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lunedì 20 aprile 2020

I papaveri

La mia psicologa mi ha detto di immaginarmi in una determinata scena, che io le ho descritto nei dettagli.  Mi ha detto di associare alla sensazione che provavo un colore: ho risposto il rosso. Io indosso spesso il rosso quando voglio dimostrarmi sicura di me.
Poi mi ha chiesto di associare il rosso a un'altra immagine e io ho pensato ai papaveri. Ma, invece di intristirmi, ho capito che stavo pensando al punto da cui dovevo ripartire.

Quella primavera in cui faceva così caldo che ad aprile sono fioriti i papaveri. I papaveri che erano dappertutto quando è morta la Compagna Collega.
I papaveri di quando un'astronave aliena mi ha portato via, restituendomi qualche settimana dopo in uno stato pietoso. I papaveri di quando la mia vita si è rotta.

Devo ripartire da lì.

Oggi ho fatto domanda di trasferimento.

mercoledì 27 luglio 2016

Zone d'ombra: alcune delle cose che non vi ho raccontato - Intro

Stamattina mi sento di dirvi delle cose. Un po' si deve al fatto che ieri ne ho parlato con la mia psicologa, la Fata Bionda.
La Fata Bionda mi ha chiesto di cosa sono stufa, e io sono stufa delle zone d'ombra delle persone, o meglio, sono stufa di avere a che fare con persone che hanno zone d'ombra grandi come il Baden-Württemberg.
Poi in realtà questo post lo scrivo perché mi stavo alzando da letto, dopo aver letto le ultime di Zerocalcare, e pensavo che mi sarei messa a lavorare subito, perché il mio corso online alla Macquarie University ha una scadenza il primo agosto, e io già so che non riuscirò a rispettarla se non mi ci metto immediatamente. Ci sono 13 consegne da preparare. E domani finalmente rientra l'Uomo. A questo punto, ho pensato, adesso lo racconto ai miei blogamici che seguo questi corsi da due anni, tanto lo sanno già che sono una secchiona di merda, e allora mi sono resa conto che tutte le volte che leggo l'icona di Coursera sulla mia bacheca, sulla copertina del mio tablet o sul desktop del mio computer, penso sempre alla stessa scena e penso che quella scena, in qualche modo, sia l'origine del male che è successo in questi mesi nella mia vita. La piega quantica che ha risucchiato via la luce.

Per scrivere questo post devo parlare male di una persona, anzi di molte persone, e siccome sono tutte persone che hanno a che fare con me, alla fine devo parlare male di me stessa. Come sempre succede quando uno si espone su Internet a raccontare i cazzi suoi.

D'altra parte per parlare davvero male di qualcuno bisogna conoscerlo. E e si dà il caso che le persone di cui parlo qui siano tra le persone che io più amo, a cui più tengo sulla faccia della terra. E quando dico amo, non intendo ci sono stata bene in vacanza, ci ho scopato bene un paio di volte, sono stata contenta di farci un viaggio in treno insieme. Intendo sono stata al loro fianco per anni e anni, ho visto i loro momenti bui, condiviso tutte le loro fatiche. Sono stata lì anche a prezzo di grandi sacrifici, a costo di grandi litigi. Io c'ero e questo mi dà il diritto di dire quello che penso, così come loro hanno diritto di dire quello che pensano di me che mi sono a mia volta esposta.

Diciamo che nella mia concezione dell'amore questi sono quei rapporti in cui io metto veramente alla prova quello che sento per qualcuno e dopo, una volta che ne sono sicura, non posso più usare il passato, dire l'ho amato, siamo stati amici, ci siamo voluti bene.
Nel momento in cui il mio rapporto con qualcuno arriva a farmi conoscere i suoi punti bui i suoi difetti i suoi problemi e io resto, quello per me è l'Amore definitivo. Per gli altri invece un motivo per allontanarsi, forse. Ma non per quelli che mi scelgo io. Quelli restano, di solito. Perché ognuno, diceva Montale, riconosce i suoi. E qualcuno se ne è andato, lo stesso: ma a me non frega un cazzo. Io amo così, mi metto in gioco così. Io sono fatta così. E non dimentico.

Ma andiamo con ordine, perché questo è un post che fa soffrire. Ho perso l'abitudine a scrivere fluentemente e con belle parole su cazzate di cui alla fin fine non importa niente a nessuno.
Gli argomenti che sto affrontando nella mia vita sono talmente grossi che la maggior parte delle volte, qui, non ne riesco nemmeno a dire due parole. Perché il buio e il dolore creano confusione ed è nella confusione che io vivo (vivo è un po' eccessivo: diciamo respiro) da mesi.

La scena che si ripresenta alla mia mente ha una data precisa. Una luce precisa. E la voce della Frenci. La Frenci, sì. Mai più sentita nominare qui, giusto? Qualcuno di voi legge e commenta ancora i suoi articoli in rete. Qualcuno la vede e la frequenta. Io non più. Non è una scelta mia. E non era una blogamica. Era mia sorella. Gemella.
Dalle versioni di greco all'atrio di un pronto soccorso. Dal testo di linguistica al pentolino del Nescafè. Dal muretto di Vernazzola all'altare di un santuario.

Quel giorno la Frenci mi parla di Coursera. Siamo sedute allo spazio bimbi dell'Ikea di Torino. I suoi due giocano lì sotto. Noi sorseggiamo caffè. Uno dei milioni di caffè americani che le ho visto bere. E parliamo fitto fitto. Come abbiamo parlato sempre. Per VENTICINQUE anni.

Quel giorno lei mi apre per l'ennesima volta una strada. Come io a lei avevo aperto Lettere. Lei a me aveva aperto il commercio equo. Io a lei lo yoga. Mi racconta della piattaforma che offre corsi delle migliori università del mondo, con o senza attestazione di svolgimento, GRATIS.

Sorridiamo. Sento il suo odore di spezie e stoffe tinte a mano. Ce la ridiamo come al solito. C'è luce.

Poi io dico: "Ecco vedi. Proprio questo mi serviva. Togliermi delle soddisfazioni senza rincorrere col tempo e i soldi una seconda laurea, e soprattutto i voti. Basta, ormai, essere valutati. Io so cosa valgo. Voglio studiare. Voglio una cosa bella gratis."

La mia voce dice: "Voglio una cosa bella gratis". 
E in quel momento gli dèi mi ascoltano. E puniscono la mia hybris. Dandomi quel che chiedo, o peggio, facendomi credere di ottenerlo.

Dopo pochissimi giorni da quel dialogo, alla mia porta si presenta, del tutto spontaneamente, una cosa bella. Bellissima. E inaspettata. Ma non era gratis. E da quell'istante le zone d'ombra hanno preso il potere tutto intorno a me. Quel giorno all'Ikea è stata probabilmente l'ultima volta che ho sorriso immersa nella luce.


giovedì 8 ottobre 2015

Then I will love what (s)he becomes

E adesso è ottobre.
Ho le gambe di legno e questa strada che tanto amo, che fa il giro delle colline a nordovest della città, mi pare un calvario, pur con le sue ville di mattoni rossi, le sue staccionate all'inglese che dividono i paddock, le foglie gialle che punteggiano i rami ancora verdi.

In questa magnifica giornata di tiepido sole, la Princi smaltisce con una bella dormita le fatiche del nuovo corso di nuoto e dei giochi matematici del progetto Diderot. Sanguedelmiosangue, dopo aver superato brillantemente il periodo di prova, nel suo caso durato circa 40 minuti, è stato ufficialmente assunto, a un anno da che ho licenziato Tuttapanna che non mi dava sufficiente continuità, quindi ora è nel mio ufficio a smazzare faldoni.

Io ho lavorato alle sudate carte martedì, poi ho avuto una di quelle serate in cui l'Uomo, la mia personale fetta di sole in questa vita, mi sbatte in faccia le cose che, finchè vivremo qui quantomeno, dovremo pagare. E mi ributta giù nel buio.
Stavolta, dalle pagine locali di un quotidiano, un ben noto viso ci fissava e lui prima me lo schiaffa davanti e poi, con raffinato sadismo, si alza per fare una telefonata, serafico, mentre io sto lì impietrita con le guance ustionate dal rimorso. Scenario: la zona bar delle piscine. Temporaneamente trasfiguratasi nel grigio New England di Hawthorne.

Poi beh, diciamo che gli ultimi mesi, e le conversazioni delle sei di mattina con Agatha, la mia amica whatsappica del lontanissimo Nord Europa, mi hanno insegnato tanto. Così sollevo i miei molti chili di tristezza, colpa e smarrimento dalla panca e mi sfilo le scarpe per entrare nello spogliatoio, dove la Princi sta asciugando i suoi bellissimi capelli ormai lunghetti e vaporosi.
Diciamo che ormai sono addestrata a piangere solo lo stretto indispensabile, e di certo non più perchè ho subito un rapimento da parte di quella creatura ultraterrena. Piuttosto piango per tutto quel che assolutamente non sono più in grado di capire, evitare o quantomeno attutire nella mia, ora terrenissima, per non dire ctonia, esistenza attuale.
Comunque, quando arrivo a piedi nudi, buongiorno verruche, dalla Princi, le due lacrime di numero che mi hanno scottato le palpebre nel breve spostamento si sono già asciutte, come direbbe mia figlia.
E il resto della serata passa senza intoppi davanti a una pizza, il che, dice Agatha, dimostra molte cose. E, secondo il resto dell'universo creato, dimostra una cosa sola, e incontestabilmente: che sono una povera scema.

Ma io tengo duro. E anche mercoledì, dopo un po' che cammino sentendomi da schifo, totalizzo i miei 45' di aria aperta e attività fisica. E al ritorno si sa che ci sono i capelli da lavare e tante cose da finire, e anche a stasera dai che ci siam quasi arrivati anche se è ottobre.

Questo penso. Ma c'è una sorpresa, la sera. Non al cinema, dove arriviamo in ritardo per vedere "Inside out" e l'Uomo è molto scocciato, perché abbiamo perso il cortometraggio iniziale, che lui ha già visto. Io gli chiedo di cosa parlasse, mi risponde "di due vulcani, ma bisogna vederlo, non si può raccontare". Allora gli prometto che tornerò a vederlo e sento che è contento. La sorpresa ce l'ho quando, rientrando, ne trovo una versione parziale su Youtube.

(Che stai facendo, esattamente, Uomo? Va beh. Io, comunque, ti amo.)

domenica 21 giugno 2015

Trenta giorni feat. "Torno indietro e cambio vita" ovvero i Vanzina non saranno Kant e Hegel ma persino loro fanno pensare, in certe situazioni

Trattenute da una questione di regolamenti di conti con mafiosi (questo perché la Princi è drogata di Prison Break da prima che finisse la scuola, e io ieri ho rivisto Vento di passioni), io e mia madre siamo in un curioso garage dipinto color albicocca, da qualche parte sulla Riviera di Ponente, con un'autovettura anni Venti.

Appena chiusa la faccenda guardiamo l'ora e io le dico: ma manca pochissimo! Dobbiamo sbrigarci...

Devo andare a Genova a risposare l'Uomo. Non perché ci siamo persi e ritrovati, ma perché ricelebriamo il matrimonio dopo circa 15 anni.

Siamo in un ritardo atomico. Mi rendo conto che invece di mettermi l'abito che avevo predisposto andrò a sposarmi in tailleur marrone e camicetta color pesca, ma poi dico a mia madre: facciamo una cosa, fammi guidare, pazienza per il vestito ma almeno arriviamo in tempo. E quando salgo dalla parte del guidatore, nella macchina che a questo punto è la mia Hyundai, mi rimbocco tutto intorno un magnifico vestito da sposa, di linea semplice, bianco azzurrino, leggero, aereo, senza decorazioni, addirittura ho in testa il velo.

Vado a risposare l'uomo della mia vita.

martedì 30 dicembre 2014

L'inevitabile post di fine anno

Non ci si salva... persino io sono coinvolta nell'orrido cliché.

È inevitabile spararsi il bilancio di fine anno.

Del resto questo 2014 è stato un anno senza precedenti, né avrà mai succedanei. Direi che merita di spenderci qualche parola.

Bene,sarò breve.

Sto come Dresda dopo i bombardamenti. Ma anche così, devo dirlo, quest'anno sono molte di più le cose che ho costruito che quelle che ho distrutto.

Ho sofferto tanto. Ho rischiato tutto. Ho vissuto a mille ogni singolo giorno. Ho amato senza limiti.

Sono andata a chiudere l'anno (stasera, perché il Capodanno, lo sapete, io lo odio) sulle mura di Paesino di Sogno. Il castello, il presepe, l'albero e la chiesa illuminati. Il cielo nero e gelido pieno di stelle bianchissime. Un gran silenzio.

Un grande, grande, generoso silenzio.

lunedì 1 settembre 2014

Verde scuro e giallo sole

Primo settembre.

Un condominio con il viale ombreggiato da alberi, là in fondo le montagne bianche, un cielo da cartolina, luce dolce d'autunno perché è ancora abbastanza presto.
La scuolina rosa. Col suo piazzale polveroso.

Sono vestita di giallo sole. Mi splendono gli occhi e la pelle, e dire che stanotte non s'è quasi dormito, causa nuovi presidi in arrivo, e necessità di ripercorrere le stesse strade, di passargli sotto casa, di rientrare nelle aule, di rientrare nella mia vita di sempre. Quella che a maggio ho cercato di strapparmi via come una crosta da una brutta ferita. Che rimargina facendo un male del Gesù, tessuto nuovo che tira sulla carne viva.

Però questa è la mia scuola. E' la mia vita. Questa è casa.

Io non lo so cosa sto facendo, e perché.

So che nello specchio non c'è la stessa di prima. So che questa qui, nuova, incosciente, pericolosa, mi piace. Sicuramente si caccerà nei guai. Ma saranno, come ho già detto varie volte, i suoi guai, quelli che s'è cercata lei, non tutte le grane che le hanno scaricato addosso gli altri. E' comunque un bel cambiamento.

Se un giorno tutto questo avrà un senso, vorrei ricordarmi questo momento in cui sto ferma qui, trafitta da questo cambiamento inesorabile e dalla certezza che alcune cose, invece, non potranno cambiare mai.


domenica 24 agosto 2014

Il post del leopardo

Poi succede così che ti infili in un camerino, ne esci con un vestito leopardato, il primo in vita tua che provi, e approfittando del negozio praticamente vuoto fai "pssst!" a tuo marito, e quando lui si volta spunti da dietro la tenda ruggendo "meeow!" e lui si illumina e attraversa il negozio per venire a dirti in un orecchio cose che la figlia se non le sente è anche meglio, va'. Pensi ti prenda per il culo e allora chiedi conferma alla figlia, nota tamarra. Che trova che l'abito ti stia bene. Allora richiedi al marito. Il marito annuisce sempre vigorosamente e non cambia espressione neanche quando tu, preoccupatissima della piega che sta prendendo la tua vita, sbotti: "Ma indossare il leopardato è cedere ai quaranta!" .

E boh. Costa poco, è carino e rende parecchio in termini di entusiasmo del marito. Rientri nel camerino e ti guardi. Ma sì, cade bene. Ma 'ste macchie?

Poi ti ricordi te stessa un anno fa. E decidi che macchie saranno, dopotutto.

Con lo stesso spirito hai passato l'estate a ricevere e ospitare gente in casa, condiviso la lavatrice con tua madre per un mese, indossato shorts molto shorts per abbronzarti le cosce, abbandonato la piastra optando per un deciso riccio leonino, e trovato un pub dove imparare che sapore ha un cocktail fatto a regola d'arte. E non ti sei fermata un istante e hai scelto l'idromassaggio e tanta bella letteratura per l'unico giorno in cui eri sola. E fatto nuove amicizie e prenotato un viaggio e pensato al futuro e voluto scegliere in modo sano e deciso sul lavoro e detto la tua con calma a casa e creduto nel tuo fiuto. E parlato di avere un altro figlio. Ma anche di separarsi, quantomeno temporaneamente, se le cose non vanno a posto per davvero.

Tutto questo solo ed esclusivamente perché lui quel giorno è venuto a salutarti con quel sorriso, e ha detto quella singola frase, e tu in quei pochi secondi hai mangiato dall'albero del bene e del male, dannato la tua anima e ottenuto la conoscenza.

Ma il paradiso terrestre non è quello da cui ti sei autoespulsa quando, consapevolmente, hai deciso di non staccare gli occhi dai suoi. Quello, stando ai canoni, è se mai il paradiso celeste. Il paradiso in terra è questo che c'è ora: e sì, fa un male porco rendersi conto di essere umani, di essere vivi, e nudi sulla crosta di un pianeta scabro, però è anche potersi togliere tutte quelle briglie, tutto quel peso tremendo del dover essere. E accettare che può succedere questo, anche se a scriverlo nero su bianco fa ancora così paura. E alla fine si riduce tutto a queste realtà molto terrene, appunto, loro sono due uomini e tu sei una donna, oh se lo sei, dove cazzo aveva dormito per tutti questi secoli questa donna, che pure sapeva essere tanto felice, sciogliersi i capelli, sentire il sole sulle gambe e il sapore della frutta e avere il cuore a mille tutto il giorno.

Loro sono due uomini e ognuno di loro a modo suo ti vuol bene e se ne frega di te. E tu li ami entrambi, quello che pensavi di lasciare, e quello che non potrai più avere, e a volte, oh, sorpresa, sei tu che te ne freghi di loro, che dopotutto si sono messi così d'impegno a maciullare il tuo povero cuore, e decidi che puoi stare, così come sei, sotto lo sguardo degli occhi luminosi di uno e di quelli pensosi dell'altro, e non badi più a niente, ma vai avanti, vai oltre. Oltre te com'eri.

Quando ti giro e guardi, c'è un arcangelo con la spada fiammeggiante, là sui cancelli, che ti fa l'occhiolino: "Indietro non si torna!" Tu ridi, alzi un sopracciglio e rispondi: "Per fortuna!"

E se leopardo dev'essere, sia.

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Questo post è dedicato alla Pellona.
Andremo avanti.



martedì 17 giugno 2014

"Questa cosa è bellissima"


Non facciamo dei buonismi, non usiamo eufemismi, non cerchiamo di trarne una morale.



Mi sono cacciata in un casino.



E' vero che a casa andava (va) tutto storto, a livello di coppia. Di certo ne ho passate tante con l'Uomo in questi anni e lui crede, e forse anche io credo, ancora, che supereremo anche questa.



E' vero anche che sul serio io non ero in giro a caccia di avventure, né in un periodo di particolare esposizione all'attenzione altrui, come può essere il festival quando, in fin dei conti, esco quattro sere su sette, e vestita carina, e conosco un sacco di gente nuova e interessante che, alle volte, mi trova interessante.



Quindi insomma il tutto è piovuto nella mia vita modello cataclisma. Sei lì che porti avanti una tua qualunque giornata, e arriva lui. Impossibile non notarlo, impossibile contarsi balle su come ti sta guardando. Impossibile andare via e non pensargli. Poi lo sapete com'è, c'è il cellulare, c'è la chat, ci sono i post su Facebook. C'è che a volte non ti vuoi dire di no. Ci sono le amiche che ti dicono che ti meriti di essere felice / una vacanza / un po' di soddisfazione.



Così, di testa e senza rimorsi, ti tuffi.



Ora qua non facciamo finta di esserci redente, per l'amor di Dio e della mia intelligenza, e della vostra. E' stato un attimo non lo rifarei non è successo niente, ma dai, a chi la racconti.



Racconta piuttosto cosa hai capito.



Che sei ancora una creatura della notte. Piena di vitalità, desiderio, passione.

Che puoi non dormire per settimane e essere efficientissima sul lavoro. Che puoi sorridere di gioia a un bambino e accarezzare con lo sguardo tua figlia senza sentirti in colpa.

Che era un vero spreco non essere guardata così da tanti anni, e che nello specchio, anche con la coscienza sporca, ti vedi davvero bene, ora che lui ha posato quegli incredibili occhi di velluto su di te.

Che esiste un qualcosa che non è sesso, non è amore, eppure è irrinunciabile. Un'intimità delle notti in chat, un passare e non passare la linea di confine, uno scoprirsi di cui poi è doloroso fare a meno.

Che il cuore può battere fino a fare un rumore udibile dall'esterno, quando si illumina lo schermo del cellulare mentre guidi nel buio.

Che la bellezza esteriore è un frammento, una scheggia, che tutto quel che desideri in un corpo, il tuo, il suo, è una perfezione che non si ottiene con la palestra, il trucco, gli abiti o i geni, ma con la pioggerella di maggio su una piazza, con il vento tiepido sulla pelle, con i passi lungo un corridoio, con la stanza che sembra cambiare temperatura nell'attimo in cui c'è una pausa nel discorso e gli sguardi che non si vergognano più di percorrere tutto il corpo, il suo, il tuo, avanti e indietro.



L'apoteosi del desiderio.

L'ispirazione di lasciarsi sbocciare sotto il sole.



Porterò con me ogni istante, non so se sarò quella di prima, non capirò mai se ha fatto cominciare lui questa trasformazione col suo primo sorriso, o se io ero già così da tempo e quando è venuto da me quel giorno ha trovato, a sorpresa, una donna diversa da quella che aveva visto le volte precedenti.



Non so cosa ne sarà di me ora. Immagino che dovrò proseguire, in un modo o nell'altro.

Pagherò quel che devo pagare, di sicuro.

Ma non mi racconterò balle sui perchè.



Non potevo, semplicemente non potevo, perdermelo.
 
 

domenica 15 giugno 2014

Mezzo duemilaquattordici e parecchie suture


No, ma parliamone, di questo 2014.

Cioè, se volete partiamo dal 2013.

Facciamo di meglio, partiamo dal 2012.

Dal giorno di primavera in cui sono arrivata a casa e ho trovato l'Uomo con le valigie fatte per lasciarmi. E sono rimasta in piedi.
Me lo sono tenuto con le unghie e i denti. Ho lottato con la mia famiglia per ottenere che ci lasciassero vivere. Vedo, adesso, che ho perso tutte le battaglie e vinto la guerra. Con la mia famiglia. Non con l'Uomo, temo.

Allora passiamo al 2013.
L'anno in cui ho deciso che non potevo più reggere mio padre e mia madre che si intestardivano in una situazione assurda, malata. L'anno in cui mi sono addormentata guidando alle sette e trentacinque di mattina, appena partita da casa per andare al lavoro. E finalmente ho smesso di vivere in funzione dei miei genitori. Che non hanno per un cazzo capito. E io sono rimasta in piedi.

Poi mio padre va in casa di riposo, e mia madre mi annuncia che io e lei possiamo interrompere i rapporti. E io rimango in piedi.

E ci sono stati il Gabbiano, e poi la Princi.

Il Gabbiano che è uscito dalle nostre vite senza un ciao. E sono rimasta in piedi.

E la Princi, che a dicembre ci ha fatto lo scherzetto di scappare di casa e ha polverizzato le classifiche delle notti più brutte della nostra vita. E io sono rimasta in piedi.

E viene il 2014.

Muore mio padre. E io rimango in piedi.

Riprendersi la Princi è faticoso come garantire la pace in Medio Oriente. Io lotto, combatto, picchio duro. E rimango in piedi.

Muore una collega e amica. E io resto seduta, senza fiato, di fronte all'enormità di questa perdita senza preavviso.

Poi l'Uomo sbrocca. Mi accusa, mi insulta, mi ferisce.
Tradisce tutto quello che credevo non avrebbe più traballato. Mi fa sentire completamente invisibile, inutile, sbagliata, stupida. Travisa ogni cosa che gli dico, falsa la realtà, nega l'evidenza, urla, rompe le cose. Sta male e rifiuta di rendersene conto, esagera e si offende quando glielo fanno notare. E mi dà la colpa di tutto.

E contemporaneamente, arrivano gli alieni. Cioè, ne sono arrivati due o tre, ma ne è bastato uno a fare tutto il disastro.

Ecco. Nelle ultime settimane sono stata via con il mio alieno, venuto da chissà quale stella lontana, a dirmi che non sono invisibile, ma che sono bella, e forte, e piena di vita. Il mio alieno che è arrivato, un giorno qualunque, con un sorriso così felice di vedermi da spezzarmi le ginocchia. Il mio alieno che mi chiama per nome. Che mi scrive di notte quando non riesco a dormire. Che mi dice di stare tranquilla. Che non mi giudica.

E, come tutti gli alieni, poi è ripartito. Magari senza farmi male. Magari senza chiudere del tutto le comunicazioni. Ma se n'è andato.

Credo sia felice, ora, tornato alla sua stella. Penso abbia scelto bene.

Ma stavolta, in piedi, non ci sono rimasta.
No.

Non era una crisi degli anta. Era il collasso di una galassia.








mercoledì 26 marzo 2014

Di varie evoluzioni


I pranzi del martedì! Quanto mi sono mancati!

Prima la Dolcebionda ha portato i ragazzi a sciare, poi mi sono ammalata e ho saltato giorni e giorni, poi ho avuto un tristissimo martedì di lite furibonda al telefono con Princi, assistenti sociali, operatori vari della comunità, io, il parcheggio del bar e un toast moribondo che mi si raffreddava in mano.

Finalmente ci si ritrova nella consueta formazione del martedì: io, la Dolcebionda in tuta e capello lunghissimo a coda, Barbatello in grandissima forma da sport invernale con un filino di abbronzatura e sorriso smagliante (lo so. Lo so. Va bene tutto, avete ragione, ecc ecc, ma sono pur sempre una povera prof di lettere stressata, mi mandi a pranzo con il tirocinante venticinquenne, questo mi chiede l'amicizia su Facebook, almeno fatemelo guardare. Comunque, non gliel'ho ancora data. L'amicizia su Facebook.)

Solitamente il pranzo è:
- Castagna, piatto di verdure miste, dolcetto alle mele o macedonia, caffè macchiato.
- Dolcebionda, secondo con contorno o toast, macedonia, caffè.
- Barbatello, la cosa più proteica che c'è, rare concessioni alle verdure possibilmente crude, caffè macchiato.

La Dolcebionda stavolta si scofana un piattone di pasta al ragù seguito da enorme porzione di meringata fatta in casa, bianca, strabordante, porcosa, piena di panna, ricoperta da un etto di cacao in polvere, di quelle robe che resuscitano i morti.

“Che sono tutti codesti carboidrati? Si vede che tuo marito non è a casa, sei in carenza d'affetto?”
(essendosi il marito della bionda fratturato malamente sulle piste da sci, si trova ora in regime postoperatorio a casa di mammà, mentre la Dolcebionda si sbatte tra scuola casa bambino e piste da sci).

Che Castagna fa la spiritosa, si sa, ma poi nessuno tiene il conto delle carte di Kitkat, Lindor, Rocher, Bueno di qua, Tronky di là, che affollano il posacenere della sua macchina (tredici anni insieme e una figlia adolescente problematica = sesso pochino, insonnia molta, compensazione con zuccheri inferiore solo a quella con caffeina).

Persino il tirocinantello si mangia la sua porzione di meringata, stavolta, benedetto dal materno sguardo della Castagna che, vedendolo titubare al pensiero di cotanta bomba calorica, lo incoraggia: “E su! Alla tua età lo bruci col metabolismo, 'sto dolce, stai sereno”). Sforzandosi di non pensare a come lei soleva bruciare le calorie a venticinque anni, giustappunto. Eeeeee, beata gioventù.

Castagna peraltro si sente sempre molto bella e luminosa il martedì quando la Princi deve venire a casa, salvo svegliarsi la mattina dopo (anche se veramente “svegliarsi” è un concetto inapplicabile. “Scendere dal divano dove ha passato la notte a rigirarsi con la tachicardia” è più congruo) sentendosi novantaseienne, piena di reumatismi e con le guance dei bassethound.

Di recente ho fatto la carta d'identità nuova e ho chiamato la Tipa poco dopo, per continuare una conversazione iniziata mentre ero in fila all'anagrafe, esordendo con: “Mmmmm, bella, la mia nuova foto della carta d'identità. Sembro la nonna di me stessa, in fila per il metadone.”)

Comunque la conversazione langue perchè la Dolcebionda, che forse è davvero un po' di cattivo umore, si legge il giornale mentre Barbatello e io parlottiamo di questioni sindacali.

Poi io affronto un tema che mi sta a cuore in questi giorni (e che se la batte con “ommioddio come andrà la prima seduta psicoterapeutica di Atreiu?”, “come posso costringere Dylan McKay a essere meno strafottente?” e “caaaazzzo... quarantotto temi da correggere”, per citare solo le preoccupazioni lavorative).

“Senti, Dolcebionda...”
“Sì?”
“Volevo dirti... Grunge Girl...”
“...è lesbica. Sì. Quindi?”
“Sì, d'accordo...”
“Beh, è evidente.”
“Sì sì. E anche che è innamorata di Piccola Afrodite, se è per questo.”
“Sì, lo so.”
“No, è che hanno cominciato a fare dei discorsi, i compagni. L'ho presa larga, per ora. Ma poi in separata sede a lei ho detto che se le dovessero dare fastidio con frasi insistenti o antipatiche su come si pettina, si veste o si comporta me lo deve dire.”
“Eh, però, questa bambina non si cambia in spogliatoio con le altre.”
“Cosa?”
“Non si cambia con le altre.”
“Sì ho sentito, no voglio dire, cazzo, ma poverina, allora però come fa?”
“E boh, cincischia, va dopo, si spoglia il meno possibile, tanto è sempre in tuta e comunque molto coperta.”

Ci sono rimasta di merda.

No perchè se Grunge Girl avesse sedici, diciassette anni, uno la potrebbe prendere da parte, per dirle se possiamo trovare qualcosa per metterla a suo agio, compatibilmente con il fatto che gli spogliatoi sono due e che coi maschi non ce la manderemmo comunque. Ma undici anni, cazzo, sono pochissimi per mettersi a fare dei discorsi così. Cioè, se lei piange e si sfoga e ti dice che a lei piacciono le ragazze e non sa come fare, tu la calmi, le parli, poi parli con la famiglia. Ma se lei fa finta di niente, tu non puoi andare a metterle in testa definizioni e problemi che lei magari non si fa e soprattutto, soprattuttissimo, dove te lo prendi il coraggio per andare a dirlo di tua iniziativa alla famiglia.

Finisce che io stamattina mi apparto con il Gigante e gli sottopongo la questione. E a lui vengono gli occhi lucidi da paparone intenerito, ma appunto, messi così non possiamo farci niente. Rimaniamo che terremo d'occhio la cosa.

Sono così dispiaciuta, e non so neanche di cosa. Che non ci sia uno spogliatoio numero tre, o uno spogliatoio con le cabine singole? Che i maschietti di prima comincino ad agitarsi perchè Grunge Girl non è assimilabile alle altre bambine, ma è comunque diversa da loro? Che Grunge Girl passi la tortura dei commenti del cazzo sul suo taglio di capelli alla Balotelli, o sul suo abbigliamento? Che
un giorno possa dichiarare il suo amore a Piccola Afrodite e magari non riescano più a essere amiche?

Boh. E' una brava bambina, mi si è molto legata, mi regala continuamente disegni buffi o piccoli, strani oggetti che fa con pezzetti di gomma, mine di matite, graffette. Vorrei proteggerla. O che vivessimo davvero già in un mondo dove non avesse bisogno di nessuna precauzione per poter essere quel che è.

Poi a volte mi chiedo chi protegge noi da quello che sappiamo di loro. Dalla paura di Atreiu per il primo colloquio in neuropsichiatria, dai tic maniacali di Dylan, dalle lacrime di Seta Nera che al mattino non vuole venire a scuola, dai pidocchi di Bambino di Formaggio, dallo sguardo disincantato del Malinconelfo, dalla rabbia repressa di Tostissima.

Menomale che ci sono anche tutte le cose belle, che in questo momento, tra gli ingestibili di terza (autosoprannominatisi “lo zoo”) che stanno diventando grandi a vista d'occhio e i fiduciosi primini che bevono avidamente le novità, sono talmente tante da perdere il conto.

Comunque, che la Dolcebionda se ne vada a fine giugno, e venga sostituita dalla tembile Celhodoro, più ci penso e più mi rende triste. Così triste, che nemmeno il pensiero (stupendo) che forse se ne vada anche la preside e venga sostituita, volesse il cielo, da Preside Bhof, con cui sono in ottimi rapporti, riesce a sollevarmi.

Se ne va anche l'Inflessibile, forse. E la F., che va in pensione, E forse l'Uomo passa alle superiori. Insomma. E' un anno di grandi cambiamenti. Lasciatemi almeno il Gigante e le mie amiche bidelle, altrimenti me ne vado anche io.

Ieri sera, a casa nostra:
la Princi all'Uomo: - Perchè vuoi andare alle superiori?
Io: - Perchè è stufo di passare i sabati mattina con sua moglie.
la Princi: - E' vero! Se vai alle superiori, l'anno prossimo il sabato andrai a scuola!!!
L'Uomo: - Anche tu!!! gnegnegnegne!
Io: - E io me ne resto a letto!!! Tiè a te! E a te! Tòòò!!!

(Sì. Perchè ci crediamo tutti, come no, che se loro si alzano per uscire io mi giro di là e continuo a dormire. Certo.)

giovedì 10 ottobre 2013

Ho fatto il salto

Oggi sono entrata nella scuola.

Ho salutato il segretario che usciva.

Ho fatto un cenno a una collega, che si è liberata di quel che stava facendo per venirmi a parlare.

E abbiamo parlato.

Di:
giustificazioni
firme
autorizzazioni alle uscite
spese per le uscite
orari di rientro
libri di testo
rendimento scolastico

Poi me ne sono andata, dicendo: "La ringrazio, professoressa" e pensavo che è strano: io non mi rivolgo a nessuno chiamandolo professore o professoressa.

Ma non posso dare del tu alla coordinatrice del corso di mia figlia, nemmeno se insegna la mia stessa materia ed è più giovane di me.




mercoledì 3 luglio 2013

Novità

Ve l'ho detto che c'erano delle novità.

Per tutta l'estate, invece che qui, nella polvere dei gessetti, mi troverete qui, nella seconda versione, quella pubblica, di un diario di bordo privato che risale al 2010.

Si parla di figli, occhio.

martedì 21 maggio 2013

Affido familiare - un post di condivisione





A rendere ancora più tempestose le mie aule, recentemente, concorrono, come potete immaginare, alcune allucinazioni che mi colgono qua e là, in pieno discorso, durante una sgridata, durante una sorveglianza in corridoio. Si tratta regolarmente delle facce, delle frasi e soprattutto degli occhi azzurri del nostro ragazzino affidatario, che mi passano davanti alla mente mentre sto facendo o dicendo qualsiasi cosa.

L’effetto è sempre lo stesso: "Toh, guarda come mi sembra tutto diverso adesso" e anche "Ma quando arrivano le maledette ferie? Ho altro da fare che ritirare per l’ennesima volta i diari di chi non ha fatto i compiti!"

Comunque, questo è un post di servizio per dire tre o quattro cose.

La prima è che, come solo alcuni sanno, esiste un blog specifico dove tengo il mio diario, incasinato e senza censure, a proposito della non-maternità, del percorso preadottivo e, ora, di questa esperienza di affido. Dato che i contenuti sono veramente molto personali, è un blog a numero chiuso, e anche molto ristretto. Però, se qualcuno di voi avesse da raccontare le sue esperienze di genitorialità alternativa, o avesse bisogno di sfogarsi e condividere le mille frustrazioni della non-genitorialità… fatemelo sapere che valuteremo come metterci in contatto.

La seconda cosa è che a me piacerebbe molto poter leggere di qualcuno che sta passando fasi simili alle nostre, ma ho cercato online e non ho trovato praticamente niente, anche perché io cerco storie di gente che ha avuto a che fare con adolescenti, non con bambini piccoli. In proposito ho lanciato un appello via mail a Silvia e Serena di GenitoriCrescono, che magari da qualche parte ne hanno parlato e hanno un giro di conoscenze online più vasto del mio. Ma se avete voglia di segnalare voi stessi o qualcun altro che conoscete e che potrebbe essere interessato a condividere esperienze, accomodatevi.

La terza cosa è che stanotte ho fatto le tre di mattina a leggere un testo appena comprato, e siccome ci sono certe informazioni che trascendono gli obiettivi del mio piagnucoloso e tormentato diario personale, preferisco segnalarlo qui dove può raggiungere un maggior numero di persone:

"Adozione, affido, accoglienza" di Gillian Schofield e Mary Beek

Le due signore britanniche di cui sopra sposano la teoria dell’attaccamento di Bowlby e applicano, in modo molto pratico e con un sacco di esempi tratti da storie vere, alcuni punti cruciali di questa teoria alla difficile convivenza tra caregivers e neonati-bambini-adolescenti separati dalla famiglia d’origine.

La cosa interessante è che dividono per argomenti, ma ogni argomento è trattato dal punto di vista dell’adulto, del bambino secondo le diverse fasce d’età e DELLE COSE CHE SI POSSONO FARE NELLA VITA QUOTIDIANA per favorire l‘instaurarsi di un rapporto sano e sicuro tra il minore e i suoi affidatari.

E poi, se volete saperlo, c’è anche un delizioso capitolo dove fanno un culo così agli operatori del settore, che dicono magari tutto e il contrario di tutto, che non prendono informazioni dal contesto reale ma solo dalle teorie e dai protocolli, e che DEVONO supportare adeguatamente la famiglia, oltre che il minore in sé. Nettare e ambrosia, per una come me che ha avuto a che fare coi protocolli del TM di Torino.

Insomma, se qualcuno di voi ha in casa un bimbo adottato, o in affido, o semplicemente deve stare vicino a un nipote o a un cuginetto in un momento difficile per la sua famiglia, questo libro merita lettura.

E per finire vi racconto una storia.

Qualche estate fa, in montagna, stiamo placidamente mettendo tavola per pranzo, quando una notizia del tg regionale richiama la nostra attenzione. E’ il solito incidente d’auto al rientro dalle vacanze, ma particolarmente orrendo, e riguarda una persona che, ad Asti, conoscono tutti, perché partecipa al Palio in un ruolo di spicco.

Lui e la moglie tornavano coi figli dalle ferie, in Puglia o Calabria, non so più, e si erano fatti la tirata in notturna. Lui si fa dare il cambio quando sono già sulla Piacenza - Torino, sono quasi le sei di mattina, ormai manca poco all‘arrivo. Lei si mette al volante, ma probabilmente è stata sveglia a lungo per tenere compagnia al marito, e appena pochi minuti dopo esce di strada, in uno di quei maledetti rettilinei ipnotici della Pianura Padana, dove è così facile chiudere un attimo gli occhi, tanto il volante lo devi sempre tenere dritto. La macchina vola giù nelle campagne. I figli, di undici e tredici anni, un maschio e una femmina, muoiono. Il marito perde un braccio. Lei non si fa praticamente niente. Di fisico, almeno.

A settembre, poche settimane dopo, si corre il Palio e lui è al suo posto, con una manica penzolante sul fianco e gli occhi vuoti.

A gennaio, io e l’Uomo ci troviamo seduti vicini a loro due al corso preadozione, che svolgiamo insieme. Poi varie volte capita di incontrarsi in centro città, per strada, a teatro, e anche di scriversi via mail. Lui si è fatto intanto una protesi all’avanguardia, e la rieducazione, in uno dei centri migliori d’Italia.

In questi anni, i nostri conoscenti si sono sentiti dire: dapprima, che era troppo presto dopo un simile trauma (e fin lì ci si poteva arrivare tutti, che gli psicologi volessero vedere un attimo come stavano); dopo, che per dare l’idoneità il tribunale voleva aspettare ancora sei mesi (e intanto era quasi un anno che giravano per colloqui). Infine hanno fatto ricorso contro il parere negativo del tribunale e credo lo abbiano vinto, ma naturalmente da Torino si sono ben guardati dall’abbinarli a qualsivoglia minore. Nel frattempo, girando per associazioni che trattano le adozioni internazionali, si sono anche sentiti rifiutare da quasi tutti l’apertura della pratica, con queste motivazioni: per l’handicap di lui, per il lutto recente, perché erano sposati solo civilmente o perché erano sposati da pochi anni (evidentemente i loro figli erano nati durante la convivenza).

Insomma, ogni volta che li abbiamo incontrati, sebbene loro fossero sempre sorridenti, calorosi e combattivi, ce ne siamo sempre andati con il cuore piccolo come una nocciolina di fronte a questo continuo, devastante piovere sul bagnato.

Fino a qualche settimana fa. L’Uomo ha incontrato lui, che dei due è il più espansivo e il più incline a raccontare, e mi ha portato a casa questa bella notizia: sono passati anche loro alla procedura di affido e hanno in casa due fratellini, di età abbastanza vicina a quella dei loro figli quando se ne sono andati.

Spero di incontrarli presto tutti insieme in centro e di poter fare le dovute congratulazioni, in culo ai protocolli. Che, tra parentesi, noi dobbiamo ancora firmare, per cui ogni tanto io mi sveglio di notte con l’ansia che poi alla fine sia tutto un bel buco nell’acqua.


Ah, e post scriptum:



 
 
 

Buon peso, leggetevi anche questo. E' magistrale. Ed è di una mia amica stretta stretta stretta, così stretta che per parecchio tempo ci hanno scambiato per sorelle e non è detto che non succederebbe ancora se girassimo insieme un po' più spesso.

venerdì 10 maggio 2013

Ora posso dirvelo

Doveva succedere, no? che prima o poi, tra tanti alunni strappacuore che ci saremmo volentieri portati a casa, tra tante situazioni personali da cui ci siamo sentiti coinvolti, tra tante storie umane di cui siamo stati testimoni o anche parte attiva, ad un certo punto la quarta parete si sfondasse e nelle nostre vite, come un giovane alieno atterrato all‘improvviso in giardino, piombasse un adolescente. Un maschio, e no, non è come pensate, non sono stata io, anche se mi tacciano sempre tutti di manifestare delle preferenze plateali per i miei giovani rinoceronti problematici, piuttosto che per le mie ragazzine. Ha fatto tutto l’Uomo.

A. fino a poco fa era suo alunno. Ha quindici anni appena fatti e un bel po’ di storia alle spalle.

Il nostro ruolo, tecnicamente definito di affidatari diurni, dovrebbe essere di fargli da famiglia d’appoggio nel periodo necessario al tribunale per analizzare la sua situazione e decidere, sentiti i servizi sociali e lo stesso A., se reinserirlo nella sua famiglia.

Ci sono così tante cose che potrei dire, di lui, di come si comporta l’Uomo, di come mi sento io, che sto scrivendo e cancellando frasi da oltre un’ora e mezza, senza riuscire a esprimere niente.

Però una cosa penso sia il caso di dirla subito.

Voglio che tutti quelli che passano di qui abitualmente o per caso sappiano quello che le mie Amiche con la A maiuscola mi stanno dando in questi giorni, con la loro voce calorosa al telefono, la loro fiducia, il loro ottimismo.

Voglio che tutti vedano il gigantesco GRAZIE che devo dire loro. Perché da quando questa cosa è cominciata, e in particolare negli ultimi giorni, sto realizzando che anche questa tappa della mia vita (come l’adolescenza, la giovinezza, gli studi, la ricerca del lavoro, le storie d’amore, il matrimonio, le molte gioie e i molti dolori che ho vissuto fin qui) io la attraverserò sapendo di non essere sola.
Avrò la mia zattera per resistere a qualsiasi tempesta, costruita con le loro voci, i loro sorrisi, le telefonate nel cuore della notte, le lacrime, le lettere, gli sms, le camminate, le chiacchierate in macchina, le discussioni, le battute, i modi di dire, le centinaia di tazze di tisana, tutti i gradini, i muretti, i prati, i tronchi e gli scogli su cui ci siamo sedute a parlare fitto fitto. Avrò le mie persone vicine anche durante quest‘avventura, comunque vada.

Ho sempre saputo di avere un grandissimo culo in fatto di amicizie, ma ci sono volte che proprio resto sbalordita da tutta la grazia che ho ricevuto. Questa è una di quelle volte ed è giusto che mettiamo, in Via dell’Affidamento, una bella targa a imperitura memoria di ciò.

Un brindisi a voi, donne magnifiche. Vi voglio bene.

 
 

venerdì 12 aprile 2013

Cambiamenti

Eccoci qua.
Dall'ultima volta che ci siamo sentiti, annoveriamo qualche novità. Niente di che. Diciamo che questa settimana passerà solo alla storia di questa famiglia come una delle più significative, in fatto di cambiamenti.

Per esempio, mio padre da ieri abita in un istituto. Mia madre abita da sola. Mia zia insiste per andare nello stesso istituto pure lei. Io ho avuto un gran bel tracollo psicofisico, pur essendo d'accordissimo con questi cambiamenti, ma ora che è finita la fase tremenda dell'accudimento a casa... diciamo, per tagliarla corta, che sono impegnatissima a non svenire e a non piangere nei luoghi meno opportuni. Pazienza, passerà. Ci sta, che una abbia un momento di down dopo tutta 'sta tensione. L'importante è aver adottato la soluzione giusta. Speriamo, dai, che vada tutto nel migliore dei modi.

Mio cugino forse trova un accordo con suo padre e va a lavorare e a vivere da solo. E anche questa non è poca cosa, no?

E se non vi sembra abbastanza... noi, invece, di vivere da soli eravamo stufi. Da un sacco di tempo, come alcuni di voi ben sanno. E siccome la vita è proprio pazzesca, proprio adesso, proprio in questi giornate campali, beh, ne capita un'altra e cioè, bravi, avete indovinato, capita che si allarga la famiglia. Tranquilli eh, il ciclo ce l'ho regolarmente. Sapete che noi siamo gente complicata. Questa retorica dell'utero, questo culto dell'ecografia, a quasi quarant'anni... no dai, è inutile che faccia la sostenuta, l'idea di figli nostri non è che ci lasci ormai indifferenti, anzi. Ma insomma, è passato veramente tanto tempo da quando abbiamo cominciato a sostenere che famiglia non vuole per forza dire genetica. Per dire la verità eravamo sposati da nemmeno sei mesi e parlavamo di figli naturali, affidatari e adottivi con grande disponibilità, e, se volete proprio saperlo, avessimo colto la prima mela che ci era stata offerta, adesso avremmo un figlio affidatario già maggiorenne. Ma si vede che la vita doveva fare tutti i suoi giri, prima, e ne ha fatti, oh se ne ha fatti, prima di arrivare a questa settimana.

Comunque. Poi vi dirò bene, anche perché è tutto all'inizio, ma all'inizio inizio, proprio tanto all'inizio, e queste cose sono di un incasinato... ma insomma, sembra che finalmente un'occasione di provare a essere genitori toccherà anche a noi. Suspense... non sono autorizzata a dire nient'altro.

Mi pare che ve la dovevo, qualche notizia bella, dopo tutti 'sti mesi in cui avete retto le mie sfighe.