Daisypath Friendship tickers
Daisypath Anniversary tickers
Visualizzazione post con etichetta Dio che male. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Dio che male. Mostra tutti i post

domenica 19 novembre 2017

E una notte tra molte

No, è che il sabato proprio non ci dice, questo fatto del dormire, ma zero eh. Il mio organismo trova ogni motivo, ogni scusa, come un bambino che non vuol fare i compiti, le inventa tutte per regredire allo stato di insonnia feroce, spietato, che da troppi anni si associa a questo giorno della settimana. E magari fosse perché vado a ballare o tiro tardi a cena con persone gradevoli, amici, parenti, l'amore della mia vita. No no.

Eppure ero raggomitolata al caldo, con una mano dell'Uomo sotto il pigiama, fino a un paio d'ore fa. Poi è rientrata la figlia e lì la scelta che si poneva al mio subconscio era:

Piano A: lasciamo che Castagna continui a dormire e intanto suscitiamo nel suo stato cerebrale uno sfogo di rabbia cieca per il comportamento della figlia, che anche oggi si è distinto per brutalità nei suoi confronti, inducendola a digrignare i denti fino a spezzarseli.

Piano B: impediamo a Castagna di rientrare nello stato di sonno e scateniamole una riga di pensieri cupi dovuti allo scontro odierno con la figlia, peraltro da lei egregiamente sostenuto, e soprattutto gestito in maniera esemplare dall'Uomo, che avrà tanti difetti ma porca troia il padre lo sa fare. Poi avviliamo Castagna con una serie di proiezioni a tinte fosche sul futuro di questa ragazzina. E già che ci siamo facciamola sentire inadeguata, indifesa, sola come una merda, rivanghiamo bene tutto quel che l'ha delusa, ferita e strapazzata negli ultimi 48 mesi, condiamo con la legittima preoccupazione per i prossimi sviluppi di una grana scolastica seria che la vede capitanare niente po' po' di meno che una ribellione contro la Preside Chic, e, quando proprio siamo sicuri che ci sia il carico massimo, facciamole venire l'illuminazione di aver fatto in giornata almeno due errori madornali in due diversi dialoghi con l'Uomo, che poi è la sola cosa di cui realmente le frega, la sola cosa che la mette in ginocchio e le fa gridare basta pietà.

Basta, pietà.

E l'altra cosa di cui davvero le fregava tanto, alla povera Castagna, era arrivare in forma alla giornata di domani, che è l'inizio del secondo corso di perfezionamento per istruttori di yoga, tenuto dalla Maestra Con La Emme Maiuscola. Ci teneva sul serio, infatti quando mercoledì si è ammalata ha azzerato tutte le attività della settimana tranne andare a lavorare, coll'obiettivo di questa domenica in cui vuole assolutamente fare bella figura e imparare il più possibile e suggere ogni goccia di quanto le viene mostrato e spiegato.

E no. Sono le due e mezza. Divano. Gattina color panna accucciata vicino. Camomilla e biscotti. Blog.

No io lo capisco cosa dice mia figlia eh. E capisco che bisogna tener duro e dire dei no, ormai sono pochissimi e proprio per quello sono irremovibili. E capisco che poteva andare orrendamente peggio eh. In fondo oggi più di metà della battaglia è stata condotta in due, è stata gestita in assoluta coerenza e sull'identica lunghezza d'onda da me e dall'Uomo, e le tre cose su cui si è fatto perno sono imprescindibili anche per la figlia. Ma sarà l'avere detto la fatidica frase "se vuoi cambiare la tua vita sei libera di farlo, ma allora lasci la scuola e ti cerchi un lavoro" (pronunciare "lasci la scuola" ha invertito la circolazione sanguigna in tutto il mio corpo e causato la lisi istantanea di tutte le mie cellule). Sarà quella cosa che tanto tempo fa ho chiesto alla Frenci (quando ancora alla Frenci si potevano dire le cose): "ma avere un figlio vuol dire che ti senti come se ti avessero aperto in due e lasciato sul tavolo operatorio dopo averti svuotato di tutti gli organi?". E non parlavo delle doglie del parto eh. Magari. Quelle più di tot ore non possono durare. Parlavo del primo momento in cui avverti la sensazione di non essere più tuo, mai più, sensazione che io ho accettato di buon grado in tutta la sua violenza, come si accetta il dolore della deflorazione, perché si sa che deve esserci ed è un passaggio irreversibile e necessario per tutto ciò che viene dopo a renderti immensamente felice. Parlavo della percezione che le tue arterie d'ora in poi siano collegate a quelle di un'altra forma di vita che può accelerare il tuo battito, drenarti via tutto il sangue, mescolarlo con fango, stelle, acqua, bolle d'aria, filtri magici, vetri rotti e qualsiasi altra cosa, per poi ributtartelo dentro e far scoppiare tutti i tuoi organi. E la cosa assurda è che quando il sangue te lo ha succhiato tutto, tutto, fino a lasciare di te un esoscheletro trasparente come una cavalletta seccata al sole, poi ti chiede un bicchier d'acqua e tu ti alzi e glielo vai a versare, anche se sei appena morto. Per carità, il bicchier d'acqua che porti ai tuoi figli è una ragione di vita sufficiente a resuscitare, anche dopo molto più di tre giorni. Per esempio, nell'estate 2015, se ci penso adesso, mi rendo conto che, in ventiquattro ore, il solo momento in cui riuscivo a mettere a fuoco qualcosa che non fosse la disperazione era quello in cui mi trascinavo in cucina e mi costringevo a preparare da mangiare per la Princi. Ma questo risucchio senza fine di tutte le energie disponibili, e questa chiarissima idea che quando forze non ce ne saranno più dovrai trovarne altre... la potenza di una cosa del genere non la sai finchè non ci sei. E quando ci sei, è troppo tardi, non c'è da nessuna parte la scritta "uscita di sicurezza". Vivi senza sicurezza, basta, ti ci abitui, a volte non ci dormi per settimane ma non tenti neanche di lottare. Se non avete figli, vi prego, credetemi sulla parola, e se ne avrete in futuro, ci sarà un momento in cui ve ne accorgerete e vi tornerà in mente quel che sto descrivendo.

Fatto salvo che io non potrei mai più immaginare di tornare indietro, e anche quando ho scritto che non dovrei essere qui ed è stato un errore tutto quanto, non intendevo dire che sono pentita o rinfacciare quanto mi sta costando. Solo che davvero non è andata come doveva andare: pur con tutti gli ottimi e innegabili risultati che la Princi dimostra di aver conseguito, c'è stato un vizio di fondo, che non è probabilmente colpa di nessuno e che non ci impedirà di andare avanti, ma c'è stato. E ce lo teniamo. Come ci teniamo l'Uomo, e come l'Uomo si tiene me. Credo si chiami amore, questo tenersi le persone così, senza mollare. O forse è follia. Ma non importa.

Importa il gattino color panna, qui. Importano la camomilla, i biscotti, il blog. Importa che siamo sotto lo stesso tetto e, anche se sto riflettendo sul mandare un bel messaggio, in cui dico che ho avuto un problema e al corso ci vado solo nella seconda parte della giornata, so benissimo che tra non molto porterò di là le mie meningi dolenti e le mie ossa rotte, e mi raggomitolerò di nuovo contro l'Uomo, e tra meno di cinque ore suonerà la sveglia e io arriverò al corso puntuale. Maestra Con La Emme Maiuscola mi insegnerà le posizioni sulla testa, avrò paura di cadere, sarò incapace di eseguirle perché non ho ancora abbastanza addominali, mi sentirò la peggiore del gruppo e penserò di nuovo di aver scelto una cosa troppo difficile per me. Arriverò a casa con dolori ovunque e dormirò, per poi arrivare a lunedì completamente tronata dalla sonnolenza e piena di sensi di colpa per non aver corretto le prove neanche questo weekend. L'Orsone mi infilerà un caffè dietro l'altro direttamente in vena e andremo insieme a fronteggiare il casino che io stessa ho sollevato venerdì, e per il quale il Gigante probabilmente mi odia, anche e soprattutto perché ho ragione, lui è d'accordo con me e quindi non può sottrarsi alla battaglia. E inizierà un'altra settimana.

Sapete cosa vorrei adesso? Essere esattamente dove sono, quella che sono, con le persone con cui sono. E' stato un errore tutto, sì. Quando alla fine tirerò il mi ultimo bilancio, saranno molti di più i giorni in cui ho pianto di quelli in cui ho gioito. Eppure.



martedì 30 maggio 2017

Del salutare una zia. E che zia. E di loti, caffè, e ippopotami



Non mi sono dimenticata che dovevo parlare di grammatica, antologia (oh!!! antologia!!! ho UN SACCO di cose da dire sull'uso dell'antologia!!!) e letteratura, e scrittura, e storia...

E' che ho fatto due cose o tre più urgenti, in questo periodo. Tipo accudire la Zia Buona. Che è stata davvero Buona con la B maiuscola, povera donna, fino alla fine. Immaginate una risonanza che mostra un cervello completamente fuso da molte piccole ischemie. Ce ne resta forse un trentacinque per cento che non è danneggiato. E quel trentacinque per cento cosa fa? Riconosce me. Carezza il viso a chi si avvicina. Stringe la mia mano. Getta baci. E alla fine, dopo aver perso anche la possibilità di muoversi, riesce a formulare un'unica parola, con giorni e giorni di esercizio: papà. Intendendo mio padre, suo fratello. La sola persona che ha invocato sempre, oltre a me.
Adesso non è più con me, ma è con lui. Insieme alla Zia Bella e ai loro genitori, amici, cugini. Tutti vestiti di lino chiaro, al sole, nel giardino in riviera. Eternamente giovani, elegantissimi, intelligenti, forti e atletici. Nessun cancro, nessuna ischemia, nessuna cardiopatia. Un bicchiere in mano, l'ombra degli alberi, il sorriso degli dèi sul viso abbronzato, come nelle foto della loro famosa festa in maschera. Sono contenta di averti finalmente traghettata là, zia, era tempo che andassi a raggiungerli, c'è un senso di grande pace nell'aver ricomposto la Trimurti, il maschio creatore e padrone, il fascino distruttivo della sorella più inquieta e la tua capacità di armonizzare. Spero che ci siano tutti i più bei gialli in inglese da leggere, là, e i marrons glacès.

Tra le altre cose urgenti che ho fatto si conta imparare a mettermi nella posizione del loto, che urgente non era forse, se sono diciannove anni che frequento i tappetini, però fa brutto un'insegnante di yoga che non la sa fare, e fa brutto anche che in posizione capovolta si veda che ho la panza, ma ce la giochiamo: sono aperte le scommesse, otterremo prima che si sciolga la pasta da pane che mi sta appoggiata sopra gli addominali o che si allunghino i tendini delle ginocchia? Non importa. Ci arriveremo. Un anno fa, altro che capovolgersi e annodarsi.

Altra cosa urgente fatta, o meglio, impostata, è un po' d'ordine nella mia vita privata. Dove non succede mai niente, ma c'è spesso motivo di preoccuparsi, fantasticare, spaventarsi e rimanere comunque confusi e nervosi. Poi di colpo si parla di bere un caffè; no, due!!! Due diversi caffè? E con chi!!!
Ed è allora che scopro che, dopo aver immaginato, per mesi e mesi, come cosa dove e quando, la sola domanda che conta è perchè. E, a conti fatti, la risposta non è soddisfacente. La cosa soddisfacente è farlo, il caffè, con la solita moka, nella solita cucina, e guardare la bellissima bocca dell'Uomo mentre lo beve. Negli ultimi due anni ho introdotto litri e litri del terribile veleno dal quale, con una predisposizione alla pressione intraoculare alta e una storia di infarti e ictus in famiglia, dovrei stare lontana come dal cianuro. Ma a parte il fatto che, per starne lontana del tutto, mi servirebbero i dodici passi e una stanza imbottita per le crisi di astinenza, c'è questo fatto che la frase “io faccio un caffè” (mia) e la domanda “vuoi/metti su/metto su un caffè?” (sua) ci hanno salvato da innumerevoli brutti momenti. E poi ci sono le sue mani mentre gira il cucchiaino, le sue cosce nel pigiama. I suoi occhi di due verdi diversi. Le sue ciglia che si muovono lentamente mentre lo assapora. Nella mia vita di coppia tutta piena di graffi, tagli mal rimarginati, scottature e cerotti, guardarlo bere il caffè è arrapante come la prima volta che l'ho visto nudo, che tra parentesi non mi ricordo, devo aver perso i sensi. Mi ricordo parecchie di quelle dopo, però. Infatti, se un giorno vorrà uccidermi, basta che metta dell'arsenico nella mia tazzina, io mica so cosa bevo quando mi siedo lì di fianco, è il mio momento di contemplazione, è una roba mistica. Gli altri due caffè che si potevano bere in queste settimane avrebbero avuto altrettanto da offrire a livello estetico, forse, ma, come disse Robert Redford in quella Bibbia della mia generazione che è “Proposta indecente”, non avrei mai guardato uno degli altri due come guardo lui. E poiché io, anche se mettendo in fila le foto non si direbbe, non scelgo mai solo in base alla fisicata, al sorriso fotonico, alle mani eleganti e agli occhi spettacolari, tutti e due gli altri caffè sarebbero benissimo in grado di capire che io voglia svegliarmi, ogni mattina della mia vita, con l'Uomo. Perchè lui, anche se a volte se ne scorda, è il solo che sarebbe disposto a spendere un milione di dollari, perchè vuole che io abbia l'ippopotamo.







domenica 19 marzo 2017

Lettera a mio padre

Caro papà,

buona festa. Immagino tu stia benissimo, lassù sul prato in mezzo all'achillea e ai cespugli di rosa canina, col tuo zaino sotto la testa, la borraccia appoggiata al fianco e il cappellino di tela calato sugli occhi.

Come saprai, la mamma sta bene, e per fortuna ha cambiato idea ed è tornata, con orari un po' più umani, a fare volontariato dai Bimbi Sperduti. Regna incontrastata sulla sua bellissima casa dalle pareti gialline, insieme alla vostra gatta, e sono sicura che ti pensa ogni giorno dopo pranzo, quando la spazzola, perchè quella era una delle molte cose che facevate insieme, con la pioggia o col sole, da anni. Ha cambiato colore di capelli, ma i suoi occhi sono sempre così azzurri. Saresti sorpreso di vedere che andiamo tanto d'accordo io e lei adesso, e forse ancora più sorpreso di vedere che, quando litighiamo, più o meno una volta all'anno ormai, ci mettiamo la stessa identica violenza di prima. Il che, ora che praticamente non litigo più con nessuno, mi fa sentire stranissima.

La ragazzina che hai visto tre volte, quella con gli occhi scurissimi e intelligenti, è di là in camera sua, ma ormai è una donna. Saresti molto soddisfatto di vedere come sa essere elegante (quando vuole...) e che passione ci mette in quel che fa. Prende dei bei voti, adesso, tra l'altro. E forse farà l'università. Le faccio studiare io le materie scientifiche, chimica, biologia, igiene. Ci metto molto impegno, mi piace pensare che tra qualche anno potrebbe essere in corsia negli stessi corridoi dove hai lavorato tu. Ma se non dovesse essere così, sappi che, comunque, da te, per forza di cose attraverso di noi, ha preso lo stesso. A volte mi sorprende con frasi che potresti dire tu. Ha quasi lo stesso tono di voce. Dio, quanto vi sareste piaciuti.

A me ha fatto sputare sangue, eh. Se esistesse ancora la possibilità di venire a sedersi accanto alla tua scrivania nello studiolo d'angolo, sarei sempre lì a raccontarti di quanto mi fa incazzare, soffrire, preoccupare, e scoppiare d'orgoglio al tempo stesso.

No, non è vero. Se esistesse ancora la possibilità di venire a sedersi lì da te, di pomeriggio o dopo cena, negli ultimi anni ti avrei parlato quasi solo dell'Uomo. Ma menomale che non c'eri, papà, a vedere i casini che combinavamo io e lui. Ti ha nominato più volte, gli sarebbe servito parlarti, e lo sa. E' venuto anche a trovarti al cimitero. Più spesso di me, che negli ultimi anni proprio non avevo il coraggio di farmi vedere, troppi sensi di colpa, troppe cose che sono andate diversamente da come avremmo pensato.

Mi avresti fatto ragionare, mi avresti detto di smetterla, papà, all'inizio di tutto questo disastro, e avresti avuto ragione. Forse ti avrei anche dato retta. Sulla fedeltà sei sempre stato categorico, e avevi ragione anche su quello. Non so se avrei potuto parlarti di quel che è successo tra noi, perchè la terra incognita che è il matrimonio una volta rotta la monogamia è una landa bruciata dalle radiazioni, dove tu non ti sei mai mosso, mentre io e alcune tra le persone a me più care stiamo appunto lottando per sopravviverci. Ma di sicuro, se avessi trovato il coraggio di dirti cosa provavo, avresti detto una o due frasi che si sarebbero scolpite nella roccia per sempre, e mi avresti dato un perno su cui appoggiarmi per svoltare. Solo che dubito che te ne avrei parlato, davvero. Troppa vergogna. Adesso potrei dirti tutto, ma non serve. Adesso c'è questo pensiero di minimizzare il più possibile il dolore, non solo il mio, ma anche quello degli altri. Credo che ti risparmierei. Ho tentato di risparmiare la mamma, ma era inevitabile che sapesse. Ha tenuto duro lei per due, per tre, per quattro, quando di me, della Princi e dell'Uomo non si vedeva più che un mucchietto di stracci sporchi. Credo che ci fosse un po' anche del tuo stile nel suo modo di reagire, ma molte cose le ha capite perchè è lei, tu avresti detto e fatto diversamente.

Però ci sono tante altre cose che vorrei che vedessi. Sanguedelmiosangue che lavora per me e gestisce ormai da solo un sacco di tutte quelle questioni di cui ti occupavi tu: dalle assemblee di condominio ai lavori di ristrutturazione. Le mie nuove amiche dello yoga. La nostra nuova gattina. Il foglio che dice che sono in consiglio di istituto. I ragazzi di seconda, ex terribile seconda B, che mi aspettano educatamente seduti al loro posto quando suona la campanella. Le persone di cui mi fido per le questioni di affari. Le amiche di sempre e i loro bambini che crescono sempre più belli e intelligenti. La struttura in cui abbiamo messo la Zia Buona, che sì, è una casa di riposo, ma sembra un hotel per anziani eleganti. La dolcezza con cui la trattano. La cura con cui stiamo smistando la roba in casa delle zie per ristrutturarla, e teniamo i ricordi di famiglia, dalla bandiera del Regno alle sottovesti maliziose della Zia Bella, dai tailleurini eleganti della Zia Buona al velo da messa della bisnonna. E naturalmente i tuoi libri, il tuo fioretto, le siringhe in vetro, i regali dei tuoi pazienti.

Io non so come andrà a finire qui, papà. Ci sono così tante cose che non dipendono più da me. Non so per quanto tempo durerò, ma cercherò di lasciare tutto in ordine, per loro e per chi verrà dopo, come avresti fatto tu, se mai, nella tua intera esistenza, ti avesse sfiorato seriamente per un istante il pensiero che anche i Titani potessero doversi arrendere. Crediamo tutti che tu ti sia reso conto di poter essere davvero sconfitto solamente negli ultimi quindici giorni. Io non sono un Titano, papà. Io mi preparo a perdere in qualsiasi momento, perchè vincere, soprattutto se si tratta di vincere da sola, non mi interessa più. Ma se perdo, devo a te, alla mamma e alle zie di saperlo fare con un minimo di eleganza. A volte penso che mi resteranno solo i tre melograni in fondo al prato, quelli che tu non hai permesso al giardiniere di tagliare perchè mi piacevano tanto, e che forse un giorno perderò anche quelli. Ma a volte mi sorprendo a parlare con la tua voce, o vedo il tuo sguardo, come se non te ne fossi mai andato. E tiro su la testa. Io non mollo. Dopotutto, sono la figlia di un Titano.


sabato 3 dicembre 2016

Lo schiocco della frusta

Dicembre non è eccessivamente freddo, finora. Il cielo oggi è rimasto grigio e dello stesso colore tutto il giorno, però, tra poco farà buio e io ho organizzato il resto della mia giornata in modo da starmene sola, e tranquilla, fino all'ora di recuperare la Princi in discoteca.

La mia meravigliosa, agognata tranquillità del sabato che diventa vuota, buia, piena di fitte appena la porta si chiude alle spalle di mia figlia.

Stamattina scollinavo da una valle all'altra sentendo nostalgia. Mi mancano diverse persone, alcune a cui non pensavo da tempo. Devono essere i discorsi di ieri sera con la Tipa.

E' un brutto guaio avere sempre un telefono in mano. Se oggi avessi avuto tempo, credo che avrei accostato la macchina e mandato messaggi di cui poi mi sarei pentita. Per dire a qualcuno che mi mancano le sue mani, a qualcun altro che mi mancano le sue lentiggini, a qualcun altro ancora che mi manca la sua voce. Poi ad altri avrei pensato solo, perchè non puoi mandare messaggi a una persona che dopo venticinque anni di condivisione ti ha brutalmente cancellato dalla sua vita per non trovarsi di fronte una testimone delle proprie debolezze, né si può scrivere o telefonare a chi ormai è in un luogo dove queste cose non servono più.

Alla fine ho chiamato solo mia madre, per parlare del referendum.

Ma intanto avevo pensato. Tu non ti ricordi se era mattina, pomeriggio, o una sera? Forse avevamo appena fatto l'amore. Di sicuro eravamo nel nostro letto, vicini vicini, stretti, con poca roba addosso. E uno dei due ha detto all'altro: “E' strano, ma mi viene da dirti che mi manchi”. L'altro, e giuro non so più chi aveva cominciato, ha detto “anche tu mi manchi, è assurdo”, o qualcosa del genere.
E ce lo siamo detti ancora dopo quella prima volta. E non era mi manchi perchè abbiamo fatto l'amore distrattamente, o mi manchi perchè stiamo poco insieme, o mi manchi perchè mi trascuri. Era mi manchi nel senso che sono con te, dentro di te, intorno a te, tutti uniti come un corpo solo, l'anima che beve dall'altra anima, piedi e gambe aggrovigliati da non sapere più dove inizi tu e finisco io, ma non ti ho ancora abbastanza, non ho placato il mio bisogno di fusione, voglio essere con te più ancora di così, voglio che tu sia me. Che non esista nient'altro. Che il mondo ci lasci in pace e che tutta la mia attenzione stia nelle pupille dei miei occhi che cercano qualcosa di indescritto, di non misurabile, in fondo ai tuoi. Sono quindici anni e mezzo che a me frega soltanto di quello. Di sapere cosa ci sia laggiù.

Era avere l'anima di un angelo, guardarti così. Volerti così.

Mi sento così sporca ora. E così sola.


Nessuno mi manca quanto mi manchi tu, e nessuno c'è quanto ci sei tu. Ai punti che quando alla sera mi giro e ti guardo leggere, penso che non capisco cosa ci faccia lì sull'altro cuscino una parte di me, e come possa succedere che davvero a governare il mio corpo e il tuo ci siano due diversi sistemi neuronali. Non lo so, sul serio. Non mi ricordo perché sei via, quando te ne vai. Non mi ricordo che cosa devo andare a fare io se mi allontano da te, a volte.

So solo stare ferma ad aspettare di sentirti arrivare. E pensare alla storia terribile dello schiocco della frusta che mi ha raccontato la Fräulein. Che non è una leggenda.




mercoledì 27 luglio 2016

Zone d'ombra: alcune delle cose che non vi ho raccontato - Intro

Stamattina mi sento di dirvi delle cose. Un po' si deve al fatto che ieri ne ho parlato con la mia psicologa, la Fata Bionda.
La Fata Bionda mi ha chiesto di cosa sono stufa, e io sono stufa delle zone d'ombra delle persone, o meglio, sono stufa di avere a che fare con persone che hanno zone d'ombra grandi come il Baden-Württemberg.
Poi in realtà questo post lo scrivo perché mi stavo alzando da letto, dopo aver letto le ultime di Zerocalcare, e pensavo che mi sarei messa a lavorare subito, perché il mio corso online alla Macquarie University ha una scadenza il primo agosto, e io già so che non riuscirò a rispettarla se non mi ci metto immediatamente. Ci sono 13 consegne da preparare. E domani finalmente rientra l'Uomo. A questo punto, ho pensato, adesso lo racconto ai miei blogamici che seguo questi corsi da due anni, tanto lo sanno già che sono una secchiona di merda, e allora mi sono resa conto che tutte le volte che leggo l'icona di Coursera sulla mia bacheca, sulla copertina del mio tablet o sul desktop del mio computer, penso sempre alla stessa scena e penso che quella scena, in qualche modo, sia l'origine del male che è successo in questi mesi nella mia vita. La piega quantica che ha risucchiato via la luce.

Per scrivere questo post devo parlare male di una persona, anzi di molte persone, e siccome sono tutte persone che hanno a che fare con me, alla fine devo parlare male di me stessa. Come sempre succede quando uno si espone su Internet a raccontare i cazzi suoi.

D'altra parte per parlare davvero male di qualcuno bisogna conoscerlo. E e si dà il caso che le persone di cui parlo qui siano tra le persone che io più amo, a cui più tengo sulla faccia della terra. E quando dico amo, non intendo ci sono stata bene in vacanza, ci ho scopato bene un paio di volte, sono stata contenta di farci un viaggio in treno insieme. Intendo sono stata al loro fianco per anni e anni, ho visto i loro momenti bui, condiviso tutte le loro fatiche. Sono stata lì anche a prezzo di grandi sacrifici, a costo di grandi litigi. Io c'ero e questo mi dà il diritto di dire quello che penso, così come loro hanno diritto di dire quello che pensano di me che mi sono a mia volta esposta.

Diciamo che nella mia concezione dell'amore questi sono quei rapporti in cui io metto veramente alla prova quello che sento per qualcuno e dopo, una volta che ne sono sicura, non posso più usare il passato, dire l'ho amato, siamo stati amici, ci siamo voluti bene.
Nel momento in cui il mio rapporto con qualcuno arriva a farmi conoscere i suoi punti bui i suoi difetti i suoi problemi e io resto, quello per me è l'Amore definitivo. Per gli altri invece un motivo per allontanarsi, forse. Ma non per quelli che mi scelgo io. Quelli restano, di solito. Perché ognuno, diceva Montale, riconosce i suoi. E qualcuno se ne è andato, lo stesso: ma a me non frega un cazzo. Io amo così, mi metto in gioco così. Io sono fatta così. E non dimentico.

Ma andiamo con ordine, perché questo è un post che fa soffrire. Ho perso l'abitudine a scrivere fluentemente e con belle parole su cazzate di cui alla fin fine non importa niente a nessuno.
Gli argomenti che sto affrontando nella mia vita sono talmente grossi che la maggior parte delle volte, qui, non ne riesco nemmeno a dire due parole. Perché il buio e il dolore creano confusione ed è nella confusione che io vivo (vivo è un po' eccessivo: diciamo respiro) da mesi.

La scena che si ripresenta alla mia mente ha una data precisa. Una luce precisa. E la voce della Frenci. La Frenci, sì. Mai più sentita nominare qui, giusto? Qualcuno di voi legge e commenta ancora i suoi articoli in rete. Qualcuno la vede e la frequenta. Io non più. Non è una scelta mia. E non era una blogamica. Era mia sorella. Gemella.
Dalle versioni di greco all'atrio di un pronto soccorso. Dal testo di linguistica al pentolino del Nescafè. Dal muretto di Vernazzola all'altare di un santuario.

Quel giorno la Frenci mi parla di Coursera. Siamo sedute allo spazio bimbi dell'Ikea di Torino. I suoi due giocano lì sotto. Noi sorseggiamo caffè. Uno dei milioni di caffè americani che le ho visto bere. E parliamo fitto fitto. Come abbiamo parlato sempre. Per VENTICINQUE anni.

Quel giorno lei mi apre per l'ennesima volta una strada. Come io a lei avevo aperto Lettere. Lei a me aveva aperto il commercio equo. Io a lei lo yoga. Mi racconta della piattaforma che offre corsi delle migliori università del mondo, con o senza attestazione di svolgimento, GRATIS.

Sorridiamo. Sento il suo odore di spezie e stoffe tinte a mano. Ce la ridiamo come al solito. C'è luce.

Poi io dico: "Ecco vedi. Proprio questo mi serviva. Togliermi delle soddisfazioni senza rincorrere col tempo e i soldi una seconda laurea, e soprattutto i voti. Basta, ormai, essere valutati. Io so cosa valgo. Voglio studiare. Voglio una cosa bella gratis."

La mia voce dice: "Voglio una cosa bella gratis". 
E in quel momento gli dèi mi ascoltano. E puniscono la mia hybris. Dandomi quel che chiedo, o peggio, facendomi credere di ottenerlo.

Dopo pochissimi giorni da quel dialogo, alla mia porta si presenta, del tutto spontaneamente, una cosa bella. Bellissima. E inaspettata. Ma non era gratis. E da quell'istante le zone d'ombra hanno preso il potere tutto intorno a me. Quel giorno all'Ikea è stata probabilmente l'ultima volta che ho sorriso immersa nella luce.


mercoledì 6 luglio 2016

My name is Victor Frankenstein

Questa sera sono riuscita nell'intento. Capitemi. Io mi sono laureata a Lettere dando quanti più esami di lingue potevo. Lui si è laureato a Lettere con una tesi su Amleto. Lui mi ha iniziato al genere horror. Io ho iniziato lui al vedere le serie tv inglesi in lingua madre.

Cioè. Vedere insieme Penny Dreadful è inevitabile. L'ho preso in una sera in cui non poteva resistermi, indebolito da un virus, dall'assenza della figlia e dal mio circolare per casa da giorni in pigiamini inesistenti. 

Piangere davanti a Penny Dreadful, dopo che io l'ho fatto già da sola davanti alla prima serie (2 volte), alla seconda e a metà della terza, sarà una logica conseguenza. Ma vuoi mettere piangere sola davanti al pc dell'ufficio e piangere sul divano vicino a lui. 

In questa settimana così strana, in cui siamo qui di nascosto da tutti. Crede lui, almeno. Invece lo sanno tutti i miei: parenti, amici e la sola collega, la Fraulein, che conosca il macello in cui siamo finiti. Lo sa la figlia. Lo sanno conseguentemente amici, psicologhe, educatrici, parenti di amici della figlia. E la categoria parenti di amici della figlia ha punti di contatto con la categoria amici di lui. Ma lui continua a credere che sia il caso di uniformarsi alle regole di un mondo in cui, se non riesci a lasciare tua moglie, sei strano. Lo stesso mondo che crede che se prendi una sbandata automaticamente manderai in merda un matrimonio. Lo stesso mondo che crede che una ragazzina di neanche 19 anni si faccia fregare dalla vista di un anello e non guardi negli occhi chi glielo regala. 

Noi tre siamo strani, forse. 

Ma non me ne potrebbe fregare di meno. Del mondo, intendo. 

Le cose di cui mi frega sono che ieri notte abbiamo salvato un riccio da morte certa. Che abbiamo mangiato i gofri sul prato. Che lui canticchia. Che io sorrido. Che la figlia, pur nel marasma, tifa ancora per noi. Che c'è una piccola tomba in un prato verde e noi, da quando non c'è più il nostro piccolo genio protettore, dormiamo di nuovo qui insieme, perché questo è stato il suo ultimo regalo. Che c'è una casa in montagna che ha il nostro odore. Che le vacanze sono iniziate il giorno uno in cui è finito il lavoro, perfino per me, quest'anno. 

Non fraintendetemi. Non va bene. Non è tutto a posto. Non è come prima e MAI, MAI, dovrà essere come prima, lo so, ne sono convinta e però mentre lo dico so cosa sento, quel dolore sordo lì nel centro. Sto come una profuga che forse un giorno si adatterà al nuovo stato in cui vive, ma mai potrà tornare a casa. Mai. Sono morta a 39 anni e la mia esistenza ora non è più quella, anzi: la mia esistenza non è. Punto. 

Ma al livello di questo nuovo piano della sostanza in cui, mio malgrado, mi sono trasferita, io, ectoplasma di quella me che voleva le cose, che decideva, che pensava di sapere, in qualche modo tocco ciò che ancora esiste. Non sono più nessuno. Ma ho rapporti con persone, che non saprei dire se esistano realmente o siano, come me e l'Uomo, entità perse in un limbo, lemuri opachi intinti nel dolore. Cioè, tranne la Princi. Lei è vera. Lei è sangue che pulsa e odore di frutta e pelle fresca contro la mia così accaldata. E pochi altri, direi, esistono concretamente. Il Gigante coi suoi bellissimi occhi scuri. La Fraulein con la sua voce decisa. Mia madre. 

Poi gli altri, gli altri non lo so. È come annegare in un'acqua bianco latte, sentendo le alghe sotto le dita dei piedi, vedendo emergere dalla nebbia volti, voci, una mano grande, scura, dolce, che stringe piano la mia (e inevitabilmente: grazie, grazie per questo gesto leggero, per essere stato per l'ennesima volta attento a non rompermi), una voce in lontananza che si incrina capendo che anche questa volta negherò la mia presenza, le facce e le frasi dei miei amici, di Sanguedelmiosangue, delle compagne dei due corsi yoga. Sono persone che come me stanno soffrendo ai punti da chiedersi se possa mai finire, che annaspano sperando di aver capito cosa sia giusto fare. Alla cieca. 

A distanza di pochi giorni, una blogamica da poco ritrovata e SDMS mi hanno chiesto se secondo me è la generazione, il momento storico in cui siamo. 
Non ho dubbi nel rispondere sì. Ma questo non toglie la responsabilità personale di lottare fino alla fine per quel che è bene. Anche se abbiamo perso in partenza. Penny Dreadful, appunto. 

Mio marito, che della nebbia lattiginosa, dell'inconfessabile lato oscuro, dell'attrazione per la morte è in questa temperie il principe e il pontefice, è sempre stato un uomo di una sensibilità immane. E che ora stia facendo carne trita e polvere di ossa delle figure che ha intorno a sé non elimina che sia una persona profonda e intelligente: almeno tanto quanto il suo essere profondo e intelligente non lo giustifica nel momento in cui si guarda allo specchio e si vede coperto di sangue altrui. Mi chiedo se capirà davvero perché io ci tenessi tanto a fargli vedere questa serie tv. Sì beh certo per i poeti sepolcrali e romantici inglesi, e per i costumi di Gabriella Pescucci, isn't it obvious, Mr. Chandler? 

E io guardo la lacrima incredula che si stacca dai meravigliosi occhi tormentati di Harry Treadaway, quando il suo personaggio si accorge di essere riuscito nell'intento di fare qualcosa di buono. Che gli è costato anni di duro lavoro, notti bianche e patti col diavolo. Compromessi uno dietro l'altro, cinismo. Sangue. Per un istante di assoluta perfezione di cui nessuno può condividere la gloria, nemmeno la creatura che con le tue stesse mani hai portato in vita. 

My name is Victor Frankenstein. 















domenica 29 maggio 2016

Collage

Volevo riprendere a scrivere.

Non sapevo come fare.

Ho aperto gli appunti sul cellulare e copiato stralci a caso.


Disclaimer: ci sono errori di scrittura, poca punteggiatura e addirittura strafalcioni ortografici, perché a volte dettavo al tablet. Ce li lascio per dispetto, per onestà, per pigrizia, per troppo dolore. Insomma, ci sono. Amen.


Seduta sul prato a Rimini di fronte a uno spettacolare centro congressi elaboro la certezza di dover vi degli aggiornamenti su tutto quello che è cambiato nel frattempo sono stata poco sincera con voi poco aperta ho detto poche cose di alcune continua a non voler parlare di altre invece ho bisogno di voi ho bisogno di condividere ho bisogno di un parere o forse semplicemente di poter dare una testimonianza





Ingredienti per i Fekkas:

500 g di farina

3 uova

40 ml di olio vegetale

60 ml di acqua di fiori d’arancio
             
1 cucchiaino in lievito in polvere

Un pizzico di sale



I am not to speak to you, I am to think of you when I sit alone or
wake at night alone,
I am to wait, I do not doubt I am to meet you again,
I am to see to it that I do not lose you.


Chi cazzo sei diventato?






Through many dangers, toils and snares

I have already come;
'Tis Grace that brought me safe this far,
And grace will lead me home.






In questa vita non puoi mai dire cosa succede. Per esempio ti trovi alle cinque di mattina no dai cinque e tre quarti per essere precisi, che cammini tranquilla sulle strade deserte del tuo quartiere invece di pensare che stai percorrendo il boulevard of broken dreams come sarebbe anche logico pensare visto tutto stai pensando che sei contenta sei contenta di aver lasciato la tua bambina col suo fidanzato è un sacco di amichetti
Più o meno raccomandabili alla partenza del pullman per Gardaland e sei contenta perché stamattina lui ti ha scritto grazie con la faccina sorridente dopo che tu alle 4:00 lo hai depositato alla partenza del pullman per la gita in Francia e sei contenta perché non hai dormito un c**** ti sei svegliata alle 3:30 ma sei contenta perché dormito luci spente per una volta e perché la prima cosa che ha detto lui al mattino svegliandosi ti ha fatto morire dal ridere e tu pensi come è bello svegliarsi insieme e tu pensi perché perché perché perché perché perché perché quest'anno di m**** eppure non importa è tutto alle spalle davanti non si sa cosa ci sia quello che c'era dietro non tornerà mai più ma intanto questo siamo noi adesso due persone che si conoscono per la prima volta eppure San tuttoE poi pensi al Tanaro alle sue spire verdi che si svolgono in mezzo alla pianura pensi al piccolo Belvedere dietro la chiesa a lui che ti abbraccia e dice è da cartolina epensi noi siamo da cartolina ovunque vada con te valeva il viaggio il viaggio fin qui valeva la pena il viaggio con te vale sempre la pena








lunedì 28 marzo 2016

Legatissimi

Solo 4 anni fa il significato del termine legatissimi per me era questo. Qui è descritto davvero cosa vivo con l'Uomo, sempre che sia possibile descriverlo. E io unicorni rosa e paradisi coniugali non li ho mai considerati importanti. Questo invece sì. Questa sensazione che non mi riposerò mai. Non camminerò mai senza rischiare. Eppure se lui posa nei miei quegli occhi di due verdi diversi, impossibili da guardare senza un capogiro, io ho tutto, tutto quel che volevo.

Oggi che siamo legatissimi è un concetto che tutti sminuiscono, e lo capiscono solo quei pochi rimasti a vederci insieme, che però per vederlo devono infilare la testa in una fessura e cogliere un attimo. Uno sguardo. Una frase. E dire che noi eravamo quelli che si baciavano facendo la spesa, in una corsia del supermercato, anche arrivati a dieci anni di matrimonio.

Nostra figlia ci fotografa  a sgamo mentre siamo da mia madre, e poi mi fa vedere come eravamo seduti. 

Già. Come due legatissimi.

E adesso legarlo è l'ultima cosa che gli farei. E lui lo sa. 

Ci hanno detto e ripetuto che la simbiosi non è amore, è dipendenza. Sarà anche giusto. Ma quanti tra quelli che ce l'hanno detto hanno fatto tremare le fondamenta delle montagne, hanno attraversato le foreste che abbiamo visitato noi, hanno sentito quell'odore, scambiato il sangue, salvato innumerevoli volte il compagno di trincea, scavato fino al centro della terra per trovare le risposte? Forse conoscono la simbiosi. La dipendenza. Ma quanti possono dire di aver conosciuto una cosa come la nostra, evidente dal primo giorno, insuperata fino all'ultimo, punteggiata di disastro e miracolo in ogni momento anche stupido? Quanti hanno incontrato la persona con cui anche portare giù la spazzatura è bello e significativo? 

E se adesso non esiste più la simbiosi e nemmeno la dipendenza, quello che ci succede che cos'è? 










mercoledì 23 marzo 2016

Quel posto tra il buio e la luce

[Svegliatemi. Sono qui, infermiera. Infermieraaaaaa.

Dai estubami, infermiera del mattino, respiro da sola.

Respiro. Ieri respiravo, te lo giuro.

Infermieraaaaaaa!

Ti giuro posso vivere senza queste macchine. Vedi? Ieri a un certo punto ero a yoga. Davvero. Ho fatto una posizione di equilibrio su un piede e una mano, sul serio. Fighissima. E oggi mi hanno sentito ridere. In piazza. Mi hanno sentita.

Fammi scendere da questo letto, infermiera.

Buio. Infermieraaaaa.

Non è vero che ho i muscoli atrofizzati dopo tutti questi mesi. Ho abbracciato mia figlia prima di pranzo.

Infermiera di notte? Dove sei vecchia baldracca? Vieni qui subito. Estubamiiiii, bastaaaa, devo dire una cosa ad alta voce.

Ho imparato una canzone nuova, infermiera. Amazing Grace. La canto da sola in ufficio, pregando per lui, per me, per noi.

Ho questi fotogrammi, sono certa di aver fatto cose, detto frasi, toccato persone. Non è colpa mia se non mi ricordo cosa ci fosse in mezzo. Sono solo molto assonnata. Ma non sono morta.

Non sono morta, vecchia troia dall'aria stanca, vieni qui, vieni SUBITO qui e TOGLIMI questi tubi. Devo scendere, cazzo.

Non.
Sono.
Ancora.
Morta.

No, non lo so dove sono stata ieri. Ma mi ricordo di lunedì sera. Della cantante coi capelli rossi e del pollo alla griglia. Dell'odore polveroso del cinema. Non me lo sono sognata.

Infer... dottore!!!! Dottore la PREGO. Mi guardi dottore. Vede che va meglio? Dottore la supplico. Mi faccia alzare. Devo andare dottore.

Glielo prometto dottore faccio la brava. Prendo tutte le pastiglie faccio tutte le sedute non ci provo più glielo giuro a farmi male. Voglio solo andare a casa. Devo andare a casa.

Dottore non mi dica che devo restare qui. Ho lottato tanto. Ho aspettato tanto. Perché non posso andare a casa adesso?

Dottore... sa cosa abbiamo inventato? Un nuovo gioco. Si chiama Ti amo - Cazzi tuoi. È la prima cosa di cui abbiamo riso insieme da tanto tempo. Quella, e il bradipo di Zootropolis. Lui mi fa ridere dottore. Anche ora, anche così.

Voglio andare a casa.

Dottore... infermiera... ditegli di venirmi a prendere.]

-...e la 14 come va?
-Nottata agitata. Parametri stabili. 
-Il tracciato?
-Eh, ci sono queste punte.
-Mmm. Non va bene. 
-No.
-Non pensiamo di provare a staccarla per ora, no?
-No no. Muore se la stacchi.
-Già.
-...
-... 
-Okay.
-Okay. Infermiera, ancora cocktail per la 14.
-Va bene.

[Dottore? Dottori? Infermiera? Perché andate via? Infermiera?]


R

lunedì 7 dicembre 2015

Penelope e il granchio

Ehi, ci sei?

Eccoti! Anche stamattina.

Aspetta che mi siedo. Brr. Non fa mica caldo, sugli scogli, a questa stagione.

È meglio, comunque, di quando erano roventi, quest'estate. Sì lo so, tu hai freddo. Come si difende dal freddo un piccolo animale come te? Non hai pelo, la tua corazza rigida ti impedisce di scaldarti mettendoti vicino ai tuoi simili. O forse no? Dormite tutti insieme, voi granchi, o ognuno nel suo anfratto?

Io mi tiro addosso le pellicce, ma il letto è troppo grande, è vuoto. Mi alzo spesso per vedere se Telemaco è sveglio, ormai è un uomo, in fondo al letto escono i piedoni e due polpacci pelosi, quando dorme. Girerei per le sale, ma sotto ci sono quelli là che bevono e ridono, che dicono che Ulisse non tornerà, che devo pensare al futuro, poi diventano molesti, offensivi.

Verrei qui, da te, ma è pericoloso camminare sugli scogli al buio. E anche nelle notti di luna: quel mare nero che mi chiama è troppo vicino. Lasciarsi scivolare giù sarebbe questione di un istante.

Meglio alzarsi poco prima dell'alba. Dormono tutti, anche i Proci, anche i porcari, anche i cacciatori. Solo Argo mi vede passare, povera bestia. Tempo fa veniva con me, ma non ce la fa più, è malato, è sempre stanco. Sogna, e lo vedi che muove le zampe e le labbra. Forse sogna Ulisse, di saltargli addosso, di leccargli la mano.

Anche io sogno. Ma sarebbe meglio se non dormissi, dato quel che sogno.

Euriclea mi ha scoperta, una mattina. È anziana, ha il sonno leggero, si cura che io mangi, mi lavi, dorma. Mi ha seguita, coprendosi i capelli con il suo scialletto. Ha visto che venivo qui. Mi ha studiata, tre o quattro mattine di fila. Poi ha visto che, quando tornavo, ero meno triste. E allora ha capito, e ha smesso di seguirmi.

È che qui, comunque vada, poi il cielo si rischiara. Il vento salato sposta le nuvole, il mare canta, si alzano in volo i gabbiani.

Da qualche parte, lui sta guardando la stessa acqua.

Io ho superato un'altra notte. E tra poco dovrò alzarmi da qui, andare a casa a far funzionare le cose.

Itaca deve vivere. Itaca deve essere prospera e felice. Itaca deve essere la terra da cui non si può stare lontani. Lo so che lui ricorda ogni roccia, ogni tana di animale, ogni cespuglio. Lo so che, là dove si trova, non importa quante battaglie, quante regge, quante spiagge abbia visto, lui non dimentica.

Chissà se il suo odore è cambiato. Chissà i calli nelle sue mani, le rughe intorno ai suoi occhi. Di certo anche io sono diversa, ormai. Ma se immagino il suo ritorno, oh, nella mia fantasia lui è segnato, è abbronzato, ha nuove cicatrici, nuovi segni del tempo e del destino che lo ha tentato, che lo ha chiamato ad andare lontano. E io bacio ogni millimetro, scavo ogni ferita, sfioro ogni macchia, e lo sento, lo sento che riaffiora, eccolo, il mio bellissimo, giovanissimo marito, che alza gli occhi dalla legna che ha tagliato, si scosta i ricci dalla fronte sudata e mi sorride, mentre il sole gioca coi due verdi diversi dei suoi occhi pieni di gioia. Io sono sulla porta, ho i piedi nudi, con una mano tocco il piccolo ventre che sta tendendosi sotto il peplo chiaro, i miei capelli sono mossi dal vento, sono una regina, la sua regina, ogni volta che mi guarda così tutto il mondo si stende ai miei piedi e niente, nessuno, mi farà mai del male.

È una scena di tanto tempo fa, ma io ancora sento l'aria tiepida della primavera che scorre sulla peluria delle mie braccia, il gorgoglio della pancia dove una nuova vita, mia e sua, sta crescendo, e sento il suo respiro affannato dal lavoro, sento la sua voce. Avrà per sempre quell'abbronzatura, quella forza, quel sorriso, non importa in che condizioni il mare lo riporterà da me.

Ognuna di queste onde, vedi? potrebbe aver toccato la sua nave, averla spinta. Ognuna è la gemella identica dell'onda che un giorno lo riporterà a Itaca.

Per questo io vengo qui ogni mattina. Per ringraziare le onde. Finché si muovono, io posso sperare di vedere la sua vela che si avvicina.

Finché si muovono, io lo aspetto.

All'inizio, sai, avevo paura che il mio cuore si spaccasse per il dolore. Telemaco piangeva, le notti non finivano mai. I giorni erano una nebbia confusa, gente che dava consigli, io stessa che esprimevo sospetti, domande, recriminazioni. Il cibo non aveva sapore. Il cielo era nemico. Le piante mi si aggrovigliavano intorno ai piedi quando correvo lontano verso il monte, per trovare un posto abbastanza isolato da mettermi a urlare.

Ora, non so. L'ho aspettato tanto, ho lottato, ho tenuto il mio dolore e le mie speranze in catene. Avrei più che altro paura che il cuore mi cedesse al suono del suo piede che calpesta la sabbia. Che la pelle mi cadesse di dosso quando i suoi occhi, posandosi su di me, vedessero una donna stanca e sola, non la giovane, lucente regina che ogni notte, sotto le sue mani, era morbida creta impastata con polvere d'oro. Di disfarmi in un turbine di ceneri, dopo che tutto questo amarlo mi ha consumata per troppi mesi.

Ho paura, sai, piccolo granchio. Che non torni mai. Che torni troppo tardi. O troppo presto. Che torni per darmi il colpo di grazia, ripartendo un'altra volta.

Ma non posso pensarci, ora. Sta per sorgere il sole. Devo andare, Itaca non si governa da sola, anche se Telemaco ormai è la mia forza e la mia gioia. Sono orgogliosa di lui. Suo padre deve venire a vedere quanto gli assomiglia.

Se a volte sono stata tentata di mollare, di lasciarmi guidare da altri, guardare Telemaco che cresceva mi ha ricordato tutto quel che rischiavo di dimenticare. Ma Telemaco somiglia a Ulisse perché io gli ho trasmesso quel che lui avrebbe voluto insegnargli. In realtà, lui suo padre non lo ricorda. Non c'è in lui la consapevolezza di essere suo complice, suo specchio, nel modo che ha di tendere la mandibola, di passarsi la mano sugli occhi quando ride.

In realtà, la sola che sa quando Ulisse riderebbe, o aggrotterebbe la fronte, o farebbe un gesto di fastidio, e come lo farebbe, e perché, e pensando a cosa, sono io. Io che sono ancora viva perché nell'aria, davanti a me, vedo la sua espressione, sento riecheggiare la sua voce, ogni volta che apro bocca o penso qualcosa.

Vado, adesso. Guarda! Una barca! Ah... ma è il vecchio Laerte che esce a pesca. Poverino, anche lui. Stasera andrò a trovarlo, così parleremo di Ulisse, di quella volta che il vento ha fatto cadere i rami del grande albero al centro del cortile, e lui quasi si è ucciso per salire a spezzare un grosso ramo rimasto penzolante, e io che guardavo da sotto l'ho visto perdere l'equilibrio, e cadere sul tetto. E poi siamo corsi dentro e lui rideva come un demente, perché aveva sfondato il tetto proprio sopra il deposito della lana e non si era fatto niente, davvero niente. E io mi sono messa a piangere e poi a ridere fino a restare senza fiato: come ero giovane e scema! E quando sono stata senza fiato del tutto lui mi ha sorriso, e io ho pensato che avrei potuto non vedere più quel sorriso, e sono svenuta. Laerte non lo sa, ma quella è stata la notte in cui abbiamo concepito Telemaco, dopo che Ulisse mi ha coccolata e consolata e mi ha giurato che mai e poi mai mi avrebbe lasciata sola. Mai. E poi mai.

Maledetta ogni singola onda che lo ha portato via. Maledetta me che gli ho creduto. Maledetti dèi. Maledetta Itaca che non ti sradichi dal fondo del mare per andare a cercarlo. Maledetto tempo che non passa mai.

Maledetto il mio cuore, che anche stanotte non si è spezzato.

Maledetto questo scoglio su cui consumo le mie albe.

Domani tornerò.




















domenica 1 novembre 2015

Would you please get the fuck out of my silence

Come disse mio cugino (e pensava di metterlo sullo stemma della sua casata nobiliare): "Voglio quietare, cazzo".

Traduco.

Ho ripreso chili, 3 e mezzo sui 4 e mezzo persi, e già questo sarebbe triste. Li ho ripresi in gonfiore in punti assurdi, tra l'altro. Le cosce le braccia etc. La vita no. Il collo sì. Con sopra la faccia che, invece, sembra patita.

Bene. Tutto questo sta per finire, lagne comprese, perché a) non me ne fregherebbe un cazzo di non essere repellente se non fosse che b) devo assolutamente farcela a essere gradevole agli occhi dell'Uomo e c) devo mettere in bolla la pressione arteriosa perché mi hanno trovato la pressione dell'occhio alta e d) devo anche fare un po' caso al discorso zuccheri caffè sale etc perché sto somatizzando di brutto e mi ammalo a nastro. Sono al terzo virus preso in un mese e ora anche basta.

Comunque era per dire che se mi guardo vedo un rottame, a parte per due dettagli, i capelli che oggettivamente sono belli e adesso ben tenuti grazie alle sapienti forbici della Princi, e gli occhi che sembrano più grandi e più verdi che mai, forse a causa del continuo processo di autolavaggio cui sono sottoposti.

Oltre a ciò, la legge non scritta che vige ormai da aprile è
costituita da tre comandamenti: i primi due sono "Donna, tu non vedrai gente", e "Donna, tu metterai la tuta ogni volta che puoi e cioè non quando vai a scuola, non quando esci col marito, non quando vai in giro per lavoro. Ma in tutto il resto del tempo sì". L'altro comandamento è "Donna, tu, salvo impegni di lavoro e uscite col marito, vedrai la luce del sole solo per andare a camminare (quindi in tuta), a yoga (quindi in tuta) o al mattino prestissimo e alla sera tardi nel weekend (quindi in tuta)".

Capite quindi il mio disagio quando, due volte la settimana, devo comparire sugli spalti della piscina comunale vestita come un essere umano di sesso femminile che torna dal lavoro. In pantaloni, perché io la gonna la metto quando non vado a lavorare.

Già, andare alla comunale rappresentava un problema l'anno scorso. Prendi una donna, trattala male, lascia che ti aspetti per ore, ma non mandarla ANCHE ad aspettare la figlia costringendola, per 45 minuti due volte la settimana, a vedere la corsia di agonistica degli adulti, Dio buono.

Quest'anno poi mio marito ha scelto l'atrio della piscina come luogo di tortura, dato che è lì, nei 15 minuti in cui aspettiamo la Princi mentre si asciuga, che mi spiattella cose, mi butta fuori frasi, mi sega le gambe con proposte.

La corsia agonistica della prima fascia oraria serale merita meno dell'anno scorso, grazie al cielo. In compenso, ho discusso al bar di Memole Follettodeifiori la presenza inquietante, nella seconda corsia nuoto libero, di due, a volte tre manzi, che fanno due vasche con stile sciolto, poi si piazzano statuariamente al bordo con braccia conserte, e passano dai 20 ai 30 minuti a mollo come antichi Romani alle terme, parlando fitto. Dalla faccia serissima si capisce inequivocabilmente che parlano dell'origine del mondo, che Dio la benedica, tutto il resto, come dicevano i colleghi di mia madre, non è che mistificazione.
Sono gradevoli da guardare, ma io più che altro li ho studiati perché mi faccio domande profonde. È evidente che non sono lì per il rimorchio. Altrimenti ciondolerebbero altrettanto statuariamente in palestra, a quell'ora. Lì ci sono pochissime persone, i corsi dei bimbi sono finiti, quindi niente nugolo di madri panterose (quelle si eclissano appena va via il Perfido Lucian, l'istruttore gnocco), non è un'ora da ragazze, ma da exatleti che si mantengono in forma e grosse signore che tentano di fare aquazumba sfidando il ridicolo. Non si guardano in giro, i manzi, parlano secco, deve essere un po' come quando io e la Frenci andavamo all'Ikea e ci stavamo tre ore senza comprare niente, solo per parlarci. È una cosa carina, si vede che sono amici, soprattutto due, il terzo ogni tanto nuota anche. E io mi chiedo quand'è che si fanno la fisicata, se lì non muovono muscolo. E mi chiedo perché non vanno a farsi un aperitivo, che costa quanto un ingresso in corsia nuoto libero, se tanto devono solo parlare.

Comunque. Una sera della settimana scorsa si verifica invece uno scenario del tutto diverso. Io poso la Princi ma invece di stare a vedere corro a fare la spesa e preparare cena, ché sono stata in giro tutto il santo giorno. L'Uomo non c'è (...). Ma è la settimana del nostro anniversario di matrimonio (...) e io ho dedicato 4 giorni a ristrutturarmi, pulizia viso depilazione fatta bene e anche nuovo taglio di capelli. Insomma, ricompaio in piscina per prendere la Princi che sono ancora vestita e truccata da lavoro e eccezionalmente ho la piega in perfetto ordine.
Entro correndo e sono già in preda ad un preoccupante giramento di testa, poiché appunto corro da ore, ma anche perché ho il cappotto e in piscina c'è il clima dell'isola di Giava.
Mi abbatto sulla balaustra e guardo se la Princi è ancora in vasca.
Oh.
Ah.
ECCO dove era finito il corso agonistica adulti come Dio comanda, santa Madonna. Questi non stanno a bordo vasca a parlare, no no.
Ma soprattutto. Ecco dove stanno quelli che alle parole preferiscono i fatti.
Il tempo di realizzare che la Princi non è in vasca e neanche a bordo vasca, quindi deve essere uscita da pochi secondi, e in quattro, in due corsie diverse, mi hanno radiografata bene. Addirittura colgo un labiale: "La conosci?" rivolto al miglior pezzo della corsia cinque, che dopo un "No", comunque, si volta di nuovo, forse per stabilire se è il caso di.
Bene, prendo nota. Corsie ad alto impatto ormonale solo dopo le 20,30, è gradito il cappottino sciancrato, astenersi perditempo. Infatti mi asterrò, da ora in poi.

Mi torna in mente una conversazione con SDMS di qualche settimana fa, sull'opportunità di considerare un corso universitario denso di venticinquenni.

Come se questo potesse risolvere qualcosa.

(Il video che segue me lo fece notare su Mtv anni fa l'Uomo, come del resto "My Immortal" del post precedente. Sconsiglio caldamente la visione a chi non ha in corso una relazione sentimentale più che felice. E anche a chi ce l'ha. Io allora ce l'avevo, e adesso é ancora peggio rivederlo.)











mercoledì 5 agosto 2015

D(')estate

Castagna sta sperimentando la prima estate della sua vita quasi interamente passata in città.
Data la sfiga galattica che affligge i suoi spostamenti (macchine rotte/rubate/ritrovate distrutte/nuove che si guastano/sostitutive a singhiozzo) non ci giura, che la settimana prossima riuscirà finalmente a togliersi dalla rovente Padania.

Se ci riesce a livello logistico, spera di riuscirci anche a livello di testa.

Ma sappiamo tutti che anche la marmitta mentale, il carburatore psicologico, il radiatore emotivo, sono a rischio di mollarci strada facendo.

Non va bene, ecco. Continua, da troppo tempo, a non andare bene.

Non esiste più limite all'insonnia, che ormai mostra il giro completo dell'orologio. Non esiste limite ai luoghi in cui ci si può mettere a lacrimare in silenzio, ma il supermercato e il centro commerciale si confermano i più rischiosi. Non esiste una fine agli scambi di messaggi notturni con Sanguedelmiosangue che, pure lui, passa una fase di curve sentimentali niente male.

La domanda "dormi?" su Whatsapp ormai compare alle tre, alle quattro, alle sei meno venti. Stanotte anche Grande Pagliaccio, che dormiva con suo figlio durante una delicata fase di spannolinamento notturno, alle 03.17 era online, causa pipì preventiva.

Peraltro, i desolati amici di Castagna ormai stanno pian piano cedendo le armi. Il lungo viaggio dell'Uomo alla ricerca di se stesso continua, e Castagna ripete ormai all'infinito le stesse cose, per mancanza di nuovi elementi. Come aiutarla, dato che il consiglio più spesso fornito: "ma mandarlo tu a fare in culo no?" viene recisamente respinto? Come sostenerla, visto che deve per forza di cose aggrapparsi a singole frasi, a brevi gesti spesso contraddetti da tutto il resto della situazione e del comportamento? Come sollevarla da tutto il suo indefesso rimuginare, se anche dormendo il suo stanchissimo cervello PENSA? Non sogna. Pensa.

Avete presente quando andate a dormire con un problema che non avete risolto, e al mattino la soluzione è di fianco alle pantofole, subito davanti ai vostri occhi? In un memorabile, deprecabile caso, tempo fa, una notte sono andata a dormire con il dilemma di dove incontrare una persona senza compromettermi, e contemporaneamente con in testa la scaletta di un'attività scolastica da gestire il giorno dopo, e al mattino le due istanze diverse si erano incontrate, piaciute, e riprodotte, figliando una soluzione che le metteva a posto tutte e due.

Ecco, mi succede una cosa del genere. Il mio cervello si spegne come per un blackout dopo un'intera giornata di pensieri e domande, e al mattino mentre apro gli occhi il filo del discorso è già lì che prosegue. Solo che in queste mattine aride e grigie non c'è la soluzione, perché quella purtroppo non dipende da me.

O forse sì.

Il punto è. Okay. Ci siamo fatti male oltre ogni possibile perdono. Ma siamo qui a parlarne. Siamo qui, anche se tra me e lui ci sono chilometri e ore intere di silenzio: la giornata non passa mai senza un contatto. Il colpo di pinna della megattera sull'acqua. Per guidare il piccolo che la segue nelle mostruose, assordanti correnti oceaniche.
Non sappiamo se ci sia, la soluzione.
Ma io ho tre certezze, molto accartocciate e sgualcite, ma imperiture. Sono sua moglie, questa è la nostra famiglia, e non è ancora finita. Quindi su queste devo puntellarmi per non sprofondare nelle sabbie mobili.

Pertanto,

Io sono qua. Ora mi sposto qualche giorno, per riprendere le forze, e lui sai che le vorrei riprendere standogli vicino, e che ora non possiamo. Ma sono qua. Qua mi troverà. Contraddizioni, difetti, paure e sbagli compresi. Ma troverà anche quello che sono diventata, una volta messa di fronte al reale rischio di perderci.

E un'altra cosa. La Princi. La Princi sta per scendere in campo. Dopo aver mantenuto una regale, sdegnata neutralità, per settimane, ieri è sbottata.
La mia tigre.
Il mio drago dell'antica Valyria.
Se non ci riesce lei, a fargli VEDERE cosa succede, non so chi altro.

La settimana prossima saranno in vacanza loro due soli, in montagna. Davanti al grande, divino monte dal fianco geometrico che io venero da quando riesco a ricordare. Sotto i tramonti al confine francese, con il suono del vento tra i pini, con il profumo delle piante selvatiche.

Io sarò nel mio Tibet, spero. Altri colori, altro paesaggio. Vivo nel terrore che mi diano la stessa stanza dove, anni fa, abbiamo festeggiato rumorosamente, in una notte calda, il suo passaggio in ruolo. Ma sentirò la sua mancanza in ogni dove. Poco cambia, in effetti, il letto in cui dormo.

Poi torneremo qui. Chissà se uguali o cambiati. Chissà se in due, in tre, uno solo, una sola. Chissà.

L'altra sera, con la Tipa, si messaggiava di concerti degli U2 e di andarci noi ragazze quarantenni, o di mandarci Princi e Cuba Caliente (eh già... poi vi aggiorno) e di chi è possibile, ahimè, incontrare a un concerto del genere. "Ma in tutto una stadio???" inorridiva lei. E io: "Ma no dico ma ce l'HAI presente la sfiga che ho?"

La Tipa insisteva. Io le confessavo che adesso, no, ma proprio NO, sentire Bono cantare Stay, If God would send his angels, Staring at the sun, e peraltro nemmeno il repertorio precedente, With or without you, Where the streets have no name, All I want is you. Che, scherziamo? Ma se a me viene voglia di suicidarmi al solo sentire una suoneria di cellulare  o il jingle di una pubblicità.

E si parlava di gente che non si fa problemi del genere. E io dicevo che no, non esistono solo gli uomini che non si fanno problemi. (Io in particolare ho una chiarissima capacità rabdomantica di individuare solo quelli che se ne fanno troppi: un giorno vi racconterò di Bon Jovi, il mio flirtino sulla nave, quando avevo 17 anni. Fin da allora si vedeva che io, uno che si buttasse a capofitto senza paracadute, non lo avrei mai incontrato, e che dei due, nella coppia, quella che quando parte per la tangente si lancia davvero, sebbene nella quotidianità sia una palla di fobie e paturnie varie, sarei sempre stata io.)
Da lì si passava a parlare del credere nei miracoli. Celo. E nell'amore cieco. Celo. E nella passione travolgente. Celo, celo, celo.
Finchè mi usciva la seguente definizione: "Io ho scoperto che ci credo tantissimo [nell'amore]. Non come idea, proprio come forza che muove la natura. Tipo il vulcanesimo"

Sarà per quello che confido nel potere dei luoghi. Dei monti. Delle campagne toscane.

Mah. Magari resterò sola come un cazzo di inutile cane sull'autostrada, ma di certo non smetterò di avere una fervida immaginazione. Infatti ho ripreso a scrivere. Almeno quello.











giovedì 30 luglio 2015

Somewhere along in the bitterness

Questo sarà un post dalla sintassi a spezzatino, perchè me lo invio a botte di sms. Sono in giro con in mano il mio Nokia dell'età della pietra. Scrivo mentre

cammino, e cammino lungo la passeggiata che farò ogni santo giorno quando abiteremo di nuovo a Genova. Perchè credo che alla fine andrà così. Non so quanti

di noi verranno fuori da questa situazione. Non so se ci arriveremo separatamente, insieme, in contemporanea o prima uno poi gli altri. Ma ad un certo punto

è improvvisamente diventato chiaro che tra le colline non c'è rimasto molto, per nessuno di noi. L'Uomo ha nostalgia di casa. Io ho bisogno di un posto dove,

se una donna apre la bocca, le sue parole vengono ascoltate, anche se non ha un uomo al suo fianco. La Princi deve cercarsi un lavoro, e un fidanzato, in una

città dove esistano vie di mezzo tra il figlio di feudatari, cocainomane, e il tamarro scappato di casa, cannato. Senza togliere nulla ai miei meravigliosi

exalunni, che infatti van via dai paesi, per vivere a Torino o all'estero, diciamo che il parco ventenni della nostra zona tende a essere deludente.

Mentre ne parlavo pochi giorni fa, e guidavo in mezzo alle campagne con la Princi, lei a bruciapelo ha voluto sapere "come farai senza questo?" alludendo soprattutto

alla serata appena trascorsa. In cui eravamo state accolte come regine in un paesino lillipuziano, su un cocuzzolo boscoso tra Paesino di Sogno e Paesino Blu.

Dove alunni exalunni e genitori che coprivano complessivamente 8 anni della mia vita lavorativa mi hanno fatto sentire a casa, e raccontato le loro vite, come

al solito. "Ah, ma torno" ho detto. "E' un'ora di macchina, in effetti" ha detto lei. Gli exalunni una cena per vedermi la organizzano, lo so. Ma è il verde,

sono le colline, è la neve. Queste cose, le chiesette medievali, le stradine nel bosco, non potrò portarmele dietro. Però in questi giorni tremendi penso che

potrebbe anche andare a finire che la neve non la vorrò mai più vedere. E nemmeno i papaveri. E la nebbia. E le piogge primaverili sui fiori. E il campanile di

Paesino di Sogno. Ora sono col culo sui sassi di una piccola porzione di spiaggia libera, in città. Soffia un vento tiepido, umido, salato. Sta

alzandosi la marea. Non c'è il sole. Il mare canta qui davanti come se sapesse che deve convincermi. Ma non serve. Ci sto già pensando. Qui forse potremo andare avanti.

Poi naturalmente è un trascurabile dettaglio che ora trasferirsi sia diventato impraticabile, grazie alle nuove politiche del ministero. E che se va tutto come

deve andare la Princi abbia davanti altri 4 anni di scuola. E che la casa di mio padre e delle zie sia interamente da ristrutturare, e troppo grande, nel malaugurato caso che non ci si vada a stare almeno in tre.

Ma abitare a Genova è uno stato mentale, prima di tutto. Per anni "casa" è stata quella dove si tornava nel weekend. Prescindendo dal fatto che, come l'Uomo ha detto ancora 10 giorni fa, casa era dove lui stava con me. Ovunque fosse. E però lui usa il passato. Io uso il futuro. Una conversazione

così è impossibile. Possiamo usare solo il presente. Che per lui è una valigia nel bagagliaio. E per me un girone dell'inferno. A volte, solo a volte, un istante che batte le ali veloce, in un suo sguardo, e poi va via.

Ho camminato scrivendo fino ad avere le gambe dolenti, gli occhi stanchi, le labbra asciutte, i capelli un groviglio di vento, sale e sudore. Un'altra giornata è passata. Non mi sono ancora arresa.  

Uno dei locali più fighi qua sul mare sta già preparando per l'aperitivo serale. L'altoparlante sulla terrazza amplifica How to save a life. Che l'80 per cento dei malati di serie tv associa inesorabilmente a Grey's Anatomy stagione 1. Quella che io so

a memoria, perchè mi ricorda quando tutto stava per cominciare, quando ero anche io una specializzanda, che non aveva mai tempo per dormire, che non immaginava ancora di che cosa fosse capace, che aveva appena incontrato il suo dottor Shepherd e non lo sapeva.  

domenica 19 luglio 2015

La lista 9

1)
Cambia umore di continuo.
Sta ore davanti alla Playstation.
Non propone mai niente.
È depresso.
Se provi a dirgli che deve parlarne o curarsi, si incazza.
Lancia le cose, l'altro giorno anche a sua figlia.
Non dorme.
Ha sfondato a pugni le ante di un armadio.
Non mi tocca più.
Esce e non so dove vada.
È sempre col telefonino in mano.
Ha perso peso.
È andato a giocare a calcetto con gente che ha quindici o vent'anni meno di lui e si è danneggiato i legamenti.
Ha grane sul lavoro.
Io non lo so se abbia un'altra.
Si addormenta alle 9 e mezza come un vecchio.
Vuol fare sempre le stesse cose.
Fa discorsi nerissimi, sembra che pensi solo alla morte.
Non vuol fare più le cose di prima.
Ha la testa da un'altra parte.
Si ammala di continuo.
Non si concentra.
Non si accorge nemmeno che gli sto parlando.
Non c'è mai.
Come padre c'è, ma con me è come se non funzionasse più niente.
Non è la persona che ho sposato.
Non sembra più lui.

2)
Io cerco di tirare avanti ma guarda che è dura.
Sono stanca.
Ho paura che un giorno mi alzi le mani e mi faccia male.
È tutto sulla mia schiena.
Sento che sto buttando via i miei anni migliori.
Non capisco.
Non so cosa devo fare.
A volte lo manderei a fare in culo guarda.
Non dormo più.
Devo prendere le gocce.
Mi ammazzo di lavoro.
Se passasse un altro e mi facesse un sorriso io non lo so mica cosa farei, tanto per come mi tratta lui.
Non so più come aiutarlo.
Sono stufa.
Non so perché torno a casa la sera.
Ci sarebbe uno che mi messaggia, sì.
Vorrei scappare lontanissimo, ma proprio che nessuno sapesse dove trovarmi.
Non so come andremo a finire.
Io le sto provando tutte.
Perché sto con uno stronzo del genere?
Perché sono ancora innamorata di lui, povera cretina.

Ecco. Se voi pensate che le frasi 1 descrivano tutte l'Uomo, e le frasi 2 siano tutte uscite dalla mia bocca, bene, vi informo che siete in errore. Sto raccogliendo tracce di impronte nel bosco, segni di passaggio di questo orrendo animale, di questo mostro che passa attraverso i letti matrimoniali, che mastica anelli nuziali, che sfascia case e tormenta i sonni dei bambini.
E più ascolto le amiche o le conoscenti con cui mi capita di trovare un momento di intesa reciproca e privacy, e più vedo che il problema non ce l'abbiamo solo noi.
Per non parlare della quantità di indicazioni minori, date da gente che non ha confidenza sufficiente per raccontare nei dettagli quanto sono lunghe le notti, quanto è doloroso il giorno, quanta solitudine c'è tra le lenzuola.

3)
Con mio marito è un periodo difficile.
Non è un bel momento per proporgli le cose.
Abbiamo attraversato una gran brutta fase.
Siamo un po' stressati.
Non lo so ancora cosa faremo quest'estate.
Io sono al mare coi bambini, poi vediamo se lui ce la fa a raggiungerci.
Non vedo l'ora che partano tutti, ho bisogno di un po' di tempo per me.

Per carità. Non è che non abbia visto anche me stessa, e diverse amiche, attraversare fasi penose, di depressione, piagnucolamento, spleen esistenziale, o anche quella che la mia amatissima Cavallino al liceo definiva "merda nel cervello". C'è chi ha avuto la depressione post partum e chi ha perso la testa dietro a un collega o rischiato il revival con un ex, chi si è lasciata andare fisicamente, chi si è sposata col lavoro, chi ha scoperto che diventata mamma le importava solo dei figli e chi ha scoperto di non essere tagliata a fare la mamma, chi si è fatta viziare, chi ha viziato il coniuge, chi si è persa in un bicchier d'acqua, chi si è lasciata travolgere da una famiglia ingombrante, chi si è isolata da tutti...
Immagino quindi che potrei scrivere una lista 4, di frasi annoiate, autocommiserative o egoistiche, pronunciate da me e da parecchie altre voci femminili, e una lista 5, di frasi stizzite e sconsolate o brontolamenti misti, intonati in polifonia da voci maschili.

Ma per la verità queste liste avrei potuto più agevolnente scriverle 5 o 6 anni fa, mentre il biennio 2014 2015, almeno nello spicchio di mondo che frequento io, sembra attraversato soprattutto da spaventose crisi maschili. Come se si fossero tutti messi d'accordo, e parlo di gente che abita in un raggio di 1000 km, non di una squadra di quarantenni che si cambia nello stesso spogliatoio tre volte la settimana. Il contagio non può essere avvenuto per contatto.


Avere una figlia di diciotto anni con amici che vanno dai 15 ai 20, e un mestiere come il mio, mi permetterebbe di scrivere una lista 6,  ancora più dolorosa, di frasi di prepuberi e adolescenti travolti dal mostro che si sta mangiando le loro famiglie.

E poi c'è la lista 7, quella che raccolgono gli psicologi o i maestri di ginnastica o i nonni o le maestre elementari, che contiene lo stesso mostro, disegnato a colori scuri da quelli più piccoli.

Ora vi chiedo. Potreste gentilmente darmi una stima anonima di quante coppie conoscete in cui lui, in questo periodo, è messo come da lista 1?
Perché mentre le crisi femminili a cui ho assistito e assisto sono spalmate su parecchi anni, il fenomeno che colpisce il cromosoma Y sembra essersi manifestato tutto d'un colpo negli ultimi tempi. Premetto che frequento quasi solo gente tra i 40 e i 50.

Sto cercando di capire. Non voglio far passare come un'epidemia, o una moda, quel che succede all'Uomo. Ognuno di noi sa che quando si arriva ad un certo punto, e ci si arriva partendo da un matrimonio serio, con gente che si è scelta in modo inequivocabile, e che si è fatta il mazzo per far andare tutto bene, i problemi che vengono allo scoperto hanno sicuramente radici strettamente personali, e profonde. Non voglio sminuire, o mettere in ridicolo. Ma vorrei che tutti questi maschi in botta d'ansia si parlassero tra loro e capissero di non essere soli al mondo. Noi donne lo facciamo. E questo, come quella caramella, che la Zia Bella mi faceva trovare sul cuscino per lenire le mie giornate di liceale musona, non risolve, ma aiuta.

E più di ogni altra cosa vorrei la lista 8, quella che dice, a loro e a noi, cosa bisogna fare per superarla.
E la 9, quella che (io lo so che esiste) dice che dopo una roba del genere la navigazione continua e le rapide finiscono, o almeno, si affrontano di nuovo insieme.





















lunedì 29 giugno 2015

Why

How many times do I have to try to tell you
That I'm sorry for the things I've done
But when I start to try to tell you
That's when you have to tell me
Hey this kind of trouble's only just begun
I told myself too many times
Why don't you ever learn to keep your big mouth shut
That's why it hurts so bad to hear the words
That keep on falling from your mouth
Falling from your mouth
Falling from your mouth
Tell me
Why
Why

I may be mad
I may be blind
I may be viciously unkind
But I can still read what you're thinking
And I've heard it said too many times
That you'd be better off
Besides
Why can't you see this boat is sinking
(This boat is sinking this boat is sinking)
Let's go down to the water's edge
And we can cast away those doubts
Some things are better left unsaid
But they still turn me inside out
Turning inside out turning inside out
Tell me
Why
Tell me
Why

This is the book I never read
These are the words I never said
This is the path I'll never tread
These are the dreams I'll dream instead
This is the joy that's seldom spread
These are the tears
The tears we shed
This is the fear
This is the dread
These are the contents of my head
And these are the years that we have spent
And this is what they represent
And this is how I feel
Do you know how I feel?
'Cause I don't think you know how I feel
I don't think you know what I feel
I don't think you know what I feel
You don't know how I feel 

Se esistesse un Dio, mi avrebbe strafulminato domenica 25 maggio 2014. Incenerirmi sulla piazza di Paese col Maniero, farmi sprofondare giù giù giù giù per chilometri di crosta terrestre, magma, roccia fino alla bocca spalancata di Lucifero, far materializzare un arcangelo nerboruto che mi strappasse di mano il telefonino, mi estraesse per la collottola dall'auto, mi afferrasse la nuca e sbattesse fortissimo la mia faccia sull'asfalto del piazzale, tante volte, fino a farla diventare una poltiglia irriconoscibile. Sarebbe stato meglio. Questo è quello che vorrei mi fosse stato fatto, quella domenica mattina. O sarebbe bastato un SUV in sorpasso dietro una curva, forse. In quello posso ancora sperarci, magari. 

And this is how I feel
Do you know how I feel?
'Cause I don't think you know how I feel
I don't think you know what I feel
I don't think you know what I feel
You don't know how I feel  
 
E poi mi metto le perle e vado a cena coi ragazzi della terza e massaggio i piedi a mia figlia e chiacchiero del più e del meno con i negozianti e faccio la spesa. Forse è peggio che essere masticati da Lucifero, o del SUV dietro la curva. Ma lo faccio. 
 
Perchè sono tua moglie, ti amo, e non mi arrendo. E se c'è una via d'uscita da tutto questo, perdio, giuro che la troverò.

domenica 21 giugno 2015

Trenta giorni feat. "Torno indietro e cambio vita" ovvero i Vanzina non saranno Kant e Hegel ma persino loro fanno pensare, in certe situazioni

Trattenute da una questione di regolamenti di conti con mafiosi (questo perché la Princi è drogata di Prison Break da prima che finisse la scuola, e io ieri ho rivisto Vento di passioni), io e mia madre siamo in un curioso garage dipinto color albicocca, da qualche parte sulla Riviera di Ponente, con un'autovettura anni Venti.

Appena chiusa la faccenda guardiamo l'ora e io le dico: ma manca pochissimo! Dobbiamo sbrigarci...

Devo andare a Genova a risposare l'Uomo. Non perché ci siamo persi e ritrovati, ma perché ricelebriamo il matrimonio dopo circa 15 anni.

Siamo in un ritardo atomico. Mi rendo conto che invece di mettermi l'abito che avevo predisposto andrò a sposarmi in tailleur marrone e camicetta color pesca, ma poi dico a mia madre: facciamo una cosa, fammi guidare, pazienza per il vestito ma almeno arriviamo in tempo. E quando salgo dalla parte del guidatore, nella macchina che a questo punto è la mia Hyundai, mi rimbocco tutto intorno un magnifico vestito da sposa, di linea semplice, bianco azzurrino, leggero, aereo, senza decorazioni, addirittura ho in testa il velo.

Vado a risposare l'uomo della mia vita.

martedì 7 aprile 2015

Non è la rosa non è il tulipano

Ti ho fatto fare un mazzo tutto rosso e rosa.

Quest'anno fa ancora freddo, e i papaveri non sono fioriti sulle rive, come dodici mesi fa.

Ti ho pensato ogni giorno che ho passato a scuola.

Ci sono tante persone nuove, a scuola, che non ti conoscevano, qualcuno forse ti aveva sentito nominare, ma altri sono matricole, e per di più venute da fuori. Non sanno perché vogliamo tutti bene alla magnolia del cortile. Non sanno che i tuoi cazziatoni furibondi attraversavano le mura e i corridoi. Non sanno che li avresti chiamati "tesoro", quando eri in buona. Scioperano per i loro bistrattati diritti di precari storici, e tu non guidi la rivolta dalla sala professori. Io provo a incoraggiarli e intanto ti penso, e sono i momenti in cui l'assenza della tua voce calda, dei tuoi gesti bruschi, dello scintillio dei tuoi occhi così intelligenti, si vede a occhio nudo, come se uno dei muri della stanza fosse sventrato da un bombardamento, e nessuno tranne me si curasse dell'aria fredda che entra da fuori.

lunedì 26 gennaio 2015

I golden retriever e Angelina Jolie

Io quelle che "a ventisei anni mi sposerò e poi avrò tre bellissimi bambini, una casa col giardino e un golden retriever" non le ho mai molto capite.
Ne conosco, peraltro. Conosco gente che diceva così, ma conosco anche gente che é davvero diventata così.
E non sono desperate housewives, sono donne intelligenti, forti, autoironiche. Perché non è che i controcoglioni ce li abbiano per
forza solo le dottoresse che partono con MSF o le giornaliste d'assalto o le grandi imprenditrici. Per fare la moglie, e la madre di tre figli e di un golden retriever, e farlo bene, ci vogliono due attributi notevoli. È per quello che le donne della mia età guardano con ammirazione Angelina Jolie. Perché, anche se solo il tempo potrà dirlo, la sua famiglia complessa e composita non ti dà la sensazione di essere una facciata.
Non ti viene da pensare che i sei Brangelini diventeranno dei tossici o degli sbandati, che li troveranno suicidatisi a tredici anni e mezzo o più grandi a picchiare prostitute e bruciare barboni. Perché per quanto si possa ovviamente liquidare il tutto con "see vabbeh bravi tutti a fare sei figli con un pacco di soldi, dieci tate, la cuoca e il pediatra privato", il Brad te lo vedi che massaggia pancini doloranti, l'Angelina te la vedi in piedi alle due di notte con il termometro e l'aerosol. Io me la vedo persino a caricare lavatrici, anche se di sicuro non tocca a lei. Insomma mi dà l'idea di una madre che ha gli stessi problemi che abbiamo noi, compreso quello di non arrivare dappertutto, di sentirsi male nella sua pelle, anche se certo, lei poi nell'armadio ha dei Valentino veri, nello specchio ha Angelina Jolie e domani mattina la PAGHERANNO per baciare Johnny Depp.

Comunque.
La qui presente Castagna oggi è disangelinojolizzata del tutto. Ha la febbre, la tosse, il bagno allagato da una perdita della vicina nuova di sopra, il gatto cucito dopo un'operazione, la casa che puzza di malato e non si è filata minimamente di sapere se la figlia oggi avesse dei compiti in classe.
Ma non era di questo che si voleva qui discutere, né peraltro dei Brangelini, ma piuttosto del golden retriever e dei matrimoni ideali.

Castagna sta lottando con le ultime forze che ha per tenersi l'Uomo, il che riesce incomprensibile ai più. Castagna sarà anche stata troia, come alcuni simpatici anonimi si sono fatti dovere di ricordarle, ma reggeva da anni una situazione matrimoniale veramente faticosa e adesso, finalmente, perché non è abituata a tenergli nascoste le cose, ha potuto discutere con l'Uomo del perché e del percome un bellissimo alieno sia passato a devastare le loro vite; e l'Uomo finalmente, perché non se ne poteva più di reggere i suoi sbalzi d'umore apocalittici, sta cercando di trovare la via in mezzo a qualcosa che sembra davvero la selva oscura, tant'è amara che poco è più morte.
Castagna non crede nei golden retriever e sul matrimonio grosse illusioni non se ne era fatte, forse perché sposava un bello e tormentato dalle molte inquietudini, forse perché lei per prima era un concentrato di irrequietezze.
Ma non c'è niente da fare. Solo l'Uomo poteva sposare e solo l'Uomo vuole al suo fianco, per esempio quando è malata, quando ha paura, quando pensa di non farcela come madre, come moglie e come persona, quando insomma la disangelinojolizzazione è al suo massimo.