a distanza di oltre quarant’anni, della guerra del Vietnam ci rimangono solo alcuni ricordi, per lo più legati a film che hanno inciso profondamente nelle coscienze, e ad alcune immagini che sono diventate icone di quei giorni folli e tristi: la fascia rossa su cui Cristopher Walken appoggiava la canna della pistola nel “Cacciatore”, gli elicotteri lanciati in una folle “Cavalcata delle Valchirie” di “Apocalipse Now”, l’elmetto mimetico con la scritta “born to kill” di “Full Metal Jacket”.
In questi giorni una notizia ha riportato l’attenzione su quei lontani eventi, e uno studio del Dipartimento dei veterani è stato in grado di dirci che la roulette russa si è giocata con un proiettile su quattro inserito nel tamburo: il venticinque per cento dei reduci, oggi, è infatti un “senza tetto”.
Ora, se consideriamo che lo studio fa riferimento anche a quelli delle guerre in Iraq e in Afghanistan, e che oltre a chi è risultato storpiato moralmente dobbiamo includere i tanti che lo sono stati fisicamente e i morti, possiamo concludere che gli Stati Uniti, come un redivivo Conte Ugolino, nell’ultimo mezzo secolo si siano mangiati un figlio su tre della loro “meglio gioventù”.
Naturalmente dei morti ci si libera piuttosto in fretta con un commuovente saluto finale, mentre i mutilati, nel corpo o nella mente, sono un retaggio che un paese si trascina per generazioni con incommensurabili costi morali e sociali.
Mi voglio fermare, anche se molti commenti agitano la mia penna. Lo voglio fare per le consuete ragioni di spazio e per evitare che come al solito mi si accusi di malevolenza verso il paese di Bush.
Qualcuno mi dirà che le guerre erano giuste e che si trattava di liberare popoli dai loro tiranni: naturalmente senza spiegarmi perché solo un infinitesima parte di tiranni sia finita nel mirino, e perché con altri si sia giocato a tirar giù la gente dagli aerei… senza paracadute.
Qualcun altro mi taccerà d’ingratitudine e mi ricorderà la liberazione del patrio suolo dai nazifascisti, senza ricordare che il suolo in questione altro non era che una piccola casella di uno scacchiere molto complesso e che l’intervento, per quanto encomiabile, era tutt’altro che disinteressato.
Ora siccome l’evenienza si ripete a scadenze regolari, facciamo una bella cosa: ditemi quante stecche di sigarette volete, e facciamola finita con questa storia.
In questi giorni una notizia ha riportato l’attenzione su quei lontani eventi, e uno studio del Dipartimento dei veterani è stato in grado di dirci che la roulette russa si è giocata con un proiettile su quattro inserito nel tamburo: il venticinque per cento dei reduci, oggi, è infatti un “senza tetto”.
Ora, se consideriamo che lo studio fa riferimento anche a quelli delle guerre in Iraq e in Afghanistan, e che oltre a chi è risultato storpiato moralmente dobbiamo includere i tanti che lo sono stati fisicamente e i morti, possiamo concludere che gli Stati Uniti, come un redivivo Conte Ugolino, nell’ultimo mezzo secolo si siano mangiati un figlio su tre della loro “meglio gioventù”.
Naturalmente dei morti ci si libera piuttosto in fretta con un commuovente saluto finale, mentre i mutilati, nel corpo o nella mente, sono un retaggio che un paese si trascina per generazioni con incommensurabili costi morali e sociali.
Mi voglio fermare, anche se molti commenti agitano la mia penna. Lo voglio fare per le consuete ragioni di spazio e per evitare che come al solito mi si accusi di malevolenza verso il paese di Bush.
Qualcuno mi dirà che le guerre erano giuste e che si trattava di liberare popoli dai loro tiranni: naturalmente senza spiegarmi perché solo un infinitesima parte di tiranni sia finita nel mirino, e perché con altri si sia giocato a tirar giù la gente dagli aerei… senza paracadute.
Qualcun altro mi taccerà d’ingratitudine e mi ricorderà la liberazione del patrio suolo dai nazifascisti, senza ricordare che il suolo in questione altro non era che una piccola casella di uno scacchiere molto complesso e che l’intervento, per quanto encomiabile, era tutt’altro che disinteressato.
Ora siccome l’evenienza si ripete a scadenze regolari, facciamo una bella cosa: ditemi quante stecche di sigarette volete, e facciamola finita con questa storia.