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mercoledì 6 luglio 2016

My name is Victor Frankenstein

Questa sera sono riuscita nell'intento. Capitemi. Io mi sono laureata a Lettere dando quanti più esami di lingue potevo. Lui si è laureato a Lettere con una tesi su Amleto. Lui mi ha iniziato al genere horror. Io ho iniziato lui al vedere le serie tv inglesi in lingua madre.

Cioè. Vedere insieme Penny Dreadful è inevitabile. L'ho preso in una sera in cui non poteva resistermi, indebolito da un virus, dall'assenza della figlia e dal mio circolare per casa da giorni in pigiamini inesistenti. 

Piangere davanti a Penny Dreadful, dopo che io l'ho fatto già da sola davanti alla prima serie (2 volte), alla seconda e a metà della terza, sarà una logica conseguenza. Ma vuoi mettere piangere sola davanti al pc dell'ufficio e piangere sul divano vicino a lui. 

In questa settimana così strana, in cui siamo qui di nascosto da tutti. Crede lui, almeno. Invece lo sanno tutti i miei: parenti, amici e la sola collega, la Fraulein, che conosca il macello in cui siamo finiti. Lo sa la figlia. Lo sanno conseguentemente amici, psicologhe, educatrici, parenti di amici della figlia. E la categoria parenti di amici della figlia ha punti di contatto con la categoria amici di lui. Ma lui continua a credere che sia il caso di uniformarsi alle regole di un mondo in cui, se non riesci a lasciare tua moglie, sei strano. Lo stesso mondo che crede che se prendi una sbandata automaticamente manderai in merda un matrimonio. Lo stesso mondo che crede che una ragazzina di neanche 19 anni si faccia fregare dalla vista di un anello e non guardi negli occhi chi glielo regala. 

Noi tre siamo strani, forse. 

Ma non me ne potrebbe fregare di meno. Del mondo, intendo. 

Le cose di cui mi frega sono che ieri notte abbiamo salvato un riccio da morte certa. Che abbiamo mangiato i gofri sul prato. Che lui canticchia. Che io sorrido. Che la figlia, pur nel marasma, tifa ancora per noi. Che c'è una piccola tomba in un prato verde e noi, da quando non c'è più il nostro piccolo genio protettore, dormiamo di nuovo qui insieme, perché questo è stato il suo ultimo regalo. Che c'è una casa in montagna che ha il nostro odore. Che le vacanze sono iniziate il giorno uno in cui è finito il lavoro, perfino per me, quest'anno. 

Non fraintendetemi. Non va bene. Non è tutto a posto. Non è come prima e MAI, MAI, dovrà essere come prima, lo so, ne sono convinta e però mentre lo dico so cosa sento, quel dolore sordo lì nel centro. Sto come una profuga che forse un giorno si adatterà al nuovo stato in cui vive, ma mai potrà tornare a casa. Mai. Sono morta a 39 anni e la mia esistenza ora non è più quella, anzi: la mia esistenza non è. Punto. 

Ma al livello di questo nuovo piano della sostanza in cui, mio malgrado, mi sono trasferita, io, ectoplasma di quella me che voleva le cose, che decideva, che pensava di sapere, in qualche modo tocco ciò che ancora esiste. Non sono più nessuno. Ma ho rapporti con persone, che non saprei dire se esistano realmente o siano, come me e l'Uomo, entità perse in un limbo, lemuri opachi intinti nel dolore. Cioè, tranne la Princi. Lei è vera. Lei è sangue che pulsa e odore di frutta e pelle fresca contro la mia così accaldata. E pochi altri, direi, esistono concretamente. Il Gigante coi suoi bellissimi occhi scuri. La Fraulein con la sua voce decisa. Mia madre. 

Poi gli altri, gli altri non lo so. È come annegare in un'acqua bianco latte, sentendo le alghe sotto le dita dei piedi, vedendo emergere dalla nebbia volti, voci, una mano grande, scura, dolce, che stringe piano la mia (e inevitabilmente: grazie, grazie per questo gesto leggero, per essere stato per l'ennesima volta attento a non rompermi), una voce in lontananza che si incrina capendo che anche questa volta negherò la mia presenza, le facce e le frasi dei miei amici, di Sanguedelmiosangue, delle compagne dei due corsi yoga. Sono persone che come me stanno soffrendo ai punti da chiedersi se possa mai finire, che annaspano sperando di aver capito cosa sia giusto fare. Alla cieca. 

A distanza di pochi giorni, una blogamica da poco ritrovata e SDMS mi hanno chiesto se secondo me è la generazione, il momento storico in cui siamo. 
Non ho dubbi nel rispondere sì. Ma questo non toglie la responsabilità personale di lottare fino alla fine per quel che è bene. Anche se abbiamo perso in partenza. Penny Dreadful, appunto. 

Mio marito, che della nebbia lattiginosa, dell'inconfessabile lato oscuro, dell'attrazione per la morte è in questa temperie il principe e il pontefice, è sempre stato un uomo di una sensibilità immane. E che ora stia facendo carne trita e polvere di ossa delle figure che ha intorno a sé non elimina che sia una persona profonda e intelligente: almeno tanto quanto il suo essere profondo e intelligente non lo giustifica nel momento in cui si guarda allo specchio e si vede coperto di sangue altrui. Mi chiedo se capirà davvero perché io ci tenessi tanto a fargli vedere questa serie tv. Sì beh certo per i poeti sepolcrali e romantici inglesi, e per i costumi di Gabriella Pescucci, isn't it obvious, Mr. Chandler? 

E io guardo la lacrima incredula che si stacca dai meravigliosi occhi tormentati di Harry Treadaway, quando il suo personaggio si accorge di essere riuscito nell'intento di fare qualcosa di buono. Che gli è costato anni di duro lavoro, notti bianche e patti col diavolo. Compromessi uno dietro l'altro, cinismo. Sangue. Per un istante di assoluta perfezione di cui nessuno può condividere la gloria, nemmeno la creatura che con le tue stesse mani hai portato in vita. 

My name is Victor Frankenstein. 















venerdì 5 giugno 2015

Un post che potrebbe pigliarvi anche piuttosto male, io vi avviso


Il giorno in cui ho dato il titolo a questo blog avevo in mente un ben preciso tipo di tempesta, quella ormonale.
 
In realtà era un bel titolo, adatto a me, perchè tutta la mia vita, professionale e non, è un lungo e spesso burrascoso viaggio per mare, in cui a volte sono conciata come Pi(scine Molitor) Patel, cioè sola su un'imbarcazione di fortuna con una grossa tigre feroce, altre volte comando una grande, solida nave da crociera, qualche volta combatto su un incrociatore, e non di rado esploro continenti sconosciuti su un veliero dagli scricchiolii suggestivi.
 
Ma ho sempre pensato che, un giorno, avrei raccolto il coraggio per scrivere un post su un aspetto della vita degli insegnanti che pochi considerano: l'impatto ormonale dei ragazzi su esseri umani adulti che passano le giornate con loro. Ho parlato, qua e là, delle mie classi come di nidi, di cucciolate, di gruppi così "miei" che sapevo dall'odore, per un meccanismo materno di riconoscimento olfattivo, in quale aula fossero appena passati. Ho parlato di tanti ragazzi e ragazze che sono stati sotto i miei occhi durante il loro sviluppo fisico, di cui ho intravisto i primi amori, di cui ho letto o ascoltato le emozioni e i turbamenti, squadernati senza pudore davanti allo sguardo di chi non è nè la mamma, nè la sorella, nè un'estranea. Qualcuno di cui si fidano in modo infantile e a cui involontariamente sottopongono a volte risvolti privatissimi, in barba alle leggi che fanno di noi algidi burocrati, giudici imparziali, severi ufficiali della Repubblica. Perchè a volte è più facile andare a parlare della prima importante esperienza a letto, o della prima vera scottatura, con qualcuno che ti ha visto bambino, e ti ha letto di Paolo e Francesca o di Angelica e Medoro, piuttosto che con un altro sedicenne o con un genitore.
 
 
Quello di cui non abbiamo mai parlato qui è l'effetto che fanno sui prof certe frasi, certi sguardi, il bisogno di condividere, di essere ascoltati e creduti, tutta questa confidenza che, giuro, a volte proprio non è nè incoraggiata nè tantomeno richiesta da noi adulti, presi da tutt'altro, ma ci investe come un acquazzone improvviso.
 
Dall'alto (euh! bum) dei miei quasi tredici anni di mestiere, posso ormai dire serenamente che sì, capita, e come, l'impatto frontale che non ti aspetti. Dopo aver chiacchierato con un po' di gente che, a quarant'anni e oltre, è in grado di discutere con il dovuto distacco delle proprie esperienze passate, emerge con chiarezza che il coinvolgimento tra insegnanti e studenti è più frequente di quanto si creda. Non sempre si avvera nei fatti la mitologica trombata con la supplente di ginnastica o l'infrascata in auto con il docente di filosofia (ah, peraltro, colleghe alle prime armi, mi raccomando: diffidare il più possibile del docente di filosofia, che può senz'altro apparire figo, nella versione tenebrosa o in quella vulnerabile, e intellettualmente arrapante da matti, ma poi si rivela un cinico divorziato senz'anima che devasta le vite delle giovani supplenti di lettere, mandandole in rianimazione dopo mesi di anoressia o tentativi di suicidio: e questa non sono io, ma ne conosco ben due che ci sono passate). In particolare, nella fascia d'età che frequento io il passare alle vie di fatto è decisamente illegale, oltre che professionalmente scorretto (ma attenzione agli/alle ex alunni/e: quelli/e diventano maggiorenni, e a volte ritornano, con intenzioni inequivocabili).
Ma esiste un livello di coinvolgimento, platonico per carità, però a volte davvero profondo, che non si può controllare con nessuna legge. C'è adolescente e adolescente. Non tutti sono teneri boccioli che si affacciano arrossendo alla vita. Non tutti i maschi sono capretti esuberanti che saltellano nel prato, e non tutte le ragazzine sono bamboline innocenti che riempiono il diario di cuoricini rosa. Senza con ciò fare di loro dei piccoli maniaci o delle Lolite senza pudore, sono tutti diversi, l'età mentale e quella fisica coincidono pochissimo nelle loro personcine in evoluzione, e noi "grandi" a volte non abbiamo la prontezza di difenderci e ci ritroviamo la freccia piantata nel fianco prima di aver visto l'arco. Questa cosa l'ho imparata sulla mia pelle, come molti colleghi e colleghe prima di me. Ora che la so, non mi spaventa più. E' che lavoriamo con le anime, i corpi e i caratteri di tanti esseri umani diversi, e che, soprattutto, siamo esseri umani pure noi. E se devo scegliere tra essere la feroce istitutrice senza cuore e la prof Castagna che a volte non riesce a far lezione perchè si butta via dal ridere, o si fa venire il groppo in gola dall'emozione, beh, io voglio essere me tutta la vita. Rischi compresi. Basta saperlo, ecco, che potrebbe arrivare qualcuno che, magari senza volere, ti apre uno squarcio nella diga, ti si presenta inopportunamente nei sogni o ti lascia semplicemente senza parole, in contemplazione di qualcosa di nuovo, fresco, bellissimo, come possono essere belli, dentro e fuori, solo gli adolescenti. Ogni tanto arriva, poi passa e se ne va. E anche noi prof dobbiamo sapere che a volte, molto più per le doti di carattere e di intelligenza, ironia, sensibilità, che per le nostre apparenze esteriori, lasciamo un segno su qualcuno. Che poi potrebbe incontrarci anni dopo, e guardarci con una tenerezza sconvolgente, annullando le proprie difese di fronte a una persona di cui si fida davvero, e rivivendo con il senno di poi le emozioni di un mondo perduto, in cui tutto quello che contava era che il tuo prof preferito ti facesse un complimento perchè eri stato bravo. Dovete pensare all'effetto che può fare essere guardati così. Non è una cosa paragonabile con molte altre.
 
 
Mentre scrivo penso al Danno, che ho rivisto ormai grande dopo l'incidente che lo ha quasi ammazzato, e che ha traversato la sala per venire a salutarmi e a me, solo a me in tutta una stanza piena dove aspettavano di sentirlo parlare della sua vittoria sul coma e della sua riabilitazione, ha detto, a voce bassa e senza minimamente vergognarsi: "Sono agitatissimo". Perchè a me lo poteva dire, anche se non mi vedeva da tempo, io ero ancora la sua prof di allora, quella che lo sgridava quando faceva il figo ma non aveva studiato, e che fingeva di non avere il batticuore quando lui le regalava i fiori raccolti lungo la strada. Ecco, in quella stanza c'erano sua madre, sua sorella, la sua ragazza, un sacco di amici, ma solo tra me e lui c'era quell'istante.
 
 
Capite che, se una cosa così ti succede nel momento sbagliato della tua vita, può aprirti un bel taglio nelle tue sicurezze su chi sei e che ruolo hai. Se poi chi ti riempie di attenzioni e visibilmente dipende dalla tua approvazione e dal tuo affetto passa con te parecchie ore a settimana, in una stanza dove si correggono aridi esercizi ma si parla anche tanto di tutto il resto, è possibile che la cosa ti faccia stare anche un bel po' male. Ma, come detto, passa.
 
 
Però.
 
 
C'è un però.

 
Soprattutto a chi, come noi, si occupa dei più giovani, bisognerebbe dare un minimo supporto psicologico per far fronte a certe cose. Ho trovato molto interessante il libriccino di un collega, intitolato non a caso "Uscirne vivi", in cui si parla delle difficoltà del nostro mestiere. Un capitoletto breve e composto, ma non imbavagliato da inutile ipocrisia, è dedicato al coinvolgimento sentimentale tra insegnanti e studenti. Menomale che qualcuno lo dice, ho pensato. Ovviamente ribadisce che succede, spesso sì, ma va tenuto sotto controllo, e da chi? Da noi, non certo da loro, che sono così ingenui a volte da scambiare le loro emozioni per l'unica legge valida sul pianeta. E io aggiungo: è' bello vedere che non si vergognano di quel che provano, che si sentono invincibili nella loro disarmante sincerità. E' fin troppo dolce, per noi adulti stanchi e disincantati, la sicumera con cui affermano un loro bisogno, molto più interiore che fisico, spesso, senza percepire l'inadeguatezza della situazione. Ma il concetto, una volta scemata l'ondata di tenerezza, imbarazzo, preoccupazione o semplice sorpresa, è semplice. Loro confondono i ruoli, NOI NO. Ci piacerebbe, magari, ma non lo possiamo fare.
 
 
Ecco perchè quest'anno così bello per me rimarrà un ricordo indelebile, di giornate piene di gioia e soddisfazione, ma con una macchia scura che rovina proprio le ultime, importantissime settimane: il pasticciaccio brutto tra uno dei miei "grandi" e una collega, tra l'altro più vecchia di me. Che rischia già la denuncia per altre leggerezze commesse sul lavoro, dal momento che confondere i ruoli, evidentemente, le piace. Ma a me, e non solo a me, leva il sonno perchè non respinge, anzi incoraggia in modo pericolosissimo, una situazione che sì, si poteva creare, l'ho detto appunto finora, ma doveva restare entro un certo limite.
 
 
E la cosa più grave è che gli altri ragazzi, per quanto noi cerchiamo di proteggerli, se ne sono accorti e sono rimasti davvero turbati.
Credetemi, se vi dico che, pur in questi pochi anni, ne ho viste già molte di cose. Ma sono venuti a parlarmi tutti seri Giudiziosa, la Nonna, Vento del Nord e Svacco e poveri ragazzi, erano così pieni di tatto nel cercare di spiegare che erano a disagio, che ad un certo punto gli occhi di Svacco si sono riempiti dell'angoscia che io non capissi, e davvero, la sua espressione quando è sbottato e mi ha detto cosa pensava, usando peraltro un modo molto controllato di esprimere i suoi dubbi, mi ha fatto un male boia e non me la scorderò facilmente.
 
 
Passo le giornate a guardare in tralice il ragazzo in questione e chiedermi a che punto sia davvero giunto il pasticcio, e se dovrei parlargli: a lui direttamente, visto che la madre problemi su dove sia, su come passi i pomeriggi, su di chi siano le macchine su cui sale, evidentemente non se ne pone. Ho paura. Per lui, prima di tutto, per la collega che, pur richiamata all'ordine con delicatezza sia da me che da altri, non si è fermata, per la classe, per noi prof, per la pace della mia povera Scuolina Rosa.
 
 
E ho anche paura di perdere di colpo la pazienza con la collega, di stancarmi all'improvviso di camminare sulle uova, e creare un casino all'esame. L'anno scorso si è visto bene, in commissione d'esame, con il povero ignorante che ha preso il posto della Compagna Collega, che cosa posso diventare io quando un docente che è in torto e di cui non ho stima mi tocca i miei ragazzi o si mette di traverso al compimento del lavoro di anni. Non vi consiglio di incontrare il mio cammino quando succede una cosa del genere. Ma temo che, con questa prof, la reazione sarebbe ben diversa da quella che il malcapitato supplente, presuntuoso e imprudente ma comunque giovane e inesperto, si è potuto permettere di fronte ai miei ruggiti. E non voglio per nessun motivo danneggiare i ragazzi.
 
 
E così, anche quest'anno all'esame non ci si annoia, vedete. Ma, io, timbrare pacchi alle poste perché non l'ho mai considerato, come opzione, perché? 

giovedì 30 agosto 2012

The end of the world as we know it

Non porto la maglietta della pelle, o della salute che dir si voglia, da giorni. (Beh, che c'è? Io ce l'ho sempre. Sempre. Magari non è una cosa stile nonna Abelarda, ma uno chiccoso baby doll, un bustier o una sottovestina leggera. Ma io me la metto. Sempre.)

Ho tirato un pacco clamoroso a mia madre, e lei ha risposto "Non importa". E non era arrabbiata. Non voleva neanche sapere i motivi.

Ho aperto una mail che potenzialmente conteneva l'inizio della madre di tutte le grane. Sudando freddo e con gli strizzoni alla pancia, come da copione. Poi però dopo dieci minuti ero serafica. Ma sì, ma chi se ne frega, andiamo in tribunale. Tra l'altro, a vincere la causa, nel caso. E puoi capire quanto mi cambia, nel mare di casini in cui siamo.

Ho affermato che ero troppo stanca e accaldata per andare in montagna. In montagna, capito. Dove, per tutta l'estate, ho segretamente accarezzato il sogno di andare a vivere, smettendo ufficialmente di parlare per sempre italiano tranne che sul lavoro e con Cavallino, e facendomi adottare dalla folta comunità di Inglesi che vi risiede. (Avrei cambiato definitivamente anche nome: ho sempre pensato che Aileen, magari con un cognome scozzese tipo McSomething, mi si addica perfettamente.) A memoria umana non ci sono precedenti al fatto che io potessi passare qualche giorno in più in montagna e dicessi di no.

E poi... ho detto a Sanguedelmiosangue che volevo andare in ferie per qualche giorno dal nostro difficile e profondissimo rapporto. Cosa di cui sono già pentitissima, stasera gli avrei già telefonato tre volte. E oggi pomeriggio sei.

Però è vero che ultimamente le frecciate mi uscivano dalla bocca con freddezza e frequenza preoccupanti, ed è vero che anche le sue moine e i suoi rigiri per non farmi incazzare stavano diventando troppi e troppo plateali. Ed è vero che stavolta forse non posso, non devo, e non voglio, fare qualcosa io per levarlo dalla bratta. Ed è vero anche che non posso tirargliela addosso, la bratta.

Comunque, che io abbia detto che devo prendermi una pausa, anche se l'ho detto solo per evitare danni, è orrendo, sono un mostro anche solo ad averlo pensato, e mi fa stare peggio ancora che fare o subire danni. Ed è epocale. Cioè, in passato qualche rara volta l'ho cazziato frontalmente di bruttissima maniera, e senza il minimo rimorso. Ma andarmene un po' più in là, questo mai, mai mai mai, e infatti a giudicare dalle lacrime che sto versando, mi sono autoinflitta semplicemente una punizione tremenda, ho sbagliato tutto, ho segnato una crepa spaventosa in un rapporto magnifico, l'ho ferito a sangue, sono una merda e non me lo perdonerò nè me lo lascerò perdonare nemmeno sul letto di morte. Cioè, io ho fatto questo a una persona che ha detto che da morto potrebbe anche voler essere seppellito vicino a me, così nell'aldilà ci garantiremmo una piacevole conversazione per ammazzare il tempo. (Ma nemmeno mio marito: lui dice che resteremo insieme da vivi, da morti e in un sacco di altre vite, ma sospetto che, al pensiero che la facoltà di parlare non mi venga tolta nemmeno col trapasso, stia valutando di reincarnarsi con me quantomeno una volta sì e una no.)

Ecco. A livello emotivo sto esattamente così, e anche qualche gradino sotto. A livello razionale mi dico che, data anche la sua mail in cui prendeva nota della situazione e mi diceva la sua tutto sommato in modo pacato e adulto, non è successo niente di irreparabile, che capita di essere in crisi, nel senso buono della parola, quello greco antico, anche e soprattutto con le persone a cui si tiene tantissimo.

Il fatto è che non c'è un termine per dire quanto e soprattutto COME io tenga a lui. E' un rapporto che forse si esprime solo proprio con la definizione che gli ho trovato per il blog: sanguedelmiosangue. C'ho, in effetti, questa sensazione di essere stata privata di una buona metà del plasma che mi serve per sopravvivere.

E' il problema di quando due persone che davvero hanno del sangue, e anche molto carattere, in comune, si trovano affiancate nel bene e nel male durante quasi venticinque anni. In particolare se tutto comincia quando una dei due di anni ne ha dodici e l'altro ha ancora il cordone ombelicale addosso. Si cresce insieme, si vive in parallelo, quando più, quando meno vicini, sempre legati da una viscerale (e talvolta addirittura ultrasensoriale) sintonia, mentre intorno la famiglia si sfalda, la gente muore, il mondo si modifica. Il tempo però passa, si cambia, si evolve a ritmi differenti, su strade non coincidenti ma solo ogni tanto intersecantisi, anche se in punti fondamentali, e le situazioni di stallo esistono. Esiste che l'affetto e un certo senso di protezione da un lato, l'affetto e un certo senso di soggezione dall'altro, a un certo punto diventino, debbano diventare, l'affetto e il rispetto dell'altro anche quando proprio non si è d'accordo. E c'è da fare un gradino dopo il quale, spero, si sarà sullo stesso piano e si starà meglio tutti e due. Chiaramente, si evince dalle nostre ultime comunicazioni che faccio molta più fatica io a scendere il mio gradino che lui a salire il suo.

Vorrei solo non avere così tanta paura di sbagliare, di perdere o rompere qualcosa di prezioso. In un anno in cui ho dovuto fare così tanto di testa solo mia, e ho abbastanza serenamente deciso, infine, di non voltarmi a guardare se potevo fare meglio, o peggio, di come ho fatto, questo è veramente un colpo gobbo del destino, e la cosa peggiore è che me lo sono andata a cercare, se vogliamo.

Mio cugino ormai ha quasi venticinque anni, e la vita adulta fa schifo. Finchè tra noi due almeno lui era un ragazzo, io a volte riuscivo a dimenticarmene, ma ora non posso più.

lunedì 30 aprile 2012

Peaceful in the deep

Looking up from underneath
Fractured moonlight light on the sea
Reflections still look the same to me
As before I went under

And it's peaceful in the deep
'Cause either way you cannot breathe
No need to pray, no need to speak
Now I am under

And it's breaking over me
A thousand miles down to the sea bed
I found the place to rest my head.

Never let me go, never let me go.
Never let me go, never let me go.

And the arms of the ocean are carrying me
And all this devotion was rushing over me
And the question of heaven
For a sinner like me
But the arms of the ocean deliver me.

Though the pressure's hard to take
It's the only way I can escape
It seems a heavy choice to make
Now I am under, oh

And it's breaking over me
A thousand miles down to the sea bed
I found the place to rest my head.

Never let me go, never let me go.
Never let me go, never let me go.

And the arms of the ocean are carrying me,
(so cold and so sweet)
And all this devotion was rushing over me
And the question of heaven
For a sinner like me
But the arms of the ocean deliver me

And it's over
And I'm going under
But I'm not giving up,
I'm just giving in.

Slipping underneath.
So cold, but so sweet.

In the arms of the ocean, so sweet and so cold,
And all this devotion, well, I never knew went on,
And the question to heaven, for a sinner released,
But the arms of the ocean deliver me.

Never let me go, never let me go. Never let me go, never let me go.
Deliver me.
Never let me go, never let me go. Never let me go, never let me go.
Deliver me.
Never let me go, never let me go. Never let me go, never let me go.
Never let me go, never let me go. Never let me go, never let me go.

And it's over, And I'm going under,
But i'm not giving up, I'm just giving in.
Slipping underneath. So cold, but so sweet

(Never let me go, Florence + The Machine)

venerdì 20 aprile 2012

E così

Siamo di nuovo a guardare il mondo attraverso quel vetro spesso di paura e sofferenza che è la finestra di un ospedale.

auleintempesta deve di nuovo parlare di cose tristi invece che di bellissime statue ellenistiche e di undici-tredicenni esagitati. I quali, dopo una settimana in cui ho interrogato a tappeto come se dovesse finire la scuola domani, non sentiranno nemmeno poi tanto la mia mancanza se mi occupo un po' di mio papà. O forse sì, ma se fosse preferisco se nessuno me lo dice. Oggi, se riesco a non piangere mentre lo faccio, preparo un po' di lavoro per la settimana prossima, non sia mai che venga un supplente.

Per il resto, vedremo. Non possiamo fare altro che aspettare, e vedere. Ieri sera sopra Genova c'era un arcobaleno immenso. Mi sentivo un po' presa per il culo, ma era bello lo stesso.

sabato 31 marzo 2012

Weekend




Alla vostra sinistra, pila di robe da smistare, archiviare, vistare, correggere, classe II.

Alla vostra destra, pila di robe da smistare, archiviare, vistare, correggere, classe I.

Di fronte a ciò, mi sono sentita autorizzata a mandare il marito a picchiarsi con le massaie al supermercato e a risparmiarmi la corvée della spesa di sabato mattina.

venerdì 24 febbraio 2012

L'inferno

Che fosse magra, sì beh lo si vedeva, ma in questo mestiere hai davanti contemporaneamente quella prosperosa con la terza di reggiseno, quella piccina picciò con il fisico da bimba, quella lunga lunga senza fianchi perchè sta mettendo tutto in statura, quella francamente rotonda con la panza...

L'evoluzione fisica di un ragazzino tra gli undici e i quattordici anni è un fatto del tutto individuale. Oggi mi sono accorta, passando dietro a Terzo Fratello e sgridandolo perchè si dondolava, che si è ispessito, negli ultimi tre mesi, e se a guardarlo da lontano sembra sempre magro e alto come tanti ragazzini, da vicino si vede che braccia, cosce e torace sono il doppio di quelli del suo compagno di banco. Il quale, pur avendo cambiato faccia e non sembrando più uno scoiattolo dagli zigomi paffutelli, è sempre sottile come una cannuccia.

Occhioni era pallida, più che altro. E come sempre poco reattiva. Ma apparentemente serena.

Oggi è venuta la madre a parlare con me e con la Brava Crista, e improvvisamente abbiamo visto quel che avevamo davanti da mesi. Un'anoressica clinicamente conclamata.

Vorrei riuscire a trasformare in parole la voragine di terrore, di terrore nero, che i dettagli di questo colloquio con la mamma di Occhioni mi hanno spalancato dentro.

Ricordarsi perfettamente cos'è successo per mesi e mesi al tuo corpo e alla tua mente, e applicarlo a una bambina di tredici anni, a un uccellino della tua nidiata, è un film dell'orrore di impatto insostenibile. E' come entrare nella macchina del tempo e tornare a quel momento, però con la coscienza esatta, che allora non avevi, di cosa stai cercando di farti.

E Occhioni, che, da quando mi è capitata in classe a settembre, dopo la bocciatura dell'Inflessibile, non è mai stata in cattivi rapporti con me, poi, mentre io vagolo per la scuola rimuginando, mi incontra in corridoio e mi sorride, e a me viene voglia di prenderla in braccio, con le sue gambe lunghe da fenicotterino, e portarla al sicuro in un posto dove non esistano parole come mangiare, peso, sondino, ricovero, amenorrea, sonnolenza, grammi, chili, vomito, rieducazione, in un posto dove il corpo è fatto solo di colore e di calore, e l'anima è libera, e il nutrimento è dato da una corrente incessante di amore e fiducia. Un posto dove possa smettere di odiarsi. Perchè, qualunque sia la causa scatenante, il punto non è che una si fissi che vuole dimagrire, o vuole essere la modella più fotografata o vuole essere la prima ballerina. Non è neanche che voglia semplicemente attirare gli uomini, punire il suo prossimo, o liberarsi di una colpa, o opporsi a una cattività... o, o, o. Magari tutte queste cose c'entrano. Ma la verità più profonda, il nocciolo di tutta la questione, è che la persona che si fa del male privandosi del cibo si odia a un punto tale da volersi morta.

sabato 11 febbraio 2012

Crystal nightmare

Come saggiamente fa notare un amico di post (amico di tastiera? insomma, un amico su Facebook), colonna portante della comunità GLBT genovese e universalmente noto per il suo proverbiale dono di non mandarla a dire, è disgustoso che tutti postino cazzate inutili tipo: "Caldo!" "Afa!" il 12 agosto, dalla città, o "Piove..." il 3 di ottobre, dalla campagna, o ancora "Brrrrrr! Si gela!" il 6 gennaio, dalle Dolomiti.

Cioè, d'inverno fa freddo. Perchè siamo in un clima temperato a quattro stagioni, e non in Zimbabwe. Elementare, Watson. Saggia cosa disse pure la Litti suggerendo che, se proprio dobbiamo stupirci di qualcosa, sia meglio stupirci di aver passato il Natale col cappottino leggero, qua in Piemonte. Che non è normale.

Tuttavia, spero di non suonare disgustosa anche io, ma un post sul freddo vorrei metterlo. Non per scrivere brrr. Che tanto sono ormai tre anni che non metto pantaloni di lana nè calzini lunghi o collant sotto i jeans, ormai sono acclimatata, metto i guanti a partire dai 4 gradi sotto lo zero perchè prima non mi si screpolano neppure più le mani, e il berretto solo se devo spalare la neve mentre sta ancora nevicando. E spesso mi beccano a dire, con spiccatissimo accento genovese, "euh ma come si sta bene oggi" e poi guardi il termometro e ci sono 2 gradi. Questo per dire che non mi lamenterei del normale freddo che fa qui a febbraio (passare due o tre giorni a meno 10 è la norma, in queste settimane, e nessuno sa cosa si intende per "giorni della merla" se non ha sentito sulla propria pelle il freddo umido di Torino, alle sette di mattina, verso la fine di gennaio).

PERO':

- abbiamo toccato i meno 20;
- sono esplose le grondaie (scena molto Final Destination, con me che sudo dalla paura rendendomi conto di esserci appena passata sotto);
- si sono fermate un numero preoccupante di macchine (per ora non le nostre, ma non si può dire) perchè s'è gelata la batteria;
- sono andate in blocco svariate caldaie condominiali (scena molto sovietica: l'Inflessibile in cucina coi bambini, con stufetta e forno acceso, doppio maglione e tè bollente);
- a Genova i miei genitori si sono fatti cinque giorni senza riscaldamento, temperatura meno 7 fuori, 9 dentro, e tramontana (scena molto brontesca: la povera Zia Bella, per descrivere la cima sferzata dal vento dove abitano i miei, usava dire, con voce fievole e disperata, come di chi grida da molto lontano: "Heathcliff! Heathcliff! Sono la tua Cathy!");
- nella nostra tana genovese, dal rubinetto veniva un filo d'acqua ferrosa (tubi gelati);
- qui s'è rincoglionita la valvola della calderina e l'acqua calda dura un minuto e mezzo, poi si spegne tutto; idem dicasi a casa di svariati colleghi che stanno nella Valle delle Meraviglie.

Ma se avevo qualche dubbio che il freddo di quest'anno fosse un po' sopra le righe, mi è passato oggi.

Sono partita e qua non era male.
Il primo sospetto che la situazione fosse un po' troppo siberiana mi è venuto passando un ponte sullo Jenisei. Pardon: sul Tanaro. Completamente ghiacciato e ricoperto di neve. Mai visto, almeno non da me.
Poi nelle gallerie dell'A26: colonnati di ghiaccio che uscivano dalle crepe delle pareti, toccavano terra e si allargavano con un grazioso strascico sul marciapiede di servizio e da lì sulla carreggiata. Su TUTTI E DUE i lati. Ergo, si viaggiava al centro. In un punto sono passata troppo esterna, ho messo una ruota sul ghiaccio, visto la Madonna nel bianco degli occhi e deciso che non lo avrei rifatto.
Al Turchino, oltre a queste impressionanti colonne gelate e ai soliti ghiaccioli lunghi come un braccio lungo i lati delle gallerie, ce n'erano due ENORMI, qualcosa come un metro e dieci di lunghezza, al CENTRO della volta della galleria. Che sembravano messi lì apposta per farti indagare con onestà dentro di te se, in caso di morte improvvisa, la tua anima sarebbe stata in grado di cavarsela con un po' di Purgatorio o se saresti finito sparato in braccio a Draghignazzo e Farfarello. O anche, a seconda dei punti di vista, se ti saresti reincarnato in una tenia, in una blatta o almeno almeno in un gabbiano.
Peraltro, i ghiaccioli nelle gallerie sono la norma, sull'Appennino, magari non così enormi. E' quando continui a vedere ghiaccioli di quaranta centimetri nelle gallerie tra Voltri e Pegli che ti fai delle domande.

Ma soprattutto.
Sono arrivata in cima alla collina genovese dove ("Heathcliff! Heathcliff!") abitano i miei. E di norma mi devo fermare e, con la macchina scossa dal vento come un Tirrenia con mare forza 6, devo aspettare che si apra il cancello carraio. Ma con questo freddo il cancello bisogna spingerlo a mano perchè si blocca. Rallento, mi fermo, con già l'imprecazione a fior di labbra perchè devo scendere dall'auto nel vento gelido (temperatura di oggi a Genova: 3), e invece di scendere alzo gli occhi, apro la bocca e resto così, come una povera scema.

Perchè il palazzo dei miei genitori, per un quarto, e precisamente per il quarto che fa angolo con la strada, E' COMPLETAMENTE RICOPERTO DI UNA GLASSA DI GHIACCIO. Che scende tipo decorazione di una torta dal tetto sul cornicione, dal cornicione su tutti i terrazzi sotto, con graziosi festoni di ghiaccioli che pendono dal tetto, dalle ringhiere, dai vasi, dalle maniglie delle tende, dai pavimenti dei poggioli.
E' scoppiato un tubo dell'acqua sul tetto e ha trasformato la camera di mia madre, che sta al piano attico proprio su quell'angolo, in un igloo,e il resto del palazzo in quell'hotel di ghiaccio che hanno costruito in Finlandia (o era in Groenlandia?).

Cioè. E' bellissimo. Ma mi viene un mezzo attacco di panico.

Com'è come non è, la casa dei miei è mediamente calda. Tradotto, ci fa come al solito un freddo bastardo, rispetto a casa mia (se vi piacciono gli attici enormi, ricordatevi che mettere qua e là qualche porta potrebbe essere una mossa furba, per quanto l'open space sia una gran figata sulle riviste di arredamento), ma si sente che i caloriferi funzionano.

I miei non ci sono.
Si scoprirà più tardi che sono andati al canile di Sant'Alberto, sul monte Contessa, a consegnare un quintale di coperte e lane ai volontari. Rischiando di perdersi, perchè i Sestresi vanno fierissimi del loro nuovo canile e tutti sanno dov'è, e quindi non è segnalato. Ora, io al monte Contessa ci andavo con l'Uomo i primi tempi della nostra storia, a passeggiare d'estate, perchè c'è una vista incredibile, c'è il cimitero dove sono i suoi nonni e dove un giorno vorremmo essere anche noi, e c'è un eremo dove avevamo deciso di sposarci, se proprio dovevamo sposarci in chiesa. E data la nostra conoscenza (anche abbastanza biblica, nella stagione adatta) di questo luogo, romanticissimo, primitivo, verdeggiante e selvaggio, con stradine mantenute a fatica dai cinque coraggiosi abitanti della cresta sopra il cimitero, io ero convinta che i miei oggi si sarebbero persi o sarebbero volati giù con la Peugeot da una curva ghiacciata e sarebbero stati sbranati dai lupi. Forse mi ero un po' impressionata per il Crystal Palace di Albaro, però, perchè alle cinque mia madre era come al solito sull'autobus che scorrazzava in centro, e mio padre a casa a riflettere sulle tasse e sulle questioni immobiliari.

Io invece ero a casa mia a Asti e, dopo aver "lavato i piatti" con pentolate d'acqua scaldata sul fornello, mi preparavo a "fare la doccia" con lo stesso sistema. Per sicurezza ho versato nel catino sul fondo della doccia l'acqua delle pentole, poi mi sono tutta bene insaponata. Poi però era un casino sciacquarsi. Così ho chiamato aiuto: volevo che l'Uomo mi portasse una brocca dalla cucina per versarmi l'acqua addosso.

E vorrei che sapeste questo, di me. Io non sono una donna ad alto mantenimento, per certe cose. Negli ultimi undici anni ho dormito per terra, mi sono cambiata tutta, mutande incluse, nel cesso di un treno, ho vissuto in case dove non c'era ancora il gas, non c'era il forno, non c'era il frigo, non c'era la lavatrice, etc. Ho portato avanti e indietro pacchi, scatoloni e valigie come una bestia, lavato roba nei catini e steso sui termosifoni, spostato elettrodomestici, un paio di volte dai buddhisti mi sono lavata in un bagno con dentro un piccione. Vivo. Seduto in alto, su uno spigolo del muro sopra la doccia, a fare "trrrruuu trrrruuuu", o come cazzo fanno i piccioni vivi. Sono scesa in cantine buie piene di ragni albini. Sospetto di avere uno scorpione che vive dietro uno scaffale Ikea nel mio corridoietto a Genova.
Cioè, se non fosse che ho paura degli aerei e delle intossicazioni alimentari, potrei partire domani con Médécins Sans Frontières.

Ma cazzo, oggi, quando l'Uomo si è presentato in bagno con la parte sotto dello spremiagrumi e io l'ho usata per tirar su l'acqua dal catino e sciacquarmi, mi veniva da piangere.

sabato 3 dicembre 2011

Se vedete

...un ex bell'uomo aggirarsi pallido ed emaciato come il conte Vlad dopo un prolungato digiuno, con un occhio iniettato di sangue (tipico suo quando si stanca) e un telefonino all'orecchio, lo sguardo perso nel nulla, mentre parla con sette persone diverse in tre diverse stanze più quella al telefono...

...è l'Uomo in pieno festival del cinema.

Abbiamo anche finito i soldi stanziati per portare gente a cena e in giro per aperitivi, caffè e colazioni.

Io stamattina ho ribaltato in terra una caffettiera piena direttamente dal fornello.

No, ma va bene. I protagonisti del film di ieri sera erano molto contenti dell'ospitalità. I fiori per Ughetta D'Onorascenzo (rose bianche a bordo rosso, foglie verde scuro lucide e bacche rosse) erano veramente belli. La moglie di Faletti è una donna deliziosa sotto ogni possibile punto di vista.

E noi corriamo. Ancora due giornate, veramente il clou dell'evento, poi ripiomberemo nell'anonimato (spero) ma con un sacco di amici in più. Se riusciamo a far funzionare tutto, almeno.

martedì 8 novembre 2011

Non posso arrendermi

...ma ne avrei tanta voglia.

Da quando ho scritto il post sulla reazione che intendevo avere (e che infatti sto avendo) con la II C, ho corretto un'altra prova: comprensione del testo tipo Invalsi, con risposta chiusa.

Ho dato 12 insufficienze.
Arcangelo Occhiviola ha preso quattro e mezzo.

Ho anche interrogato di letteratura, quattro degli ultimi cinque che erano senza voto. Spettacolo, Arcangelo Occhiviola, l'Ingegnere e Principessina Russa.

Una cosa straziante.

Alla domanda: "Ma l'avete studiata?" due hanno risposto no, uno "un po'" e una "sì, ma non bene".

Due 4, un 5 e un 5 e mezzo. Ora, se voi a maggio dell'anno scorso mi aveste chiesto che studenti erano questi quattro, dell'Ingegnere avrei risposto testualmente: "un fancazzista", della Principessina "vende fumo", ma di Spettacolo avrei detto "brava, a volte veramente molto brava" e dell'Arcangelo "bravissimo, uno dei tre migliori della classe".

Oggi il Gigante ha tolto gli intervalli alla classe, dopo una prova di teoria della musica disastrosa.

Dopo questo non sappiamo cos'altro fare.

Io ho chiesto: "Ma scusate, ma se prendete quattro, sei o otto per voi è indifferente? Dolce Castoro, tu sei l'unico che ha preso otto della prova Invalsi, che sensazione ti dà?"
"Non mi fa differenza."
"Ah se ti davo un quattro per te andava bene lo stesso?"
"No, no."
"Ma se questo è quel che pensate, allora posso dare sei politico a tutti?"
Mezza classe non ha risposto, nella restante mezza si sono divisi tra borbottii indistinti e sì.
Goffetta: "Ma no, e allora chi prende un voto più alto?!?"
"Certo", ho detto io. "E' ingiusto per chi prenderebbe di più. Ma è anche ingiusto per chi prenderebbe sei veramente, che uno che aveva quattro gli passi avanti, no?"
Peste Romena: "E no, chi se ne frega?"
"Ah sì? E quando sul lavoro ti passerà avanti qualcuno che vale meno di te, sarà lo stesso?"
Lo Scoiattolo: "Va beh, lo ammazzo, e ho risolto."

Capite perchè poi una viene a casa e spera che, ALMENO, oggi pomeriggio cada il governo Berlusconi?

Mica si può vivere così.

Ora cosa faccio?

martedì 7 giugno 2011

Prendiamola bene

Non parliamo di scuola se no piango. Però forse almeno almeno la Bestia Nera ce la scampiamo, pare che diano la mia classe al Troll se io non riesco a rientrare.

Non parliamo neanche di salute di papà se no svengo.
Per adesso aspettiamo il consulto chirurgico.

Intanto, dico una cazzata che mi frulla in mente, in momenti di particolare disperata autoironia, da qualche giorno.

Io posso farcela, a fare quasi tutto.
Non posso farcela a vedere papà come l'ho visto sabato e domenica, ma senza dubbio, ora è assodato, posso farcela a gestire l'arrivo di un'automedica, di un'ambulanza urlante, a fare due manovre da ritiro patente nel giro di duecento metri per star dietro all'ambulanza, a non vomitare dall'ansia nel corridoio del pronto soccorso, a sentir dire infarto senza collassare a faccia avanti sul medico, ad aspettare tre ore in piedi al freddo in attesa di notizie, a non ridere istericamente in faccia a uno specializzando con la faccia da bambino tipo George O'Malley, o a un tecnico di cardiologia che Patrick Dempsey gli fa un baffo, o a una caposala sudamericana piccola e severa, presa dalla sensazione surreale di essere finita mio malgrado in una puntata di Grey's Anatomy e di star per incrociare Miranda Bailey in ascensore o il dottor Burke in terapia intensiva. Posso farcela a essere beneducata e parlare a bassa voce e chiedere informazioni senza essere insistente, posso farcela già meno a mangiare e dormire in giornate simili, ma è secondario, posso farcela a non crollare addormentata per il nervoso e la stanchezza mentre guido e anche a concentrarmi sulla relazione di presentazione della classe per l'esame che devo comunque scrivere.
Ci ho fatto stare anche una visita dalla ginecologa che avevo prenotato da tempo, la raccolta differenziata, la spesa, duemila telefonate tra cui anche una dell'amministratore.

Domani c'è sciopero degli autobus e Genova sarà una trappola mortale di traffico. ma ce la faccio a farci stare anche questo.

Ce l'ho fatta stare senza mio marito in questi giorni orrendi e anche a non svegliarlo stanotte quando finalmente ho dormito di nuovo con lui ma avevo il panico, e ce l'ho fatta a preparargli una cena decente stasera.

Solo, per cortesia, qualcuno potrebbe levarmi dalla vista quei manifesti con Alessandro Gassmann con quella faccia un po' così e la scritta "Fate l'amore più spesso"?
No, perchè mi fan sentire un ciccinino presa per il culo.

domenica 5 giugno 2011

Aule in barella

Ecco, ora non sto a dilungarmi, ci sono un certo numero pari al 96 per cento di probabilità che a scuola io ci torni solo per riconsegnare registri e griglie dei voti e poi il mio giugno prenda una brutta, brutta, brutta piega.

Il che significa che, dopo avervi ammorbati per due estati con le mie ansie sul perdere cattedra, potrei passare l'estate 2011 entrando su questo blog solo per gettare alti guaiti all'idea che i miei venti disgraziati, dopo tre anni insieme, alla fine abbiano dato l'esame con qualcun altro. E con chi se non con la Bestia Nera.

Okay, ho grane più grosse. Ubi maior, minorenni se arrangiant, anche con la Bestia Nera se non si può far diversamente. Cazzo, Punta di Diamante e Bahama Girl NON ME LO PERDONERANNO MAI.

Dai, ora non fasciamoci la testa etc, comunque quando son più calma poi vi racconto. Intanto incrociate le dita, delle mani e se siete capaci (io sì) anche dei piedi. Ma non per l'esame dei miei venti scapestrati, per l'elettrocardiogramma di papà. Che il cuore, qui, sta presentando il conto.

Buone cose a voi, e in culo alla balena ai vostri alunni, se ne avete, per la fine d'anno. Soprattutto a quelli di una tizia denominata Noisette, che mi pare particolarmente determinata a far strage, quest'anno.

giovedì 26 maggio 2011

Il Danno sotto i riflettori e i pensieri della sua prof

Sei super elegante. Ti avvicini per un saluto, bacino bacino, e confessi: “Sono agitatissimo”. In effetti sei color aragosta, sei anche l’unico costretto in una giacca in un pomeriggio di maggio che potrebbe essere d’agosto, ma credo che sia vero, che sei agitato. Anche se sdrammatizzo, e ti dico: “Ma no dai, perché? In fondo son tutti qui per farti i complimenti.” E tu ribadisci: “Sì, ma sono agitatissimo. Anche stamattina, in radio, non riuscivo a parlare.”

Si vedrà alla fine, quando dopo i saluti e i ringraziamenti, dopo i discorsi dell‘assessore, della scrittrice che ha curato il libro, di allenatori e ex giocatori, del medico che ti ha salvato e di tuo padre, dopo la sfilata dei tuoi compagni di squadra, dopo la lettura della mail di congratulazioni e incoraggiamento per la ripresa firmata da Stefano Tacconi e di una lettera splendida di Marcello Lippi, e dopo mille altre cose, finalmente tocca a te.

E dici poche parole, spaventato dal microfono, a denti stretti. Ringrazi chi ha partecipato al tuo recupero. Dici che vorresti tornare a giocare presto. Sembri un topo in trappola, mastichi le parole. Ma per fortuna non insistono a farti domande.
Avverto un disagio profondo, la sensazione che la tua presenza sotto i riflettori, davanti ai giornalisti, sia tutta una faticosa ostentazione fortemente voluta da tuo padre, che da sempre spende soldi per promuoverti nel mondo del calcio e spera, probabilmente, con questa manovra mediatica, di accelerare il tuo rientro sul campo. Mi chiedo quanto ci sia di tua volontà in tutto quel che sta succedendo. Mi chiedo se sei forte, se sei fragile. Mi chiedo come stai.

Poi, come un vero vip, mentre la gente defluisce nella piazza, firmi gli autografi sulle copie del libro. Nel libro ci sono il racconto del tuo incidente, del tuo recupero, della tua vita prima e dopo, ci sono le testimonianze di genitori, amici, parenti, medici, allenatori, e anche di una tua ex prof. E c’è, impressionante per lunghezza, una serie di pagine che sono la stampata letterale dei messaggi sulla pagina Facebook di tuo padre: quelli che scrivevamo prima che riaprissi gli occhi e quelli con cui abbiamo festeggiato il tuo ritorno dopo.

Sono passati dieci mesi. Hai una fidanzata, che ti saluta proprio prima che tocchi a me farmi mettere l’autografo. I tuoi nonni e zii sono commossi. Tuo padre ha percorso la sala avanti e indietro coordinando tutto quel che succedeva, con l’aria tesa. Tua madre è stata in disparte, a sorridere dolcemente.

La collega F. è dovuta scappare via prima e non è riuscita a salutarti, la preside non è venuta, così mi sono avvicinata per portare i loro saluti e raccomandarti di portare a scuola una copia del libro, poi ho visto che firmavi la prima pagina a chi te lo chiedeva e ti ho detto: “Con tutte le firme che ti ho fatto io, adesso fammene un po’ una tu.”

E intanto guardavo la tua mano sinistra scrivere più lentamente di come ricordavo, e mi si stringeva lo stomaco. Poi ho visto la calligrafia, e mi è caduto il cuore in fondo alle scarpe. Eri famoso per la tua scrittura precisissima e regolare, fotocopiavo i tuoi appunti e i dettati scritti da te, se dovevo tenere il testo, perché erano i più facili da leggere, e litigavamo sempre perché non tolleravi di non poter usare il bianchetto sulle prove se c’era da cancellare un minimo sbaffo della biro. Ma io non lascio usare il bianchetto sui compiti in classe, neanche in caso di vita o di morte, e tu ogni volta le provavi tutte per farmi fare un’eccezione alla regola, senza successo.

E ora, le lettere scritte da te non sono scritte da te. Sembra la scrittura di un bambino, un bambino ordinato, ma delle elementari.

Mi si è annodato tutto quanto dentro e ho avuto un attimo di vuoto, mi sono resa conto che me ne stavo andando senza salutare tua madre quando ero già per le scale.
Sono scappata via, letteralmente, nella piazza inondata dal sole ancora caldissimo. Con il libro in mano e il desiderio di convincermi profondamente che è un mio limite professionale fissarmi sulla calligrafia, che non ci devo pensare, che stai bene, che andrà tutto bene. Che a te della scuola non fregava davvero, che ti importa solo del calcio.

Ma intanto volevo trovare qualcuno con cui incazzarmi, perché il mio bambino, il mio alunno in gamba, originale, bellissimo e strafottente, quello dei temi romantici e degli schemini perfetti, ha dovuto ri-imparare a scrivere.

E volevo picchiare qualcuno perché, calcio o non calcio, so che, quando hai ripreso in mano una biro e ti sei accorto che non potevi scrivere come prima, hai pianto.

Maledizione.

Maledizione.

E ora eccoci qua. Con un libro autofinanziato sulla tua carriera calcistica che forse non inizierà mai. Con la certezza che ti ho visto meglio della volta scorsa e che la prossima volta che ti incontrerò ti vedrò ancora migliorato.
E con la tua breve dedica, che sembra scritta da tuo fratello piccolo.

Alla mia prof preferita

Ale

martedì 10 maggio 2011

Le prove Invalsi e la privacy delle famiglie

La mia amica Noisette ha sollevato da tempo la questione della famigerata prova Invalsi che dobbiamo somministrare a giorni.

Non parlo qui del test che si fa a livello nazionale e che si somministra insieme agli esami di terza media, ma di quello, avente scopo di rilevazione statistica, che si dà alle classi prime.

Si è discusso qui e qui del perchè e del percome a noi insegnanti tocchi / non tocchi, sia gradito / sia inviso questo compito.

Ma un tema non è ancora stato toccato.

Insieme al test Invalsi (75 minuti di matematica, 75 minuti di italiano) viene consegnato un questionario ai ragazzi, che si suppone richieda 30 minuti per la compilazione.

Alcune domande del questionario degli anni scorsi riguardavano i seguenti argomenti:
composizione del nucleo familiare
titolo di studio del padre e della madre
occupazione del padre e della madre
numero di fratelli e sorelle
lingua parlata a casa
numero di libri presenti a casa
possesso di camera individuale
aiuto ricevuto nello studio fuori da scuola
attività svolte fuori scuola
risorse disponibili in casa (è stata eliminata una domanda sul possesso da parte della famiglia di lavastoviglie e automobile e sulla presenza di uno o più bagni in casa).

Pensate che scherzi? guardate le motivazioni fornite,che riporto testualmente (fonte: sito ufficiale INVALSI, qui alla voce quadro di riferimento dei questionari)

Con la composizione del nucleo familiare si vogliono indagare le tipologie di famiglia in cui i
bambini vivono. Il numero degli eventuali fratelli o sorelle può essere considerato come un
indicatore di vincoli economici familiari. Inoltre la domanda relativa al possesso di una camera
individuale – in presenza di fratelli – può dare indicazioni sullo status economico della famiglia. Tra
le risorse disponibili in casa, comunemente indagate nelle ricerche internazionali come indicatore di
status economico (nota 30), si è scelto di focalizzare l’attenzione su quelle più direttamente connesse allo
studio. Pertanto l’indagine delle risorse educative disponibili a casa viene considerata soprattutto
come un indicatore delle condizioni familiari di supporto allo studio
.

Testo della nota 30 Dopo una ricognizione delle distribuzioni delle riposte degli studenti italiani nelle indagini PISA, TIMSS e PIRLS, si
è deciso di eliminare le alternative di risposta legate esclusivamente al benessere economico (es. bagni, automobili,
lavastoviglie), e quelle presenti in tutte o quasi le famiglie italiane (es. vocabolario).



Ora io non aggiungo altro. Vi faccio solo notare che questo questionario viene distribuito a minorenni in assenza dei loro genitori e come parte di un test scolastico.

venerdì 1 aprile 2011

Morsi e rimorsi

Ultimamente, come mi capita a volte verso la fine di una terza media, ma con più forza del solito, sono torturata da un pensiero.

Mi basterà il tempo?

Per finire il programma, certo.
Per correggere le prove.
Per far ripetere cinque ricerche a testa. Cinque per venti fa cento.

Ma a forza di libri e corsi sul karma, e leggendo il libro di Don Gallo, e raccogliendo sempre più spesso notizie sui miei ex alunni (un lusso che anni fa non avevo, perchè cambiavo sempre scuola), in realtà la domanda non riguarda le scadenze didattiche.

La domanda è, in realtà: ho fatto abbastanza?

Oggi, per esempio, ho parlato a Pasticcino, le ho spiegato che sta vendendo aria fritta da settimane e noi ce ne siamo accorti benissimo. Le ho detto che non è facile fare questi discorsi a sua madre perchè è spesso aggressiva. Lei ha ribattuto che sua madre ha tanti problemi in questo momento. Io, che un po' li so, questi problemi, non sono arretrata di un millimetro e le ho detto che se continua così anche il suo rendimento scolastico diventerà un problema.
Le sono venute le lacrime, ed era proprio quello che volevo che succedesse.

Dovevo dirglielo un mese fa?

Gatto Selvatico oggi era sospeso. Ha fatto quattro ore di lezione, due con me, una con la F. e una con Milady. E due ore a tirar su spazzatura dal prato tutto intorno alla scuola, con il prof di sostegno e il ragazzo handicappato. Differenziandola accuratamente. Mi ero imposta di non mettermi a urlare quando la preside e i colleghi hanno soggerito questo provvedimento, di non strillare che per una persona con problemi a socializzare è umiliante passare davanti alle finestre di tutte le aule facendo lo spazzino, di ricordarmi che anche lo spazzino è un lavoratore che merita rispetto e quindi che non dovevo prendermela io, e nemmeno lui, per questa scelta del consiglio di classe. Ma poi, mentre si preparava per questa punizione, infilandosi i guanti nell'atrio, l'ho guardato fare dalla sala prof e mi veniva il magone. Lui si è girato e m'ha visto e io ho fatto un gesto come dire: "ma guarda te se ti devi cacciare in questa cosa". E lui ha stretto le spalle e allargato le braccia come a dire: "e che ce vogliamo fa', ormai è andata così". A lavoro finito, è venuto in classe a farsi dare il sapone liquido per le mani, stanco ma soddisfatto, e entrando ha tuonato: "Oh, se adesso vi vedo che buttate ancora della spazzatura per terra vi meno!!!"

Dovevamo sospenderlo già l'anno scorso? Avremmo evitato che quest'anno avesse delle vere e proprie crisi di rabbia? Sta davvero finalmente imparando a prendere le cose più serenamente e in modo responsabile, o avrà di nuovo dei periodi no in cui fa di tutto per farsi punire? Capirà che noi intuiamo i problemi che ha a casa? Dovrei chiedergli di aprirsi e parlarne, ora che, a forza di scornarmi con lui, ho conquistato la sua fiducia? O dovrei passargli a fianco ogni giorno per tre anni senza abbracciarlo nemmeno una volta, come ho fatto con Giovane Lupo, che si porta dentro un mondo intero di sofferenze e ingiustizie e non lo ha mai condiviso con noi, anche se a volte si asciugava le lacrime chino sul suo libro, credendo che non ce ne accorgessimo?

Ieri ho fermato Punta di Diamante prima che uscisse e gli ho spiegato che lui ragiona come un professore, non come un alunno. Che le cose che lui riesce a leggere in una frase di grammatica, nello stesso esercizio in cui i suoi compagni ancora esitano nel distinguere una coordinata da una subordinata, sono sottigliezze lingiuistiche che io insegnerei loro se fossimo al liceo. O all'università.
Ho insistito sullo spendere bene le risorse che ha. Era felice, e per una volta non strafottente. Oggi mi ha torturato tutto il giorno, ma ieri era felice. Si è fatto interrogare di Geografia ed era l'unico che sapeva indicarmi i sistemi montuosi dell'Asia uno per uno. Sulla carta politica. Infatti non avevo voluto che girassero il planisfero dalla parte della geografia fisica apposta perchè lui era interrogato. E che cazzo, un insegnante ha anche dei neuroni e questi neuroni, ogni tot ore di lezione, devono un po' godere, o vanno in sciopero.

Dovevo fare diversamente con lui? Dovevo lasciargli fare la star, invece di sgridarlo continuamente per il suo comportamento esagitato?

Dovevo prendere tutte le settimane la Maddalena fuori da sola per un'ora, come ho fatto stamattina per metterla in pari di Latino?

Farò ancora in tempo a dire, a fare, a dare, qualcosa che a loro serva veramente, nella vita, nella scuola? O il dado ormai è tratto?

Oggi era una di quelle giornate in cui credi di essere veramente riuscito a dare il meglio. Il progetto di storia è filato liscissimo, la spiegazione di Geografia anche, il lavoro sulle immagini del Futurismo anche. Eppure a mezzanotte e mezza sono qui che mi chiedo se basta.

Che poi mi dico, se per un anno non avessi una terza da portare all'esame, magari mi prenderei un po' meno sul serio. Ma sono cinque anni che vado avanti a terze, e la primavera ormai mi fa cronicamente quest'effetto.

sabato 19 marzo 2011

Il giorno dei prodigi

Beh, buona festa del papà.

Qui le cose vanno. Non bene, anzi, ma vanno.

Non ho tempo di spiegare, parto per Genova tra mezz'ora, ma ci tenevo a darvi la vostra puntata di


La lune di Castagna

calendario lunare per simpatixzanti buddhisti e tibetani d'adozione

anche perchè oggi è una ricorrenza particolare.

La giornata di oggi 19 marzo è per i buddhisti il "giorno dei prodigi" intendendo con ciò l'anniversario di una giornata in cui il Buddha fece numerosi miracoli per convincere i suoi ascoltatori della bontà delle sue dottrine.
Dal punto di vista tibetano, è una giornata di purificazione in cui assumere gli otto precetti per intero e anche dedicare preghiere al Buddha della Medicina (Shakyamuni, Sangye Menla per i Tibetani) e non mangiare assolutamente carne.
Vestitevi di bianco e/o giallo e siate molto puliti!
Non usate medicinali, possibilmente. Domani non tagliatevi i capelli.

Parlando della posizione della Luna, invece, siamo in Vergine oggi e in Bilancia domani: per cui, oggi, copritevi, mangiate leggero, domani invece bevete molto e proteggete gli occhi.

lunedì 28 febbraio 2011

E' un incubo

Ora di letteratura. Un collage delle varie ore di letteratura fatte quest'anno in prima.

"Gli eroi omerici sono molto umani. Non sono come quelli dei film, che fanno esplodere tutto, vincono da soli contro trenta cattivi e se ne vanno via con la bella. Vanno a combattere, sono coraggiosi, difendono la loro gente, però hanno paura: hanno così paura che a volte vogliono scappare. Non vogliono essere codardi, ovviamente, ma mentre vanno in battaglia pensano che hanno paura di non tornare, di non rivedere la moglie, i bambini."
"E' naturale, no?"
"Sì. Ma è molto bello che Omero ce lo dica, ce lo faccia vedere. Anche gli dei, a volte, si disperano, si arrabbiano, piangono. Pensate a Teti, la madre di Achille, che non vuole che suo figlio muoia combattendo. Loro sono divinità, potrebbero girarsi di là, tanto sono immortali, bellissimi, fortissimi, e chi se ne frega degli umani. Invece sono coinvolti, fanno il tifo, si agitano."

Erano poco meno di venti e per una volta non dovevo gridare per spiegare, non volava una mosca.

Poi quello con le orecchie enormi e il sorriso pieno di denti ha detto, sghignazzando:
"Ma l'Achille era un culattone!!!"
"Scusa, perchè?"
"Si fa fregare la Briseide dall'Agamennone, no dico, come un cornuto qualunque! E va pure a piangere dalla mamma!"
"E questo vuol dire essere omosessuale?"
"Secondo me era frocio, guardi, anche tutta 'sta storia del Patroclo, che schifo, sempre nudi a allenarsi, non che il Brad Pitt nudo, vero, voglio dire, alle signore piace, non a me sia ben chiaro, io mica sono un invertito...invece l'Agamennone, lui sì che era un macho: più vecchio dell'Achille, ma si fa rispettare, eh? questa non posso trombarmela perchè è la figlia di un prete? Via, sotto un'altra!"
Picchia la mano aperta sul banco, con l'aria soddisfatta.
"E Paride?"
"Il Paride è un vero dritto, lui sì che se ne capisce: Afrodite gli offre la donna più figa della terra e lui mica se lo fa dire due volte, mette le corna a quel rincoglionito del Menelao, che figurati se la sapeva tenere sotto una troia come Elena; scoppia la guerra ma lui, il Paride, se ne va da suo padre, vuoi vedere che possono fargli qualcosa? Dieci anni ci mettono a batterli, i Greci, 'sti Troiani, e intanto lui son dieci anni che si tromba la donna più bella del mondo!!! Quelli là a morire di pestilenza nelle tende e lui nel palazzo, a scopare!!!"
Si guarda intorno, borioso, per vedere se gli altri apprezzano. Visto che non tutti si interessano a quanto sta dicendo, tira una pallina di carta a uno dei distratti, con aria malevola.
Decido di ignorarlo.
"Se questa è la tua idea, pazienza, andiamo avanti. Dicevamo che Ettore, alla vista di Achille tutto armato, si fa prendere dal panico..."
"Un altro che scappa? Alla faccia dell'eroe! No, guardate, a me il solo che piace, a parte il Paride, è l'Ulisse, quello sì che è un valoroso, e basta combattere, no? Un bel cavallo di Troia, basta con 'sti Troiani, via, tutti bruciati, e che cazzo, tanto sono turchi, ciao ciao, noi ce ne torniamo in Grecia, con il tesoro del tempio, e poi tutto il Mediterraneo, si gira, e giù con Circe, e zac con Calipso, e dai con Nausicaa, e quando arriva a casa mica rimane solo, no, la moglie se n'è stata lì brava brava ad aspettarlo e deve essere sul serio una bella gnocca se lui, dopo vent'anni che non la vede, ancora le dà una ripassatina..."
Mi sto agitando, Ulisse e Penelope sono una storia d'amore immortale tra le mie preferite, ora lo attacco:
"E immagino che Enea sia un vero ganzo perchè, morta la moglie, pensa bene di scoparsi la regina di Cartagine, e poi mollarla lì e andare in Italia a prendersene una più giovane?"
Mi guarda con sufficienza e fastidio: detesta le femministe, soprattutto se sono insegnanti statali, quindi comuniste, racchie e sicuramente frigide.
"Ma prof, è chiaro che la Didone era una soluzione di ripiego, voglio dire, hai navigato per settimane, ti capita una che è vedova e non vede l'ora, e ti pare che non ne approfitti? Ma ha fatto male a mollarla così, intendiamoci: che se quella non si ammazzava era meglio, almeno poi Roma commerciava decentemente con la Libia. Però non era neanche pensabile che se la tenesse, oh, oliare un po' le relazioni internazionali va bene, ma cosa doveva, sposarla? Scherziamo! Era sicuro più vecchia di lui, e sarà anche stata una negra!"
"Basta così, Berlusconi!!! Nota sul diario! Nota sul registro! Voglio vedere i tuoi genitori!"

Poi mi sono svegliata. Dio, che sogno orrendo.

Però la prima parte della lezione, fino a 'non volava una mosca', è accaduta veramente. E un'altra cosa è accaduta veramente.
Quando ho raccontato la storia della mela d'oro, Paride che deve scegliere la dea più bella e gli offrono vari optional, e lui deve pronunciarsi tra diventare l'uomo più saggio del mondo, l'uomo più ricco del mondo, o l'amante della donna più bella del mondo, l'Arcangelo Biondograno, con i suoi undici anni e i suoi begli occhioni azzurri, ha detto: "Ma io avrei scelto di essere l'uomo più ricco del mondo, così poi la donna più bella me la prendevo comunque."

E io, che sono un'insegnante comunista e inculco i valori sbagliati, non ho detto niente.
Non ho detto niente, perchè mi sono morte le parole in gola.

martedì 22 febbraio 2011

Testimoni della storia

Volevo mettere su il solito calendario della luna e un post al glucosio su quanto sono felice della mia scuolina, del nostro laboratorio di cucina e dei miei bellissimi e amatissimi exalunni che mi vengono a trovare. E invece sono senza parole.

Senza parole, proprio. Perchè dovete capire che io con i libri di storia ci convivo tutta la settimana, e no, non c'è niente di paragonabile a un dittatore che BOMBARDA il suo popolo in rivolta, nella storia recente. Lo so che ci sono stati eccidi e massacri anche peggiori quanto a durata e numero di vittime e sono certa che Gheddafi ha i giorni contati. Ma Gesù benedetto, le BOMBE sulla folla. Le bombe. Dagli aerei. Sul suo popolo.

Che orrore.

Comincio a essere stufa di aprire il giornale e pensare cose come "Oddio, questa ci toccherà farla studiare a scuola tra qualche anno", perchè non sono mai belle notizie.

Domani parlerò ai miei ragazzi di quando è giusto dire no. Parlerò dei piloti che all'ordine di bombardare le piazze sono scappati a Malta. Parlerò degli insegnanti che non facevano solo fare il tema sul nostro glorioso Duce, di mio nonno Marco che prolungava la degenza dei malati all'ospedale dichiarandoli ancora infettivi per non farli deportare, di mio nonno Fernando che aiutava la gente a scappare in Svizzera dalle sue montagne natie.
Parlerò delle persone che si sono fatte fucilare o torturare per non dire di sì quando andava contro la loro coscienza.

Parlerò di quelli che hanno detto di no quando era ancora troppo presto, al momento giusto, e quando era troppo tardi.

Con la coscienza che io, in modi e forme diverse, appartengo nel mio piccolo a ciascuno di questi tre gruppi.
E che verranno ancora altri giorni in cui no bisognerà anche gridarlo. E forse non sarà abbastanza.

mercoledì 15 dicembre 2010

CRISI DI COSCIENZA

Ho un problema, e neanche tanto piccolo.

Ieri ho assistito inorridita a quel che succedeva a Roma. Non fuori dal Parlamento, ma dentro.

E per la prima volta, pur essendo contro la violenza, ho SPERATO che la folla fuori buttasse giù le porte, entrasse e se li mangiasse vivi, i parlamentari.

Ho sperato che le rivolte di piazza si protraessero abbastanza da richiamare l'attenzione di tutti i giornali italiani e stranieri e ho sperato (e su questo mi è andata bene) che ci sarebbe stata, STAVOLTA, ampia documentazione sulla presenza di infiltrati tra i manifestanti, e di poliziotti o altri esemplari delle forze armate inclini all'uso dell'arma da fuoco.

Ricordo a tutti che io sono di Genova.
Non fraintendetemi: a Genova, il poliziotto che ha sparato a Giuliani era un ragazzo terrorizzato chiuso in una camionetta che veniva sfondata a colpi di trave e estintore, lo so, e niente mi dà più fastidio di quelli che nominano il ragazzo ucciso come un eroe o un martire. Era un cazzone violento con un passamontagna in faccia e un estintore in mano. Ma mi dà fastidio anche che per mesi abbiano tentato di insabbiare che il carabiniere gli avesse sparato in faccia: io ero davanti alla televisione quando sono comparse le prime immagini, e il cervello di Giuliani era ordinatamente spruzzato in linea retta dietro la sua testa, non serve essere un esperto in balistica per capire che il proiettile non era per niente arrivato "di rimbalzo dalla grondaia della chiesa".

Quando a scuola mi costringono (e me lo devono chiedere dieci volte, per fortuna non tutte le classi lo fanno) a parlare del G8 di Genova, dico questo e anche che, al carabiniere seduto davanti a Placanica, hanno sfondato la faccia con una trave, nei secondi immediatamente precedenti lo sparo. Che i carabinieri avevano vent'anni e erano isolati e in preda al panico. E dico che in città c'era un clima spaventoso da giorni, con gli elicotteri, i mezzi blindati, le cancellate, i fucili. E che tutti i Genovesi comunque la pensassero erano visibilmente oppressi da questo scenario di guerra.
E che io volevo andare a manifestare il giorno dell'unica manifestazione effettivamente pacifica che ci sia stata, quello in cui la gente ha sfilato per la città con le mani dipinte di bianco, senza un incidente, senza un malore. E che l'Uomo mi ha supplicato di non andarci, ma all'epoca io ero in contatto con diverse organizzazioni più o meno solidali e no global di cui mi fidavo, e ho insistito. Finchè non si è quasi messo a piangere d'angoscia, dicendomi che lui era abituato alla folla degli stadi e delle manifestazioni, e sapeva che la cosa poteva degenerare troppo facilmente. Se fossi andata quel giorno non mi avrebbero torto un capello, in realtà, ma ahimè della manifestazione pacifica del 19 luglio non si ricorda nessuno, visto quel che è successo dopo.

Posso parlare del G8 per un'ora buona, avendo raccolto testimonianze di prima mano sulla polizia che strappava di mano le macchine fotografiche alla gente, e anche sugli schizzi di sangue presenti sui caloriferi del plesso scolastico Diaz - Pertini.
Ma ai ragazzi dico poco e niente, lo stretto indispensabile. E regolarmente mi va via la voce a metà discorso. Ci sono solo altri due argomenti che mi riducono con le lacrime agli occhi e la bocca secca in classe, e sono l'undici settembre e la strage della scuola di Beslan. Per mia fortuna, solo dell'undici settembre sono costretta a parlare perchè è parte integrante del programma. Di Beslan ho parlato una volta sola e mi sono dovuta interrompere diverse volte.

Ora, però, anche se a scuola posso a) non incontrare l'argomento b) evitare di rispondere c) dichiarare che non voglio parlarne d) parlarne in modo assolutamente corretto e neutrale, dentro di me sono veramente in crisi.

Perchè questi giovani che hanno assaltato la Camera io trovo che abbiano ragione, e che anzi la Camera dovremmo assaltarla tutti, che non capisco come sia possibile che siamo arrivati fin qui, fino alle rivolte di piazza, quando c'erano tanti e tanti modi per fermare in modo legale quel che stava succedendo, prima che degenerasse miserabilmente (e a questo punto io odio ben più Napolitano di Berlusconi, potete starne certi), ma che ora che ci siamo, alle rivolte, niente mi darebbe più dolore che vederle interrompersi.

Lapidatemi pure. Vi assicuro che mi sto tormentando parecchio per quel che penso. Però insegno e studio storia, e ho la sensazione che siamo entrati in un certo tipo di congiuntura, e non mi piace. Non mi piace proprio.

domenica 28 novembre 2010

Neve

Dormito dieci ore. Poi, la luce biancogrigia tipica delle nevicate.

Tutto sotto controllo, comunque.
AHAHAHAHAHAH! ormai mi faccio ridere da sola. La sola cosa che è sotto controllo è che le gomme da neve sono già montate.
Che casino, giusto la neve mi ci mancava.

Va bene. In arrivo post schizofrenici e altri seri e profondi, politici e scolastici oltre che personali.

Ma un attimo, che da qui a martedì ho un miliardo di cose da finire.