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domenica 1 luglio 2018

Uruguay tutta la vita

Concedetemi una breve ed unica parentesi sui mondiali di calcio in Russia.

Nonostante la scarsa simpatia di Suarez, come si fa a non tifare per una squadra guidata da un uomo così? Un allenatore che ha trasformato la Garra sudamericana in qualcosa di nobile e poetico e la sua malattia in forza.




Ne ‘Il libro degli abbracci’, Eduardo Galeano racconta che c’è un uomo che parla con Utopia e questa, man mano che lui si avvicina, continua ad allontanarsi. Un terzo gli chiede: perché la insegui se non puoi raggiungerla? E lui risponde: perché solo così cammino.”  Óscar Washington Tabárez

lunedì 25 giugno 2018

Uccidi Paul Breitner: quella maglia color arancione utopia

I primi istanti della finale della Coppa del mondo del 1974.
In campo Germania Ovest e Olanda. Dal calcio d'inizio i giocatori in maglia arancione toccano la palla quattordici volte di seguito con quattordici giocatori in continuo movimento e in perenne interscambio di posizioni tra loro, fino a quando il quindicesimo giocatore che poi indossa il numero quattordici e risponde al nome solenne di Johan Cruijff, al termine di un'improvvisa progressione individuale entra in area ed è atterrato dal difensore tedesco Uli Hoeneß. L'arbitro fischia rigore. É passato meno di un minuto. La Germania Ovest non ha ancora toccato la palla. É il momento più alto e sublime del "calcio totale".


“Uccidi Paul Breitner” di Luca Pisapia (Alegre, pag. 285)


In tanti credono di saper raccontare di calcio, ma è una dote che in pochi hanno: in questo libro Luca Pisapia lo fa in una maniera affascinante, evitando l'onanismo del pur bravo Federico Buffa e la spocchia dei tecnici pallonari e filosofi che salgono in cattedra. Partendo da Argentina 1978: i mondiali della colpa (quando i desaparecidos venivano torturati e assassinati nei bunker di regime) e della marmellata peruviana, fino alla più recente edizione in Brasile grondante corruzione, una narrazione che mette in luce i grandi eretici e i visionari del pallone senza tralasciare i contesti socio-politici. Da sempre, fin dall'inizio del XX secolo, le dittature, la politica ed i potentati economici hanno trovato nello sport e nel calcio in particolare uno dei loro principali strumenti di propaganda. L'altra faccia della medaglia, quella più moderna, è quella dove il calcio è potere, declinato nella corruzione fondamento delle democrazie capitaliste. É l'evoluzione di un apparato ideologico utile a produrre consensi e che nella declinazione berlusconiana raggiungerà una delle sue massime espressioni, per poi essere a sua volta superato da una globalizzazione sempre più vorace che sta portando i prossimi mondiali in Qatar.
Pagina dopo pagina, fiction e realtà storica scorrono su binari paralleli per poi intrecciarsi in modo avvincente. Una controstoria a tratti struggente, che scava nel profondo ed emoziona chi come me da ragazzino aveva pianto di rabbia nel vedere l'Olanda scippata del titolo che avrebbe meritato esattamente 40 anni fa in una finale nella quale l'arbitro italiano Gonella permise di tutto all'Argentina del dittatore Videla. Dieci anni dopo la nostra folle squadra amatoriale avrebbe avuto come divisa quella stessa maglia color arancione utopia.

venerdì 14 maggio 2010

Calcio ruspante


Per qualche anno mi sono divertito a giocare a calcio nel campionato amatori. Eravamo una specie di armata brancaleone formata da amici del bar, cani sciolti ed alcuni ex-giocatori di serie superiori quasi quarantenni. Le maglie arancioni della nazionale olandese evidenziavano la nostra ammirazione per il calcio totale e gli schemi di Arrighe: dalle nostre parti considerato un vate. L'allenatore si presentava sempre al campo con un taccuino dove aveva trascritto i preziosi schemi da applicare, provenienti direttamente da Sacchi, persona sempre squisita e disponibile. Nel nostro campionato però non c'erano i guardalinee perciò è facile immaginare come spesso andasse a finire la tattica del fuorigioco.
Uno dei personaggi più divertenti del gruppo era il mitico Gel, un mio coetaneo che con Sacchi ci aveva veramente giocato quando allenava nelle serie minori. Da giovane era fortissimo, un vero talento; fu notato da alcuni osservatori e andò a fare un provino per la Roma, ma non ne aveva voglia per niente: agli allenamenti preferiva le Ceres, le Marlboro e il bar. Amava Falcao e odiava il freddo e in inverno sotto la maglia da gioco indossava la giacca a vento. Per correre poco si era adattato a fare il libero e nell'intervallo tra i due tempi lo si vedeva farsi la birretta e una paglia.
Per le trasferte si andava a giocare nei campi più improbabili: ce n'era uno verso la bassa ferrarese che si trovava vicino all'argine di un canale sul quale si piazzavano i tifosi indigeni che per tutta la partita insultavano gli avversari e l'arbitro in un dialetto sconosciuto. Mancavano solo le frecce in campo! A volte il pallone usciva e finiva nel canale rendendo il suo recupero con pertiche e bastoni una telenovela. Le partite in casa erano un puro divertimento con gli amici che venivano a tifare ma anche a sfotterti. Gli arbitri in molti casi erano delle vere e proprie macchiette. Mi ricorderò sempre quella volta quando prima di iniziare la partita, l'arbitro (un tipo simpatico, ma decisamente negato e sovrappeso) si rivolse a noi giocatori dicendo in dialetto: Oggi rompete poco i maroni perché stanotte ho dormito male; ieri sera ho mangiato troppi porotti (cipollotti) e ho un alito che vi stendo.
Io giocavo a centrocampo e il mio modello era Rijkaard (più o meno stessa età e stessa altezza) ma più che altro ero un Angelo Colombo di periferia (con tutto il rispetto per lo splendido gregario di quel Milan stellare).