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lesbiche e alcolisti, prepararsi !


" ...classificati sia con il Triangolo Rosso degli oppositori politici ma sovente anche col Triangolo Nero degli asociali, la categoria inventata dai nazisti che raccoglieva "renitenti al lavoro", "disfattisti" e "sabotatori dell'economia nazionale", oltre a senza-dimora, lesbiche e alcolisti. "

Metodi vecchio stile, che ci hanno lasciato artistiche stampe come quella della foto, di cui andare fieri, sostituiti da una più moderna schedatura elettronica, che però non pare disdegnare la collaborazione di associazioni di cittadini per cooperare al presidio del territorio.

Ovviamente solo la mia malafede, e la mia avversione nei confronti della Lega promotrice dell’iniziativa, mi portano a vedere similitudini storiche inquietanti. E a riportare queste parole, scritte lo scorso inverno:

Due clochard morti di freddo, obbiettivamente non è una gran notizia e me ne scuso coi lettori.
Si sa, sono gente che muore… di freddo, o del fuoco appiccato da qualcuno che tenta di dare una mano al destino… e forse sono gente già morta.
Per materasso hanno il marmo, e se va bene un po’ di cartone. Hanno sempre una busta di plastica in mano e una bottiglia di vino nell’altra. Ma non sono soli, sono sempre accompagnati dalla paura e dalla diffidenza di chi li guarda e volge subito gli occhi.
Paura di scoprire che sono stati uomini come noi. Colleghi di qualcuno… un tempo, amici di qualcuno… un tempo, parenti di qualcuno… un tempo. Non amiamo sentire le loro storie, col rischio di scoprire che quello che è successo a loro potrebbe succedere anche a noi… d’altra parte noi siamo nel bel mezzo della battaglia, e nel bel mezzo della battaglia non è bello vedersi intorno i disertori… i disertori si fucilano, o li si lascia morire di stenti e di freddo.
Abiti sporchi e improbabili, che vestono storie plausibili… fin troppo plausibili: un licenziamento, un divorzio, un fallimento… economico, personale. Cose che potrebbero capitare a ciascuno di noi… no, signore, non mi riferivo a lei…
E’ possibile offrirgli un thermos di caffè bollente, è possibile fare due chiacchiere con loro, ma non aiutarli: hanno perso tutto, gli resta la loro libertà. Foss’anche quella di morire di stenti, difficile che la gettino via.
Conoscono le stelle, e con esse il destino.
Sono soli e se ne andranno senza disturbare molto.
Il loro numero aumenta, e diminuisce la loro visibilità. Ogni tanto fanno comodo, per mondarci la coscienza e il portafoglio dagli spiccioli. Ogni tanto ci servono a riempire i palinsesti televisivi… poi una ripulita e via…
Il freddo è il nemico che li tortura e li uccide, ma sanno che senza i giorni più rigidi, difficilmente qualcuno si ricorderà e scriverà di loro.

dei “clichè” nazisti e del “millantato discredito”



una breve premessa per chi non fosse a conoscenza degli antefatti.
Il quotidiano più letto della Germania, il “Sueddeutsche Zeitung”, pubblica un lungo
articolo di accusa alla stampa italiana rea di utilizzare clichè nazisti nel narrare le vicende del tragico rogo alla Thyssenkrupp di Torino.
Avendo pubblicato ben sei articoli che fanno riferimento ai trascorsi nazisti delle famiglie Thyssen e Krupp, e pur conscio del rischio di dar vita alla curiosa figura del “millantato discredito”, mi sento chiamato in causa, e rispondo al quotidiano tedesco con questa lettera aperta, che prende le mosse proprio dal termine clichè.
La parola stereotipo venne inventata da Firmin Didot ed usata nella stampa; era in origine una impressione duplicata di un elemento tipografico originale. Nel tempo, questa divenne una metafora per un qualsiasi insieme di idee ripetute identicamente, in massa, con modifiche minime. Infatti, cliché e stereotipo erano in origine entrambe parole usate in ambito tipografico, ed avevano il medesimo significato. In particolare, cliché era un termine onomatopeico derivato dal suono prodotto durante il processo di stereotipizzazione, quando la matrice colpiva il metallo fuso.

CLI…

(
testimonianza di un prigioniero italiano, costretto al lavoro forzato in un acciaieria tedesca durante la seconda guerra mondiale)

“Dopo un soggiorno di circa un mese a Meppen, sono stato portato, sempre in vagone piombato, a Bochum (Vestfalia) nella Rhur, in un lager situato all’interno del recinto della Eisen und Huttenwerke. Il lager della fabbrica dipendeva dallo Stalager VI C di Dortmund.
Le condizioni di lavoro erano tremende: anche applicandosi scrupolosamente, con un serpente di fuoco che ti passava, a grande velocità, vicino alle gambe fino ad avere, senza sufficiente protezione, le tibie arrostite dal fuoco e tutto ciò sempre in equilibrio instabile sul ponte di lavoro, quando non avevi la forza di reggerti in piedi e che ti girava la testa e che potevi cadere come una pera cotta, là sul posto di lavoro! Lavoro inumano, senza la necessaria alimentazione e senza tutela fisica adeguata!”

…CHE’

(
documento sequestrato dall’autorità giudiziaria e riconducibile ai vertici della Thyssenkrupp italiana, ovvero all'amministratore delegato Harald Espenhahn, Gerald Priegnitz e Marco Pucci, già iscritti per omicidio e disastro colposo nel registro degli indagati)

“Gli operai sopravvissuti al rogo e i compagni di lavoro delle vittime “passano di televisione in televisione” e vengono rappresentati “come degli eroi”. Un fatto, quest'ultimo, particolarmente sgradevole, che impedisce ogni possibile misura di censura o di richiamo a questi testimoni, che sono ancora e a tutti gli effetti dipendenti della società, ma che in questo momento sarebbe inopportuno colpire sul piano disciplinare, anche se non si esclude di poter prendere in considerazione questa ipotesi per il futuro, dopo un'attenta analisi degli aspetti formali e delle rassegne stampa cartacee e televisive.”

Cari colleghi tedeschi, ogni popolo deve reggere il peso di un clichè.
Quello tipico degli italiani, ovviamente, mafia a parte, è :“pizza, spaghetti e mandolino”.
Sarà forse questo nostro orecchio, così musicalmente affinato, a percepire un suono simile nei due estratti riportati sopra?
Se è così, ovviamente, chiedo venia…

un ringraziamento speciale alle amiche
Lisa e Mtmura che con le loro segnalazioni hanno contribuito a questa lettera. Se qualcuno avesse piacere a controfirmarla, prima che venga spedita al quotidiano tedesco, può aggiungere nei commenti il proprio nome o il proprio blog. Grazie!

una preziosa
testimonianza

la penna che graffia si scusa coi lettori: non era assolutamente mia intenzione trascinare il paese verso una guerra


il più letto quotidiano tedesco, "Sueddeutsche Zeitung", in un lungo articolo ripreso oggi dalla stampa italiana, accusa la stessa, di ricorrere a spesso a clichè nazisti quando si tratta di parlare della Germania, facendo esplicito riferimento alla tragedia della Thyssenkrupp.
Voi mi direte, ebbene?
Il problema nasce dal fatto che sulla stampa italiana non ci sono praticamente tracce di articoli che facciano riferimento ai trascorsi nazisti del sig. Thyssen, e che gli unici articoli di questo tenore siano quelli pubblicati dalla vostra amata penna. Infatti, se appena apparsa la notizia, aveste fatto una ricerca in Google, avreste trovato vicini e in prima pagina l’articolo di protesta della stampa tedesca e il mio articolo “Scommetto che conoscete questi allegri compagni di merende”. Il mio oggi ha perso qualche posizione ed è scivolato in seconda pagina. Ma come non bastasse, il giornalista tedesco fa esplicito riferimento agli articoli contro la proposta del governatore dell'Assia, Roland Koch (Cdu), di istituire campi di rieducazione per giovani criminali stranieri, cosa che ha visto la penna sempre in prima fila.
Nel suo lungo articolo intitolato “I nazisti e la mafia”, il quotidiano tedesco mette le mani avanti e ammette che in Germania si è caduti nello stesso stereotipo associando a volte il nostro paese con la mafia, ma stigmatizza il comportamento dei media italiani e il loro livore.
A questo punto si rende necessaria una replica ai colleghi tedeschi.
Accantonata la soddisfazione per essere stato portato al livello di mezzo d’informazione di caratura internazionale, sarò costretto a ricordare, come da pronostico, le simpatiche copertine di Bild con gli spaghetti e la P38 e la pizza con non meglio definita pistola. Ma qui sorge un problema: mentre associare necessariamente gli italiani all’idea di mafia rappresenta un forzatura, in quanto non mi sono mai imbattuto in una pizzeria che ami condire la pizza con armi da fuoco, altrettanto non si può dire dei trascorsi nazisti della famiglia Thyssen, che sono stati acclarati qualche decina di anni fa in una ridente cittadina tedesca chiamata Norimberga, e che per una serie di vicissitudini, ai tempi era un attimo meno ridente.
Nessuna traccia di livore quindi nei numerosi articoli che riguardano la Thyssen, ma solo, e per quanto comprensibilmente imbarazzanti, verità storiche. Capisco non faccia piacere che si riporti che si giocava a tiro a segno con inermi ebrei, ma il sistema migliore per evitarlo è quello di non giocare a tiro a segno con inermi ebrei. Ricaricando gli estintori, poi, il rischio si riduce ulteriormente.
Quindi respingo le accuse al mittente e riconfermo parola per parola.
Ma siccome non è mia intenzione precipitare nuovamente il paese in anni tristissimi, posso garantirvi che al primo movimento di truppe alla frontiera, mi consegnerò spontaneamente al nemico, certo che anche quando posterò dallo Spielberg, come il conterraneo Pellico, i miei affezionati lettori non cesseranno di seguirmi.

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