sconosciuti su un veliero dagli scricchiolii suggestivi.
 
Ma ho sempre pensato che, un giorno, avrei raccolto il coraggio per scrivere un post su un aspetto della vita degli insegnanti che pochi considerano: l'impatto ormonale dei ragazzi su esseri umani adulti che passano le giornate con loro. Ho parlato, qua e là, delle mie classi come di nidi, di cucciolate, di gruppi così "miei" che sapevo dall'odore, per un meccanismo materno di riconoscimento olfattivo, in quale aula fossero appena passati. Ho parlato di tanti ragazzi e ragazze che sono stati sotto i miei occhi durante il loro sviluppo fisico, di cui ho intravisto i primi amori, di cui ho letto o ascoltato le emozioni e i turbamenti, squadernati senza pudore davanti allo sguardo di chi non è nè la mamma, nè la sorella, nè un'estranea. Qualcuno di cui si fidano in modo infantile e a cui involontariamente sottopongono a volte risvolti privatissimi, in barba alle leggi che fanno di noi algidi burocrati, giudici imparziali, severi ufficiali della Repubblica. Perchè a volte è più facile andare a parlare della prima importante esperienza a letto, o della prima vera scottatura, con qualcuno che ti ha visto bambino, e ti ha letto di Paolo e Francesca o di Angelica e Medoro, piuttosto che con un altro sedicenne o con un genitore.
 
 
Quello di cui non abbiamo mai parlato qui è l'effetto che fanno sui prof certe frasi, certi sguardi, il bisogno di condividere, di essere ascoltati e creduti, tutta questa confidenza che, giuro, a volte proprio non è nè incoraggiata nè tantomeno richiesta da noi adulti, presi da tutt'altro, ma ci investe come un acquazzone improvviso.
 
Dall'alto (euh! bum) dei miei quasi tredici anni di mestiere, posso ormai dire serenamente che sì, capita, e come, l'impatto frontale che non ti aspetti. Dopo aver chiacchierato con un po' di gente che, a quarant'anni e oltre, è in grado di discutere con il dovuto distacco delle proprie esperienze passate, emerge con chiarezza che il coinvolgimento tra insegnanti e studenti è più frequente di quanto si creda. Non sempre si avvera nei fatti la mitologica trombata con la supplente di ginnastica o l'infrascata in auto con il docente di filosofia (ah, peraltro, colleghe alle prime armi, mi raccomando: diffidare il più possibile del docente di filosofia, che può senz'altro apparire figo, nella versione tenebrosa o in quella vulnerabile, e intellettualmente arrapante da matti, ma poi si rivela un cinico divorziato senz'anima che devasta le vite delle giovani supplenti di lettere, mandandole in rianimazione dopo mesi di anoressia o tentativi di suicidio: e questa non sono io, ma ne conosco ben due che ci sono passate). In particolare, nella fascia d'età che frequento io il passare alle vie di fatto è decisamente illegale, oltre che professionalmente scorretto (ma attenzione agli/alle ex alunni/e: quelli/e diventano maggiorenni, e a volte ritornano, con intenzioni inequivocabili).
Ma esiste un livello di coinvolgimento, platonico per carità, però a volte davvero profondo, che non si può controllare con nessuna legge. C'è adolescente e adolescente. Non tutti sono teneri boccioli che si affacciano arrossendo alla vita. Non tutti i maschi sono capretti esuberanti che saltellano nel prato, e non tutte le ragazzine sono bamboline innocenti che riempiono il diario di cuoricini rosa. Senza con ciò fare di loro dei piccoli maniaci o delle Lolite senza pudore, sono tutti diversi, l'età mentale e quella fisica coincidono pochissimo nelle loro personcine in evoluzione, e noi "grandi" a volte non abbiamo la prontezza di difenderci e ci ritroviamo la freccia piantata nel fianco prima di aver visto l'arco. Questa cosa l'ho imparata sulla mia pelle, come molti colleghi e colleghe prima di me. Ora che la so, non mi spaventa più. E' che lavoriamo con le anime, i corpi e i caratteri di tanti esseri umani diversi, e che, soprattutto, siamo esseri umani pure noi. E se devo scegliere tra essere la feroce istitutrice senza cuore e la prof Castagna che a volte non riesce a far lezione perchè si butta via dal ridere, o si fa venire il groppo in gola dall'emozione, beh, io voglio essere me tutta la vita. Rischi compresi. Basta saperlo, ecco, che potrebbe arrivare qualcuno che, magari senza volere, ti apre uno squarcio nella diga, ti si presenta inopportunamente nei sogni o ti lascia semplicemente senza parole, in contemplazione di qualcosa di nuovo, fresco, bellissimo, come possono essere belli, dentro e fuori, solo gli adolescenti. Ogni tanto arriva, poi passa e se ne va. E anche noi prof dobbiamo sapere che a volte, molto più per le doti di carattere e di intelligenza, ironia, sensibilità, che per le nostre apparenze esteriori, lasciamo un segno su qualcuno. Che poi potrebbe incontrarci anni dopo, e guardarci con una tenerezza sconvolgente, annullando le proprie difese di fronte a una persona di cui si fida davvero, e rivivendo con il senno di poi le emozioni di un mondo perduto, in cui tutto quello che contava era che il tuo prof preferito ti facesse un complimento perchè eri stato bravo. Dovete pensare all'effetto che può fare essere guardati così. Non è una cosa paragonabile con molte altre.
 
 
Mentre scrivo penso al Danno, che ho rivisto ormai grande dopo l'incidente che lo ha quasi ammazzato, e che ha traversato la sala per venire a salutarmi e a me, solo a me in tutta una stanza piena dove aspettavano di sentirlo parlare della sua vittoria sul coma e della sua riabilitazione, ha detto, a voce bassa e senza minimamente vergognarsi: "Sono agitatissimo". Perchè a me lo poteva dire, anche se non mi vedeva da tempo, io ero ancora la sua prof di allora, quella che lo sgridava quando faceva il figo ma non aveva studiato, e che fingeva di non avere il batticuore quando lui le regalava i fiori raccolti lungo la strada. Ecco, in quella stanza c'erano sua madre, sua sorella, la sua ragazza, un sacco di amici, ma solo tra me e lui c'era quell'istante.
 
 
Capite che, se una cosa così ti succede nel momento sbagliato della tua vita, può aprirti un bel taglio nelle tue sicurezze su chi sei e che ruolo hai. Se poi chi ti riempie di attenzioni e visibilmente dipende dalla tua approvazione e dal tuo affetto passa con te parecchie ore a settimana, in una stanza dove si correggono aridi esercizi ma si parla anche tanto di tutto il resto, è possibile che la cosa ti faccia stare anche un bel po' male. Ma, come detto, passa.
 
 
Però.
 
 
C'è un però.

 
Soprattutto a chi, come noi, si occupa dei più giovani, bisognerebbe dare un minimo supporto psicologico per far fronte a certe cose. Ho trovato molto interessante il libriccino di un collega, intitolato non a caso "Uscirne vivi", in cui si parla delle difficoltà del nostro mestiere. Un capitoletto breve e composto, ma non imbavagliato da inutile ipocrisia, è dedicato al coinvolgimento sentimentale tra insegnanti e studenti. Menomale che qualcuno lo dice, ho pensato. Ovviamente ribadisce che succede, spesso sì, ma va tenuto sotto controllo, e da chi? Da noi, non certo da loro, che sono così ingenui a volte da scambiare le loro emozioni per l'unica legge valida sul pianeta. E io aggiungo: è' bello vedere che non si vergognano di quel che provano, che si sentono invincibili nella loro disarmante sincerità. E' fin troppo dolce, per noi adulti stanchi e disincantati, la sicumera con cui affermano un loro bisogno, molto più interiore che fisico, spesso, senza percepire l'inadeguatezza della situazione. Ma il concetto, una volta scemata l'ondata di tenerezza, imbarazzo, preoccupazione o semplice sorpresa, è semplice. Loro confondono i ruoli, NOI NO. Ci piacerebbe, magari, ma non lo possiamo fare.
 
 
Ecco perchè quest'anno così bello per me rimarrà un ricordo indelebile, di giornate piene di gioia e soddisfazione, ma con una macchia scura che rovina proprio le ultime, importantissime settimane: il pasticciaccio brutto tra uno dei miei "grandi" e una collega, tra l'altro più vecchia di me. Che rischia già la denuncia per altre leggerezze commesse sul lavoro, dal momento che confondere i ruoli, evidentemente, le piace. Ma a me, e non solo a me, leva il sonno perchè non respinge, anzi incoraggia in modo pericolosissimo, una situazione che sì, si poteva creare, l'ho detto appunto finora, ma doveva restare entro un certo limite.
 
 
E la cosa più grave è che gli altri ragazzi, per quanto noi cerchiamo di proteggerli, se ne sono accorti e sono rimasti davvero turbati.
Credetemi, se vi dico che, pur in questi pochi anni, ne ho viste già molte di cose. Ma sono venuti a parlarmi tutti seri Giudiziosa, la Nonna, Vento del Nord e Svacco e poveri ragazzi, erano così pieni di tatto nel cercare di spiegare che erano a disagio, che ad un certo punto gli occhi di Svacco si sono riempiti dell'angoscia che io non capissi, e davvero, la sua espressione quando è sbottato e mi ha detto cosa pensava, usando peraltro un modo molto controllato di esprimere i suoi dubbi, mi ha fatto un male boia e non me la scorderò facilmente.
 
 
Passo le giornate a guardare in tralice il ragazzo in questione e chiedermi a che punto sia davvero giunto il pasticcio, e se dovrei parlargli: a lui direttamente, visto che la madre problemi su dove sia, su come passi i pomeriggi, su di chi siano le macchine su cui sale, evidentemente non se ne pone. Ho paura. Per lui, prima di tutto, per la collega che, pur richiamata all'ordine con delicatezza sia da me che da altri, non si è fermata, per la classe, per noi prof, per la pace della mia povera Scuolina Rosa.
 
 
E ho anche paura di perdere di colpo la pazienza con la collega, di stancarmi all'improvviso di camminare sulle uova, e creare un casino all'esame. L'anno scorso si è visto bene, in commissione d'esame, con il povero ignorante che ha preso il posto della Compagna Collega, che cosa posso diventare io quando un docente che è in torto e di cui non ho stima mi tocca i miei ragazzi o si mette di traverso al compimento del lavoro di anni. Non vi consiglio di incontrare il mio cammino quando succede una cosa del genere. Ma temo che, con questa prof, la reazione sarebbe ben diversa da quella che il malcapitato supplente, presuntuoso e imprudente ma comunque giovane e inesperto, si è potuto permettere di fronte ai miei ruggiti. E non voglio per nessun motivo danneggiare i ragazzi.
 
 
E così, anche quest'anno all'esame non ci si annoia, vedete. Ma, io, timbrare pacchi alle poste perché non l'ho mai considerato, come opzione, perché? 

giovedì 7 maggio 2015

Fear of the dark

Anni fa, spiegavo a una prima che l'italiano è una lingua in cui, in linea di massima, a fonema corrisponde grafema e le sorprese, a parte il suono GL di cui sembriamo essere gli unici detentori insieme agli Spagnoli, sono scarse. Mi parte un esempio che mi riporta a quando, sedicenne, ascoltai la mia prima lezione di grammatica inglese in una vera aula inglese di un vero college inglese da un vero professore inglese: "per esempio, gli Inglesi devono studiare lo spelling delle parole, perché certe si scrivono con le stesse lettere ma si pronunciano diversamente, o viceversa, pensate a HERE e FEAR, poi FEAR si dice fìar ma si scrive come BEAR..."
E mi viene una battuta molto basic, di quelle che si fanno per svegliare i primini alle otto e ventidue di una mattina nebbiosa, "Fear of the Bear però suona bene, sembra il nome di un gruppo pop inglese degli anni Ottanta". Da allora, ogni tanto c'è stata, in quella classe, l'evocazione di un fantomatico concerto live dei Fear of the Bear, e tutti sorridevamo. L'Inglesina, Punta di Diamante, l'Incontenibile, Pasticcino Svizzero, Lagnosetta, Babbà, Terremoto, e tutti gli altri.

Ma ora io ho quasi quarant'anni e paura dell'orso non lo so, ma del buio che scende, ne ho eccome.
Addirittura i più vaghi segnali di tramonto mi fanno deglutire il primo groppo d'ansia, anche se sono ancora fuori e ho da fare. E non parlo della paura di non dormire, o di avere incubi, che mi sono portata avanti per buona parte del 2014 (e il 2015 a volte regge il confronto: l'altra notte, nello stesso sogno, ero bloccata su un'autostrada che finiva contro un muro, poi ero completamente nuda in ascensore mentre sul pianerottolo dove dovevo scendere c'erano il mio geometra e un sacco di altre persone... ma sognare che sto per morire perché è finita l'insulina, e che non me ne importa niente di morire, è decisamente peggio). Parlo proprio della paura di avere paura. Non paura: terrore. Cieco, irrazionale, come i bambini al buio appunto.

Non è l'EMDR che ho iniziato, perché è un fenomeno di poco precedente. Penso sia la situazione con l'Uomo. E il fatto che mi manca mio padre: non so perché ma da qualche tempo sono disperata di non poter parlare con lui di quel che sto passando, e sì che i quattro quinti di quel che ho vissuto ultimamente non so se avrei avuto il fegato di raccontarglieli, onestamente. Ma adesso ho bisogno di papà, dei suoi occhi attenti e delle sue parole pacate. Delle nostre lunghe chiacchierate di notte.

Stasera sono sola, Uomo e Princi a Firenze in gita, e ho da occuparmi del povero gatto cui abbiamo di nuovo asportato un tumorazzo e che sta smaltendo (male, tra l'altro) l'anestesia in bagno. Bagno nel quale mi s'è graziosamente fulminata la lampadina proprio stasera. Ho saltato un giorno di lavoro perché non ho chiuso occhio ieri notte, era la terza notte di fila, e mi sono alzata con un'emicrania talmente poderosa che non mi si apriva l'occhio destro. Così ho preso mutua e mi sono calata un'aspirina C alle otto di mattina, che mi ha almeno ridato l'uso dell'occhio, salvo poi accorgermi che mi erano appena arrivate le mestruazioni e quindi traballare per ore con la pressione scesa sotto la piattaforma continentale. Ho preso a male parole la postina e una rappresentante della Vorwerk che hanno osato scampanellare. Ho lasciato solo lo Zio Granduca che ha cenato in un tristissimo all you can eat giapponese per non disturbare il mio sdegnoso ritiro in tuta. Sono andata e tornata dal veterinario con la pinza nei capelli unti e una maglietta con uno strappo all'orlo. Ho mangiato quel che capitava e ridotto la casa un macello spostando cose senza particolare scopo.

Domani tornano grazie a Dio. Ho paura lo stesso, quando ci sono loro, e spesso vago in salotto alle tre di mattina, ma almeno di giorno sono costretta a sembrare normale. Però stavolta, dal medico, a farmi scrivere le goccine della felicità, ci vado davvero. Non posso andare avanti così.












venerdì 6 febbraio 2015

Quando arriva la notte

Il peggiore di tutti è stato il sogno ambientato in montagna. C'è l'Uomo. C'è l'altro. C'è anche Sanguedelmiosangue. C'è un bel sole e siamo proprio in vetta. Non so cosa ci facciamo lì insieme. Ma non è brutto.
Però, in questo sogno, io sono diabetica. E ad un certo punto ci rendiamo conto, tutti contemporaneamente, che non c'è l'insulina.
Non c'è nello zaino, e le città sono lontane. Non ci arriveremo in tempo.
Cugino, marito e amante vanno in agitazione. Si guardano, e mi guardano, consapevoli che è troppo tardi per fare qualcosa.
E io penso: "Beh, ma va bene così, dopotutto, che io levi il disturbo, no?"

Quando ho fatto questo sogno, era l'estate scorsa. Era il picco, in una serie di incubi orribili da cui mi svegliavo piangendo, parlando, gridando.

Ho ripreso a dormire in letto con l'Uomo, e in generale ho ripreso a dormire. Ma ho ancora paura di addormentarmi.

lunedì 26 gennaio 2015

I golden retriever e Angelina Jolie

Io quelle che "a ventisei anni mi sposerò e poi avrò tre bellissimi bambini, una casa col giardino e un golden retriever" non le ho mai molto capite.
Ne conosco, peraltro. Conosco gente che diceva così, ma conosco anche gente che é davvero diventata così.
E non sono desperate housewives, sono donne intelligenti, forti, autoironiche. Perché non è che i controcoglioni ce li abbiano per
forza solo le dottoresse che partono con MSF o le giornaliste d'assalto o le grandi imprenditrici. Per fare la moglie, e la madre di tre figli e di un golden retriever, e farlo bene, ci vogliono due attributi notevoli. È per quello che le donne della mia età guardano con ammirazione Angelina Jolie. Perché, anche se solo il tempo potrà dirlo, la sua famiglia complessa e composita non ti dà la sensazione di essere una facciata.
Non ti viene da pensare che i sei Brangelini diventeranno dei tossici o degli sbandati, che li troveranno suicidatisi a tredici anni e mezzo o più grandi a picchiare prostitute e bruciare barboni. Perché per quanto si possa ovviamente liquidare il tutto con "see vabbeh bravi tutti a fare sei figli con un pacco di soldi, dieci tate, la cuoca e il pediatra privato", il Brad te lo vedi che massaggia pancini doloranti, l'Angelina te la vedi in piedi alle due di notte con il termometro e l'aerosol. Io me la vedo persino a caricare lavatrici, anche se di sicuro non tocca a lei. Insomma mi dà l'idea di una madre che ha gli stessi problemi che abbiamo noi, compreso quello di non arrivare dappertutto, di sentirsi male nella sua pelle, anche se certo, lei poi nell'armadio ha dei Valentino veri, nello specchio ha Angelina Jolie e domani mattina la PAGHERANNO per baciare Johnny Depp.

Comunque.
La qui presente Castagna oggi è disangelinojolizzata del tutto. Ha la febbre, la tosse, il bagno allagato da una perdita della vicina nuova di sopra, il gatto cucito dopo un'operazione, la casa che puzza di malato e non si è filata minimamente di sapere se la figlia oggi avesse dei compiti in classe.
Ma non era di questo che si voleva qui discutere, né peraltro dei Brangelini, ma piuttosto del golden retriever e dei matrimoni ideali.

Castagna sta lottando con le ultime forze che ha per tenersi l'Uomo, il che riesce incomprensibile ai più. Castagna sarà anche stata troia, come alcuni simpatici anonimi si sono fatti dovere di ricordarle, ma reggeva da anni una situazione matrimoniale veramente faticosa e adesso, finalmente, perché non è abituata a tenergli nascoste le cose, ha potuto discutere con l'Uomo del perché e del percome un bellissimo alieno sia passato a devastare le loro vite; e l'Uomo finalmente, perché non se ne poteva più di reggere i suoi sbalzi d'umore apocalittici, sta cercando di trovare la via in mezzo a qualcosa che sembra davvero la selva oscura, tant'è amara che poco è più morte.
Castagna non crede nei golden retriever e sul matrimonio grosse illusioni non se ne era fatte, forse perché sposava un bello e tormentato dalle molte inquietudini, forse perché lei per prima era un concentrato di irrequietezze.
Ma non c'è niente da fare. Solo l'Uomo poteva sposare e solo l'Uomo vuole al suo fianco, per esempio quando è malata, quando ha paura, quando pensa di non farcela come madre, come moglie e come persona, quando insomma la disangelinojolizzazione è al suo massimo.

lunedì 5 gennaio 2015

It's the eye of the tiger, it's the thrill of the fight

Io combatto. È nella mia natura. A volte contro i mulini a vento, a volte credendomi un gran figa quando in realtà sono una poveretta qualunque, a volte combatto, sbagliando, le battaglie di altri. Sempre più spesso combatto da sola. Di recente, ho imparato a dosare le forze e a non credermi chissà chi. E a perdere senza protestare. E ad arrendermi. E a fare pace. Tutte cose da sapere, se nella vita sei nel numero di quelli che lottano.


Se smetto di combattere, diventa come in questi giorni. Sto zitta perché parlare non è solo doloroso, è anche inutile. Sto ferma perché se mi muovo giro a vuoto. Odio il momento in cui mi sveglio e ho paura di quello in cui mi addormento. Mi stanno sul cazzo tutti, mi mancano tutti, sono brusca con tutti, piagnucolo, perdo il filo.


Ne avevamo viste parecchie quest'anno, ma non era ancora arrivato il colpo di coda. Eccolo.


No, un momento.


Non posso e non voglio permettermelo. Io NON cadrò in alcun tipo di depressione.


E si badi che lo dico a ragion veduta. So di cosa parlo.
Nella mia vita ci sono stati alcuni momenti di rivelazione.
Uno è stato scoprire lo yoga. Mai più stata la stessa dopo quel pomeriggio.
Uno è stato capire che volevo insegnare. Eccomi qui, 17 anni dopo, che insegno. Mai pentita.


La fine della depressione che mi ha preso a calci la vita per quasi due anni è stata un altro momento clou. MAI PIÙ, ho pensato. Mai più.
Non voglio ricascarci mai più.


Non esiste un motivo sufficiente per farsi del male fino a quel punto. Mentre ci sei dentro, non lo sai, ma dopo averlo visto passare e aver conosciuto cos'è, non puoi accettarlo più.


Perciò combatterò per questo.


Elenco delle strategie che penso di utilizzare (metti che serva a qualcun altro che passa di qui, anche se queste sono le mie strategie, vanno bene a me e non sono una ricetta universale... ma magari possono servire come una lista di spunti)
  • correre, anche al freddo, anche al buio, anche coi crampi, correre anche poco, correre anche alternando con il camminare, anche solo mezz'ora, ma correre
  • yoga di ogni tipo possibile
  • make up compulsivo soprattutto degli occhi, e non waterproof, così devo pensarci due volte prima di piangere
  • meditazione
  • cura di ogni singola buona abitudine
  • autoironia massiccia (questa è difficile, ma esistono figure preposte nella mia vita e un paio di loro stanno leggendo...)
  • piccoli vizi (il profumo, un misurato rinnovo guardaroba, il cofanetto di una serie tv... non ci vuole molto)
  • EMDR
  • terapia di coppia
  • smalto a profusione e prodotti seri per le doppie punte (un nuovo boccettino di smalto non fa la felicità. Ma combatte l'infelicità. Quanto alle doppie punte... ho avuto i capelli lunghi per quasi tutta la vita e ci avevo rinunciato, a trovare un prodotto che me ne liberasse. Poi un commesso della Lush mi ha mostrato la Via e il risultato si avvicina di molto alla felicità, in effetti)
  • qualche breve viaggio mirato verso luoghi di bene e con persone di bene
  • togliermi dai social network


Strategie che non penso di utilizzare (ma, come ho detto, il mondo è vario)
  • disintossicazione da fumo, caffè e cioccolata
  • bere per dimenticare
  • il latinoamericano
  • il corso di ceramica
  • il trombamico
  • iniziare una collezione
  • imparare un'arte marziale
  • mollare tutto e trasferirmi in India
  • prendere un altro gatto
  • la chirurgia estetica
  • cambiare colore di capelli


È iniziato il 2015, che diamine.E io devo combattere.





lunedì 8 dicembre 2014

Questa parte della mia vita si potrebbe chiamare: crampi

Siamo a dicembre e fa un caldo strano, ci sono foglie e fiori e funghi e rami bagnati mentre corro lungo la recinzione dell'ospedale.
Il muscolo che mi sono strappata anni fa chiede di non esagerare
(Che razza di persona sono Cos'ho fatto cosa TI ho fatto Perché mi hai cercata PERCHÉ)
La schiena è fluida e calda dopo la ripresa dello yoga, il cuore ho deciso io che ce la fa se sto un po' attenta al potassio, il respiro lo alleno man mano
(Non posso stare ancora COSÌ dopo tanto tempo non posso stare ancora così per tanto tempo)
L'importante è non incontrare nessuno. Non per la tuta di mio marito o i capelli impazziti. Non per il fiatone e le guance rosse. Per la frase "Va tutto bene?" che ispiro alla gente ultimamente. Gente che non sa un cazzo. Gente per cui io sono la première dame di Hastiwood, la prof Castagna o la mamma affidataria in piena fioritura
(Maledizione devi smetterla di mancarmi devi smetterla VATTENE dai miei pensieri lasciami vivere)
cioè quel che appunto ero prima di questa catastrofe e quel che sarò forse ancora, non che del festival possa mai fottermene qualcosa anzi se mai meno che degli altri anni, ma dell'Uomo sì che me ne importa ancora e piango
(Ma mai come ho pianto quel giorno sotto il castello medievale quando avrei dovuto aprirmi la testa con un'ascia e lobotomizzare SUBITO quella parte di me che pensava quel che pensava)
e cerco di sorridere e di parlare e di farlo parlare e di ascoltare e di salvarci contro ogni previsione e di non lasciare che il dolore apra nuovi tagli
(Ero già tutta tagliata quando tu alle spalle mi guardavi e voltandomi ho preso in piena faccia il tuo sorriso e una manata di sale grosso un dolore così accecante che mi ha liberato i centri del piacere)
né in me né in lui perché mi dispiace davvero, mi dispiace
(Sii felice sii felice per sempre ogni tanto ripensaci ma sii felice che almeno tu te lo meriti e quando tutto ti farà un male porco come a me adesso resterò almeno io ancora da qualche parte nel mondo ad augurarti del bene)
Anche quest'anno mi dicono che non è possibile essere esonerati dal Natale ma io cerco di farmelo piacere
Cercherò di farmi piacere l'inverno anche se per la prima volta nella mia vita volevo l'estate
Mi farò il fiato a correre e i muscoli elastici a curare le sequenze yoga e respirerò e starò in cucina e verrà la primavera e per l'estate prossima voglio essere davvero un'altra
(Ed è grazie a te ed è anche per te e non dovrai saperlo mai ma se mi incontri voglio che tu te ne accorga voglio che TUTTI se ne accorgano Cristo che male non posso restare la stessa dopo tutto questo dolore e infatti sono già cambiata e voglio andare avanti voglio correre voglio correre ma tu LASCIAMI VOGLIO DIMENTICARE TUTTO VATTENE)

mercoledì 22 ottobre 2014

Swarovski

Quel cristallo Swarovski che ti avevano regalato: lo guardavi ogni mattina al risveglio, fedele, sul tavolino. Tornavi a casa, e la luce del pomeriggio lo faceva scintillare di sette colori. Era lì per te, quando volevi posare gli occhi su qualcosa di bello.

L'hai urtato con l'orlo di una giacca, una sola volta, e la magia è finita. Hai preso scopa e paletta e mentre spazzavi via le briciole iridescenti di un piccolo, inutile sogno, hai pensato che lo avevi sempre saputo, che non era eterno. E ti sei accorta di essere più vecchia della ragazzina che aveva ricevuto in dono il cristallo anni prima: ormai capace di relativizzare, di assorbire le delusioni, di accettare, in nome di un gradino di consapevolezza in più.

Nella mia vita nascosta tra le colline, da anni ormai c'erano delle certezze, dei perni su cui giravano le giornate: quelle di sole, quelle di neve, quelle piene di fatica e incertezza, quelle gloriose di grandi soddisfazioni. C'erano persone che, a incontrarle un attimo in un corridoio, o all'incrocio, o sulla piazzetta del paese, mi riempivano gli occhi di luce, e credevo che sarebbe stato per sempre così.

Poi un giorno lo Swarovski è caduto. Da un comodino basso, con un urto prevedibile. Crash.
Una frazione di secondo, e non c'era più.

Il 2014 è una caduta continua di cristalli che, solo ora, vedo così fragili.

Il giorno in cui l'amica che in sala prof da anni chiacchierava con me di Genova, di politica e di cani e gatti raccolti per strada ha detto "non sto mica bene": e non sapevo che era l'ultima volta che la vedevo.

Il giorno in cui Bel Ragazzo Pacato è venuto a trovarmi durante l'intervallo del pomeriggio: e ho realizzato che non parlavo più con un ragazzino impacciato, che non mi guardava più come un adolescente affettuoso, che io stessa a questo punto stavo guardando un uomo, e che qualcosa di dolce e innocente, dopo quei silenzi e mezzi sorrisi imbarazzati, era finito e non sarebbe ricominciato.

Il giorno in cui Giovane Lupo è partito per cercare lavoro all'estero, e io l'ho saputo da un tag in una foto di terzi su Facebook: e non è che non abbia capito come mai non è venuto di persona a salutare, perché lo so che si vergogna di non aver studiato e di non aver trovato lavoro, perché lo sappiamo tutti e due che sarebbe stato difficile salutarsi senza farsi venire il magone, perché lo sa che ho paura per lui, come ne ho sempre avuta, e che ho anche questa cieca, folle speranza che una volta per tutte ce la faccia a salvarsi. Ma, ora che il suo aereo è decollato, il cielo sopra Paesino di Sogno è più vuoto, io sono un po' più vecchia e un po' più sola, e ho paura di perderli tutti uno dopo l'altro.

Passando davanti alla solita pizzeria all'angolo della strada, ho visto la Mia Cocca che lavorava. Ho pensato che per adesso lei è ancora lì, a scintillare, con il suo sorriso pieno di luce, l'affetto di sempre negli occhi, che hanno lo stesso identico colore dei miei. Che quando esco da scuola posso trovarla sulla porta del locale,  o seduta sulla panca fuori, e lei, sua madre e sua sorella mi saluteranno sempre con lo stesso calore. Eppure la prima ad andarsene avrebbe potuto essere lei, quando due anni fa, appena maggiorenne, ha fatto il numero di mollare scuola e famiglia e andare a vivere con il primo tamarro che sembrava darle un'idea di partenza per la vita da grandi. Poi lui stava a casa a cazzeggiare con il computer e il telefonino, e lei doveva pulire cessi per dargli da mangiare, e beh, dopo qualche mese s'è data della scema da sola ed è tornata a casa. Ricordo che con Bel Ragazzo, allora ancora in zona alunno, mentre lei era via per questo colpo di testa, avevamo commentato "se non resta incinta, non c'è niente di irreparabile, dopo tutto". Con lo stesso tono, un po' preoccupato ma non giudicante, con cui io e la Mia Cocca, tante altre volte, avevamo parlato di Giovane Lupo, del suo futuro incerto e delle sue discutibili compagnie. E ugualmente io e Giovane Lupo, al festival dell'anno scorso, avevamo parlato di Bel Ragazzo e della sua incrollabile monogamia, persino un po' eccessiva per uno della sua età.

Ragazzi. Ex alunni. Amici. Belle persone. Anime gemelle di età diverse dalla mia. Sono cresciuti insieme, sotto il mio naso, all'ombra della Scuolina Rosa, sbracciandosi a salutare quando mi vedevano passare in auto, e facendomi il dono inestimabile della loro confidenza. E ora vanno ognuno per la sua strada di uomo e di donna, mentre io resto, e ogni mattina prendo la curva della strada e alzo gli occhi verso il campanile, con lo stesso gesto da anni.

Mi sento come se voltassi gli occhi verso il tavolino, per abitudine, senza nemmeno esserne conscia, alla ricerca dei colori confortanti del mio Swarovski attraversato dal sole, e ricordassi che non c'è più, e che è giusto così, che le cose fragili e bellissime non possono e non devono durare in eterno. Quel che deve durare è la rifrazione dell'arcobaleno, quella che splende nello sguardo che poso sulle cose. Perché io ho visto il cristallo puro, dove altri hanno visto solo tre ragazzi di paese, ognuno a suo modo incasinato, e loro hanno visto l'arcobaleno, dove gli altri hanno visto solo una prof delle medie con la testa tra le nuvole.




giovedì 11 settembre 2014

Mi lamento un attimo

Allora. Oggi ho diritto di lamentarmi. Perché da sabato ho un male cane nella metà sinistra della bocca, e guarda guarda venerdì era il giorno che operavano mia zia e sabato m'han svegliato telefonando dall'ospedale se potevo correre a tenerla buona, e io a metà pomeriggio un dolore, ma un dolore che mi sono ricoperta di sudore come avessi fatto la doccia, e guidare fino a casa (che è, quella di Genova, a dieci minuti dall'ospedale) è stato veramente difficile.

Mi tengo il dolore fino a ieri, non così tremendo per fortuna a parte i primi due giorni, e finalmente il dentista mi vede.
"Vediamo un po', questo dente dovrebbe essere devitalizzato, aspetta che te lo lavo" e ci spara dentro una siringata di roba. Poi mentre mi fanno scendere, con tante scuse, dal soffitto dove mi sono aggrappata come Spiderman, dice: "No no, qui non è normale, facciamo una lastra" e sapete che c'è?
Stavolta ho vinto il Campionato Europeo di Bruxismo 2014. Mi sono FRATTURATA il pavimento della camera pulpare. Traduco: ho stretto i denti così forte, dormendo, che nella lastra del mio molare si vede un'impressionante riga frastagliata in orizzontale, tra la radice del dente e la parte esterna alla gengiva. Il dente tagliato completamente in due da sinistra a destra, che se fosse un po' più netta la linea di frattura sembrerebbe fatta con una katana.

Insomma, finisce che mi levano anche questo dente. Punti, cloroformio, garza, ghiaccio, ciao ciao ci vediamo la settimana prossima.

Ma ora.

Io non è del mal di denti che mi volevo lamentare, e neanche della notte quasi bianca, degli incubi orrendi, della fame, del saporaccio in bocca, del gonfiore. Certo che starei meglio senza tutto ciò. Ma a me cosa deprime è che:

- è iniziata la scuola da tre giorni e io stamattina devo chiedere una sostituzione, quindi non sono al mio posto di prof;
- mia figlia comincia la scuola lunedì e io da una settimana non le guardo i compiti estivi di ripasso, nè sono andata in libreria a prendere i testi mancanti, nè sono stata a parlare coi prof, quindi non sono al mio posto di mamma;
- mia zia è in ospedale con una gamba fratturata e si agita scompostamente ogni sei ore, e io non la vedo da domenica, quindi non sono al mio posto di nipote;
- mia madre si sta sbattendo per trovarle una struttura di ricovero per quando la metteranno fuori dall'ospedale, e io a parte due telefonate non sto facendo niente, quindi non sono al mio posto di figlia;
- la casa è una merda e si mangiano solo surgelati e pasta con sughi pronti, quindi non sono al mio posto di (non fatemi scrivere casalinga, non ce la faccio) organizzatrice della vita familiare;
- e lasciamo stare il ruolo di moglie va', che in questo periodo non so come siamo girati con l'Uomo, tecnicamente s'è parlato anche di vedere se ci farebbe bene una pausa, ma ditemi quando me la prendo, una pausa, adesso, e come me la giostro con la Princi che non sa niente di tutti i nostri recenti casini e vive beata nella convinzione, peraltro fin qui non erronea, di essere semplicemente capitata in una famiglia dove ogni tanto c'è un po' di mare mosso ma va sempre tutto a finire benone.

Inadeguatezza e senso di colpa, portatemi via.

martedì 9 settembre 2014

E no!


Il primo di settembre il cielo e gli alberi etc etc e casa mia e che bella la mia scuolina, etc.



Il due di settembre il primo collegio docenti con questo preside che chiameremo il Tipo da Barca (definizione con cui, nella mia famiglia, si indicano gli uomini bellocci, abbronzati, spettinati e con le scarpe da barca classiche, pelle marrone e suola in gomma bianca; solitamente poco affidabili, e dal punto di vista economico, e da quello sentimentale: come presidi, non saprei per il momento).



Nella notte tra il due e il tre la Zia Buona (91 anni e 10 mesi) decide di alzarsi senza chiamare la badante Frau Bluecher. Fa il giro del letto e cade. Livido sull'arcata sopracciliare. Un avambraccio completamente blu. Una gamba, la destra, ferita superficialmente. E la sinistra, rotta. Per la seconda volta. Che, se aggiungiamo la precedente frattura della destra, fa tre: tre femori rotti, tre ricoveri, tre interventi. Più, sei anni fa, un bell'attacco ischemico.



Allora.

Noi si doveva partire per la capitale, per il matrimonio della Cugina Bella. Parte solo l'Uomo e io mi ritrovo a pendolare tra qua e Genova, e usare il giorno di ferie che avevo preso per il viaggio per attendere che fissino il femore della zia, con una paura nera che mi vengano a dire che non ce l'ha fatta.



La zia ce la fa. Poi, però, sbarella con la testa: non sa dov'è, non sa perchè si sente male, non sa cosa succede e forse non sa nemmeno chi sono io. Poi si riprende anche dallo sbarellamento, ma alterna fasi in cui sta benissimo ed è la mia sempre coccolosissima Zia Buona a fasi in cui è una furia degna di un poema epico greco, e urla e scaglia le cose e prende tutti a sberle. Nonché scavalca (col drenaggio, la flebo, il catetere e il tubo dell'ossigeno che le pendono da tutte le parti) le sbarre del letto e cerca di andarsene. Tutta la famiglia di mio padre essendo dotata di fisico grande e atletico e avendo praticato sport di ogni genere fino alla terza età, anche a novantadue anni e con un osso rotto, se la zia vuole scavalcare, la zia scavalca, per impedirglielo bisogna legarla. Da cui un corri corri in ospedale di tutta la famiglia (che ormai siamo io, mia madre e Frau Bluecher) a tutte le ore del giorno e della notte, perchè gli infermieri, pur gentilissimi e molto competenti, però non possono smettere di guardare tutto il reparto per tenere ferma lei.



Minchia.



Che rientro.



Comunque.



Adesso tra una settimana la dimettono. Poi deve stare un mese senza caricare sulla gamba. E poi deve andare in riabilitazione, e vediamo se ce la fa (di testa e di gambe) a recuperare un po' di mobilità.

Partirei dall'assunto di base che io, all'idea di vivere di nuovo come due anni fa, quando stava male mio padre, e cioè perennemente terrorizzata che succeda qualcosa, sempre in autostrada, a scapito del mio tempo libero e va beh, ma più che altro del lavoro e del matrimonio, e ormai anche della figlia... beh, metto la quinta, chiudo gli occhi e punto dritta verso il guardrail di un cavalcavia altissimo. Voi non potete capire come vivevo di merda. Non lo rifarei mai, per quanto io adori mia zia e sia, a tutti gli effetti, la sola parente di sangue ancora viva di cui lei disponga.

Incredibilmente, l'imminenza del mio suicidio deve essere stata recepita anche da mia madre, perchè dopo sole due discussioni, civili tra l'altro, siamo d'accordo che no, basta, a casa la zia, purtroppo per lei, non ci tornerà più. Andrà in una struttura dove un anziano non autosufficiente sia sempre controllato anche da medici, e gestito in modo professionale, con spazi e strumenti adatti. Il che costituirà modo e ragione anche per liberarci della Frau, che con mia zia è attenta e capace, ma con noi è un pezzo di stronza della risma peggiore.



Ora vedremo. Tra l'altro, l'appartamento di mia zia è allo stato dell'arte invendibile e inaffittabile. Quindi, se non ci torna a stare lei, ci sarà un trasloco in vista per noi, e neanche tra tanto tempo, mentre cercheremo di far rendere il nostro, che è piccolino e si affitta bene.



In effetti un bel traslochino era una cosa di cui si sentiva la mancanza, in un anno come questo, in cui è successo più o meno TUTTO quel che può succedere in un nucleo familiare.



Noi annoiarci due minuti no, eh.


lunedì 31 marzo 2014

Immensità


Li ho ascoltati, uno dopo l'altro.

E come il vento odo stormir tra queste piante...

Lentamente, con intonazione corretta, con un buon ritmo di pause e enjambements.

...interminati spazi...

Qualcuno riusciva anche a guardarmi negli occhi. Calmi, concentrati.

...ove per poco il cor non si spaura.

La voce della Bambola. La voce di Huck. La voce di Winnie.

...e le morte stagioni...

La voce di Occhioni Tristi. La voce di Momo.

...così tra questa immensità...

Avevo un groppo in gola. Ma sul serio tra poco se ne andranno, e con loro le ore e ore di fatica bruta che mi sono costati?

Ma sul serio adesso finiamo di gustarci i miei riassuntini snelli delle Operette morali, e poi ancora due mesi di letteratura e poi non posso più spiegar loro nient'altro?

L'altro giorno dal nulla, in un momento in cui si parlava di tutt'altro, Huck se ne esce con “A settembre qua cominciate prima delle superiori, e va bene, così la vengo a trovare.”
Ghghghgh. Che me lo dicesse qualcuno l'ultima settimana di scuola, va bene, ma tre mesi prima è record.
Del resto Huck e io ci facciamo simpatia a vicenda, senza interruzioni, dal primo giorno di prima media.
Atreiu ha fatto scene greche prima dell'inizio del giro su “L'infinito”. Che lui non la sa e non se la ricorda e che ansia e che qua e che là. Poi da un momento all'altro, quando toccava a lui, mi ha detto la poesia da 10.
“Ah ma stavi scherzando, allora, mi hai fatto la scena apposta...”
Sorriso volpino.
Poi dopo un po', tra la recitazione di un compagno e quella dell'altro, lo sento che esclama: “Però che strano il senso di colpa! Ho detto la poesia e sto benissimo. Prima c'avevo un mal di pancia...”
Dopo si informa: “Ma lei 10 e lode come lo conta?”
“11.”
“Ahh. E io quanto ho preso?”
“10.”
“Uffa.”
“Volevi l'11?"
“Sì.”
Ci siamo fatti un bel sorriso. Il mio diceva: “obiettivo raggiunto”. Il suo: “ce la faccio!”

Dylan, invece.
Lo chiamo per ripetere la poesia. Si alza e mi porta il diario.
“Non le faccio perdere tempo.”
“Non provi nemmeno?”
“No no.”
“Neanche a vedere se te ne ricordi un pezzetto?”
"No.”
Io prendo il diario e ci stampo sopra un 2, senza batter ciglio.

Più tardi, la Isinbayeva si incasina e si ferma dopo quattro o cinque versi. Le do 4.
Allora Dylan risorge:
“Ma bastava provare per prendere 4, anche se non la sai?”
“Certo. E' diverso che non provarci nemmeno.”
“Posso provare?"
“No. Te l'ho chiesto prima, mi hai detto di no.”
Non replica.

Finisco il giro e lui è l'unico in questa situazione.
Due 4, qualcuno che ha rimediato un 7 perchè s'è impappinato troppo, parecchi 9, parecchi 10, qualche lode.
Lui: 2.

“Senti, Dylan, facciamo un discorso adesso.”
Cala il silenzio delle grandi occasioni. Il bellissimo della III A non accenna nemmeno una battuta o un sorrisetto, aspetta con aria tesa le mie parole. I compagni tengono il fiato. Io sono calmissima e ho la voce più dolce e tranquilla che posso avere.
“Sei andato avanti finora sicurissimo che, ogni volta che facevi così, ti avremmo preso per mano: no L. guarda che non si fa così, prova di qua, smettila di là, insomma L. sei un ragazzo in gamba, studia, etc. etc. Abbiamo provato con le buone, con le cattive. Tu continui a cercare queste nostre parole, a provocarci per farci intervenire, e poi fai lo stesso di prima. Allora potrei provare a non dirti più niente: tu fai cosa vuoi, ti arrangi, ti do un voto quando ti devo dare un voto, e poi ci vediamo all'esame. Magari funziona.”

Vedo un reale senso di smarrimento nei suoi occhi. Non riesce a tirar su l'angolo della bocca per il solito sorrisetto amaro.
Se il discorso fosse durato ancora per tre o quattro frasi avrebbe pianto.
Mi sono fermata quando non era più in grado di alzare gli occhi dal banco.
E' sparito, non si è più mosso nè fatto sentire per un bel po'.

Dopo l'intervallo scrivo sulla lavagna tutte le fasi da cui è composto l'esame e poi chiedo di preparare un foglio con due colonne: punti deboli e punti di forza, rispetto all'esame appunto.
Li lascio a pensarci un po'. Intanto scrivo i voti della poesia sui diari.
Si materializza al mio fianco un Dylan tremante.
"E se a me viene così? Non mi viene nient'altro."
Il foglio contiene queste parole:

PUNTI DEBOLI
TUTTO

PUNTI DI FORZA
NIENTE

"Questa", gli dico sempre con voce tranquilla, "non è una valutazione sensata, Dylan. Vai a posto."

Spendo un po' di tempo a raccontare che, nella mia esperienza, lo studente perfetto esiste. Passa ogni cento anni come certe comete, ma c'è, io uno l'ho incontrato. L'anno dopo aver fatto le medie a Scuolina Rosa, era allo scientifico e aveva LA MEDIA DEL NOVE VIRGOLA OTTO. Vista coi miei occhi, sui quadri di fine anno.
Atreiu, con britannico sopracciglio inquisitore:
"Come 9,8? Di che materia?"
"Di tutte, Atreiu."
"Minchia!"
"E... sì. Credo che sia l'unico commento che si possa fare di fronte a una media del genere."
Poi continuo dicendo che invece quello che non esiste è lo studente che non impara. Quello che ha solo punti deboli. Quello che entra in prima e esce dalla terza senza essere migliorato in niente. Lo penso sul serio. A meno che non stiano a casa, se vengono a scuola noi qualcosa caviamo anche dal meno dotato.
Ma sono discorsi generali rivolti a tutta la classe. Con Dylan bisogna fare anche dell'altro.

Contavo di avere da lui una reazione di indifferenza, una battuta beffarda o un atteggiamento di sfida, quando gli ho comunicato che non gli dirò più niente.
Invece, mentre gli parlavo, nei suoi occhi ho visto il dolore di essere lasciato solo.
Pensavo comunque, anche solo per coerenza, di lasciarlo macerare qualche giorno nell'idea che effettivamente non avrei preso più in considerazione le sue richieste di attenzione.
Ma quando poi è venuto alla cattedra con PUNTI DEBOLI TUTTO, PUNTI DI FORZA NIENTE non stava facendo il pigro, lo stronzo, il paraculo. Era agitatissimo. 
Quindi non farò così, non posso mollarlo con le paranoie a marzo prima dell'esame.

Ma anche lui deve andare, prima o poi, là fuori. E io voglio che vada un po' più sereno.